Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI. Botta Carlo

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Название Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI
Автор произведения Botta Carlo
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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      Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI

      LIBRO VIGESIMOTERZO

SOMMARIO

      Guerra di Napoleone col re di Prussia; gran ruina di quest'ultimo. Adulazioni degl'Italiani verso Napoleone. Trattato di Fontainebleau, che toglie il Portogallo ai Braganzesi. Toscana tolta alla stirpe di Spagna, ed unita alla Francia sotto l'autorità di Elisa, sorella di Napoleone. Operazioni della giunta creata in Toscana. Descrizione delle miserie d'Italia. Opere magnifiche di Napoleone. Toglie la Spagna ai Borboni. Giovacchino re di Napoli, Giuseppe di Spagna. Giovacchino va ad assumere il regno, feste che gli si fanno, principj, e natura del suo governo. Setta dei Carbonari, come, quando, dove e perchè nata, e quali erano i suoi riti. Napoleone si volta contro il papa, unisce le Marche al regno Italico, occupa Roma, fa oltraggio al papa: protestazioni fortissime di Pio settimo. Dolorose vicende nelle Marche per motivo dei giuramenti richiesti ai magistrati ed agli ecclesiastici.

      Il re Federigo sentiva i frutti delle gratitudini Napoleoniche. Vinta l'Austria per avere la Prussia imprudentemente tenuta la neutralità, insorgeva Napoleone a vincere la Prussia, dopo di aver prostrato l'Austria. Usò le insidie, le insolenze e le usurpazioni per farla vile agli occhi del mondo; poi assalti più aperti per farla risentire, non dubitando di vincerla. Invase l'Hannover, ed operò ch'ella l'accettasse in proprietà, dono funesto per la riputazione, funesto per gli effetti. Offese la Germania nel caso del duca d'Anghienna; non risentissi la Prussia. Portò pazientemente il re l'incoronazione Italica, l'unione di Genova, il fatto di Lucca, le non ottenute promesse al re di Sardegna: portò pazientemente la carcerazione dei legati d'Inghilterra sui territorj Germanici, le taglie poste sulle città anseatiche, le violazioni delle terre d'Anspach e di Bareit. Di mezza Germania si faceva signore Napoleone per la confederazione del Reno: consentiva il re Federigo, ed accettava l'offerta di una confederazione a suo favore della settentrionale Germania; ma Napoleone confortava segretamente i principi, acciò non vi consentissero. Nè più modo alcuno serbando, toglieva Fulda al principe d'Orangia, congiunto di parentela col re, toglieva al re la fortezza di Vesel, e le abbazìe di Essen, Verden ed Elten. Prometteva alla Prussia la Svedese Pomerania, ed al tempo stesso con solenne trattato si legava colla Russia per impedire, che la Prussia della Pomerania s'impadronisse: il dato ed accettato Hannover offeriva al re d'Inghilterra, se pace con lui volesse. Nuovi soldati Napoleoniani marciavano in Germania. Conobbe il re con quale amico avesse a fare, e corse all'armi: corse altresì al ferro Napoleone. Bene il poteva usare, posciachè il re veniva armato contro di lui; ma gl'improperj che fece dire e stampare contro la regina, furono tali, che ogni uomo, che del tutto non sia lontano dalla civiltà, non potrà non sentirne sdegno e fastidio. Io vidi a questo tempo immagini di tal natura nei luoghi pubblici in mostra, che mi pareva aggirarmi, non nell'incivilito Parigi, ma sì piuttosto in una città rozza e selvaggia. Luisa era donna, regina, ed amatrice della sua patria, ed all'armi gli amatori della sua patria incitava: per questo diventò bersaglio agli oltraggi di un barbaro. Queste gravi parole contro Napoleone appruoveranno coloro, che con sì devoto e patrio affetto hanno alzato gli altari alla Domremese vergine; di quelli, che fanno scherno dei difensori delle loro patrie, non è da prender pensiero.

      Vinse la fortuna di Napoleone. Fu la Prussia prostrata a Iena, fu prostrata a Maddeburgo ed a Prenslavia. Berlino, capitale dei regno, le fortezze tutte, dominando uno scompiglio ed un terrore estremo, vennero in potere del vincitore. Questo fine ebbero le armi animosamente mosse dal re Federigo per stimolo proprio, e per quelli d'Alessandro di Russia. Arrivava Alessandro imperatore con le sue schiere in ajuto del vinto amico; ma Napoleone sopravvanzava d'ardire, di forza e di arte. Fu asprissima la battaglia di Eylau, e d'esito incerto. Incrudelita la stagione, ritiraronsi i Francesi di qua della Vistola, i Russi di là della Pregel. Intiepiditosi il tempo al nuovo anno, s'avventavano gli uni contro gli altri Francesi e Russi: vari furono i combattimenti, sanguinosi tutti; infine nei campi di Fridlandia conflissero con ordinanza piena i due nemici. Quivi cadde la fortuna Russa. Napoleone vincitore ai confini di Alessandro sovrastava: addomandava Alessandro i patti. Narrano che i due imperatori nelle conferenze più segrete tra di loro si spartissero il mondo: avessesi Napoleone quella parte che è compresa da un lato tra una linea tirata dalla foce della Vistola sino all'isola di Corfù, dall'altro tra le spiagge del Baltico, dell'Oceano, del Mediterraneo e dell'Adriatico: avessesi Alessandro il rimanente. Quale di questo sia la verità, convennero sulle sponde del Niemen in trattato aperto: riconobbe Alessandro il nome e la autorità regia in Giuseppe Napoleone, come re di Napoli, ed in Luigi Napoleone, come re d'Olanda; consentì, che un regno di Vestfalia si creasse, ed in Girolamo Napoleone, fratello minore di Napoleone, s'investisse, accordò che un ducato di Varsavia si creasse, e che duca ne fosse Federigo Augusto di Sassonia: riconobbe la Renana confederazione: stipulò per articolo segreto, che le bocche di Cattaro si sgombrassero dai Russi, e si consegnassero in potestà di Napoleone. Convenne in fine, che le sette isole Ioniche cedessero in possessione del medesimo, stipulazione enorme, perchè la independenza loro era stata accordata tra la Russia e la Porta Ottomana, nè poteva l'opera di due parti essere disfatta da una sola.

