Название | Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI |
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Автор произведения | Botta Carlo |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
Le amarezze del papa divenivano ogni giorno maggiori. Il comandante Napoleonico intimava ai cardinali Napolitani Ruffo-Scilla, Pignatelli, Saluzzo, Caracciolo, Caraffa, Trajetto, e Firrao nel termine di ventiquatt'ore partissero da Roma, e tornassero a Napoli. Se nol facessero, gli sforzerebbero i soldati. Quindi l'intimazione medesima, termine tre ore a partire, fu fatta dal soldato medesimo ai cardinali nati nel regno Italico, che furono quest'essi: Valenti, Caradini, Casoni, Crivelli, Giuseppe Doria, Della-Somaglia, Roverella, Scotti, Dugnani, Braschi-Onesti, Litta, Galeffi, Antonio Doria, e Locatelli. Risposero, stare ai comandamenti del pontefice; farebbero quanto ordinasse.
A tanto oltraggio il pontefice, quantunque in potestà d'altri già fosse ridotto, gravemente risentissi. Scrisse ai cardinali, si ricordassero degli obblighi e dei giuramenti loro verso la santa Sede, imitassero il suo esempio, sofferissero piuttostochè contaminarsi, non potere sua santità permettere che partissero; proibirlo anzi a tutti ed a singoli in virtù di quella obbedienza che a lui giurato avevano. Raccomandava, e comandava loro, prevedendo che la forza gli avrebbe indegnamente divulsi dal suo grembo, che se a qualche distanza di Roma fossero lasciati, non continuassero il viaggio; vedesse il mondo che la forza altrui, non la volontà loro, gli sveglieva da Roma.
La sovranità del papa a grado a grado dai violenti occupatori si disfaceva. Commettevano il male, non volevano che si sapesse. Soldati Napoleoniani furono mandati alla posta delle lettere, dove, cacciate le guardie pontificie, ogni cosa recarono in poter loro. Postovi poscia soprantendenti e spie, non solamente s'impadronivano degli spacci, ma ancora, secondochè loro aggradiva, aprivano e leggevano le lettere, enorme violazione della fede sì pubblica che privata, e del diritto delle genti. Al medesimo fine invasero tutte le stamperie di Roma per modo che nulla, se non quanto permettevano essi, stampare si potesse. Quindi nasceva che nelle scritture che ogni giorno si pubblicavano, massimamente nelle gazzette, le adulazioni verso Napoleone, e gli scherni contro il papa erano incessabili. Il papa stesso non potè pubblicare colle stampe una sua allocuzione ai cardinali del mese di marzo, e fu costretto a mandarne le copie attorno scritte a penna, ed autenticate di suo pugno.
Tolta al papa la forza civile, si faceva passo al torgli la militare. Incominciossi dalle arti con subornare i soldati, le Napoleoniche glorie e la felicità degl'imperiali soldati magnificando. Esortavansi instantemente i papali ad abbandonar le insegne della chiesa, ed a porsi sotto quelle dell'imperio. Pochi consentirono; i più resisterono. Riuscite inutili le instigazioni, toccossi il rimedio della forza; l'atto cattivo fu accompagnato da parole peggiori. Parlava Miollis il dì ventisette marzo ai soldati del papa: essere l'imperatore e re contento di loro, non esser più all'avvenire per ricever ordini nè da femmine, nè da preti; dovere i soldati esser comandati da soldati; stessero sicuri, che non mai più tornerebbero sotto le insegne dei preti; darebbe loro l'imperatore e re generali degni per bravura di governargli. Questi erano scherni molto incivili. Del rimanente, che le femmine ed i preti abbiano comandato a soldati, in quel modo che il diceva il generale Napoleonico, poichè nè il papa, nè i cardinali, nè alcuna donna di Roma erano generali, o colonnelli, si è veduto (il che però io non sarò mai per lodare) in tutti i tempi ed in tutti i paesi, anche in Francia, e nel regno ultimo d'Italia. Miollis stesso vide peggio, poichè vide Elisa principessa, e Carolina regina, Napoleonidi, far rassegne e mostre, e comandar mosse d'imperiali soldati. Un Frici colonnello, mancando nella fede, si accomodò coi nuovi signori: fu accarezzato. Un Bracci colonnello ricusò: fu carcerato, poi bandito. Carcerati altri tre, e mandati, per aver conservato la fede loro, nella fortezza di Mantova. A questo modo stimavano e ricompensavano i Napoleoniani gli uomini fedeli ai loro principi ed alle loro patrie. I soldati furono per forza costretti alle insegne Napoleoniche, e mandati prima in Ancona, poscia nel regno Italico per essere ordinati secondo le forme imperiali.