      I fatti di guerra di Napoleone superavano per grandezza quanti dalle lingue o dalle penne degli uomini siano stati mandati alla memoria dei posteri. L'avere vinto con sì grossa e presta guerra l'Austria, poi poco dopo con sì grossa e presta guerra la Prussia, finalmente con grossa e non lunga guerra la Russia, pareva piuttosto accidente favoloso che vero. Volgevano gli uomini maravigliati nelle menti loro la potenza ed il valore degli Austriaci, la gloria ancor fresca di Federigo, le imprese mirabili di Suwarow con la sparsa fama dell'invincibilità dei Russi, nè potevano restare capaci, come una sola nazione ed un solo capitano avessero potuto soldati tanto valorosi, capitani tanto rinomati quasi prima vincere che vedere. Temeva ed adorava il mondo Napoleone, i principi i primi, anche i più potenti, i popoli i secondi. Non v'era più luogo all'adulazione; perchè le lodi, per smisurate che fossero, parevano minori pel vero, nè i poeti più famosi, quantunque con ogni nervo vi si sforzassero, potevano arrivare a tanta altezza. I poeti il chiamavano Giove, i preti braccio di Dio, i principi fratello e signore.

      Un mezzo solo gli restava per accrescere la gloria acquistata; quest'era di usarne moderatamente; che se avesse frenato le lingue dell'età adulatrice, e precipitantesi a servitù, bene avrebbe meritato che le adulazioni lodi si chiamassero; ma amò meglio dilettarsi pruovando quant'oltre potesse trascorrere la viltà degli uomini, che fare generoso se ed altrui. Lascio le adulazioni Francesi, Austriache, Prussiane, Russe, solo parlerò dell'Italiane. A questo fine dell'adulare erano stati chiamati a Parigi i deputati del regno Italico. Gamboni, patriarca di Venezia, favellava, introdotto all'udienza nell'imperial sede di San Clodoaldo, con servilissimo discorso al signore. Venire gl'Italiani a far tributo ai suoi piedi dell'ammirazione, dei desiderj, dell'amore, della fedeltà loro; godere per essere i primi a potere questo debito adempire verso l'eroe, verso il principe potente ed amatissimo, nissuno più degl'Italiani amarlo, nissuno con pari gratitudine venerarlo: avere lui redento la Francia, ma creato l'Italia: avere gl'Italiani pregato il cielo per la salute sua nei pericoli, ringraziarlo ora per le vittorie, ringraziarlo per la pace: benignamente udisse le supplichevoli preghiere dei sottomessi ed amorosi Italiani: gisse, venisse, vedesse quell'Italia da tanto bassamento alzata, da tanta abiezione ricompra, a tanto fortunate sorti avviata. Questo desiderare, questo instantemente supplicare, questo sperare dalla paterna benevolenza sua, questo essere la più compita, la più suprema felicità loro.

      Rispose, gradire i sentimenti de' suoi popoli d'Italia: con piacere avergli veduti combattere valorosamente sulla scena del mondo: sperare, che sì fausto principio avrebbe consenziente fine. In questo luogo egli, che aveva contaminato con ischerni una valorosa donna, solo perchè contro di lui la sua patria aveva amato e difeso, venne in sul dire, che le donne Italiane dovevano allontanare da se stesse gli oziosi giovani, nè permettere che più languissero negl'interni recessi, o comparissero al cospetto loro, se non quando portassero cicatrici onorevoli. Soggiunse poscia, vedrebbe Venezia volentieri, sapere quanto i Veneziani l'amassero. Sorse in corte un gran parlar di lode pel discorso di Napoleone: tutti il predicarono per molto bello. Quella parte massimamente che aveva toccato dell'amor dei Veneziani verso di lui, era molto commendata.

      Accarezzato dai monaci del Cenisio; festeggiato dai Torinesi testè liberati da Menou, al quale era succeduto, come governator generale, il buon principe Camillo Borghese, arrivava Napoleone trionfante nella reale ed accetta Milano. Le feste furono molte; i soldati armeggiavano, i poeti cantavano, i magistrati lusingavano,