Restava il santo padre nel suo pontificale palazzo con poche guardie, piuttosto ad onore che a difesa. Vollero i Napoleoniani che quest'ultimo suo ricetto fosse turbato dalle armi forestiere, non contenti, se non quando il sommo pontefice fosse in vero carcere ristretto. Andavano il dì sette aprile all'impresa del prendere il pontificale palazzo; s'appresentavano alla porta: il soldato svizzero, che vi stava a guardia, rispose che non lascerebbe entrar gente armata, ma solamente l'uffiziale che le comandava. Parve soddisfarsene il capitano Napoleonico: fatto fermar i soldati, entrava solo; ma non così tosto fu lo sportello aperto e l'ufficiale entrato, che aggiungendo la sorpresa alla forza, fece segno a' suoi che entrassero. Entrarono: volte le baionette contro lo svizzero, occuparono l'adito. S'impadronirono, atterrando romorosamente le porte, delle armi delle papali guardie; i più intimi penetrali invasero. Intimarono al capitano della guardia Svizzera, sarebbe ai soldi e sotto le insegne di Francia: ricusò costantemente. Le medesime intimazioni fecero alle guardie delle finanze, e perchè ricusarono, le condussero carcerate in castello. Intanto altri corpi di Napoleoniani giravano per la città: quante guardie nobili incontrarono, tante arrestarono.
Di tanti eccessi querelavasi gravissimamente il pontefice con Miollis; ma le sue querele non muovevano il generale Napoleonico; che anzi negli eccessi moltiplicando, faceva arrestare da' suoi soldati monsignor Guidobono Cavalchini, governator di Roma, ordinando che fosse condotto a Fenestrelle, fortezza alle fauci dell'Alpi sopra Pinerolo, che fondata dai re di Sardegna a difesa d'Italia, era ora per volontà di Napoleone divenuta carcere degl'Italiani, che anteponevano la fede alla fellonìa. Accusarono Cavalchini dello aver negato di ministrar giustizia secondo le leggi e regole del paese; del quale fallo, se era vero, il papa solo, non i forestieri, doveano giudicare. I napoleoniani portarono il prelato dentro i cavi sassi dell'orrido Fenestrelle.
A questi tratti il pontefice, fatto maggiore di se medesimo, in istile grave e profetico a Napoleone le sue parole rivolgendo: «Per le viscere, diceva, della misericordia di Dio nostro, per quel Dio, che è cagione, che il sole levante venne dall'alto a visitarci, esortiamo, preghiamo, scongiuriamo te, imperatore e re Napoleone, a cambiar consiglio, a rivestirti dei sentimenti che sul principiar del tuo regno manifestasti: sovvengati, che Dio è re sopra di te: sovvengati, ch'ei non eccettuerà persona; sovvengati, ch'ei non rispetterà la grandezza d'uomo che sia; sovvengati, ed abbi sempre alla mente tua davanti, ch'ei si farà vedere, e presto, in forma terribile, poichè quelli che comandano agli altri, saranno da lui con estremo rigore giudicati».
Napoleone cieco, e dall'inevitabile suo destino tratto, non attendeva alle spaventose e fatidiche voci del pontefice. Decretava il due aprile, che, stantechè il sovrano attuale di Roma aveva costantemente ricusato di far guerra agl'Inglesi, e di collegarsi coi re d'Italia e di Napoli a difesa comune della penisola; stantechè l'interesse dei due reami, e dell'esercito d'Italia e di Napoli esigevano che la comunicazione non fosse interrotta da una potenza nemica; stantechè la donazione di Carlomagno, suo illustre predecessore, degli stati pontificj era stata fatta a benefizio della cristianità, non a vantaggio dei nemici della nostra santa religione; stante finalmente che l'ambasciadore della corte di Roma appresso a lui aveva domandato i suoi passaporti, le province d'Urbino, Ancona, Macerata e Camerino fossero irrevocabilmente e per sempre unite al suo