Название | Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI |
---|---|
Автор произведения | Botta Carlo |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
Di tutte queste cose ammoniva l'imperatore, dell'esecuzione delle sue promesse a pro della cattolica religione richiedendolo. Ma Napoleone vincitore dell'Austria, della Prussia e della Russia, non era più quel Napoleone ancor tenero ne' suoi principj. Per la qual cosa volendo ad ogni modo venir a capo del suo disegno del farsi padrone di Roma, o che il papa vi fosse, o che non vi fosse, mandava dicendo al pontefice, che essendo egli il successore di Carlomagno, gli stati pontificj, siccome quelli che erano stati parte dell'impero di esso Carlomagno, appartenevano all'impero Francese; che se il pontefice era il signore di Roma, egli ne era l'imperatore; che a lui, come a successore di Carlomagno, il pontefice doveva obbedienza nelle cose temporali, come egli al pontefice la doveva nelle spirituali, che uno dei diritti inerenti alla sua corona era quello di esortare, anzi di sforzare il signore di Roma a far con lui, e co' suoi successori, una lega difensiva ed offensiva per tutte le guerre presenti e future; che il pontefice, essendo soggetto all'imperio di Carlomagno, non si poteva esimere dall'entrare in questa lega, e dall'avere per nemici tutti coloro che di lui Napoleone fossero nemici. Aggiungeva, che se il pontefice a quanto da lui si esigeva non consentisse, aveva egli il diritto di annullare la donazione di Carlomagno, di spartire gli stati pontificj e di dargli a chi meglio gli paresse; che nella persona del pontefice separerebbe l'autorità temporale dalla spirituale; che manderebbe un governatore con potestà di reggere Roma, e che al papa lascerebbe la semplice qualità di vescovo di Roma.
Quest'estreme intimazioni fatte al pontefice, che non aveva dato a Napoleone alcuna cagione di dolersi di lui, e che anzi con tutta l'autorità sua l'aveva ajutato a salire sul suo seggio imperiale, dimostrava in chi le faceva, una risoluzione irrevocabile. Rispondeva il pontefice, esser caso maraviglioso, che il sovrano di Roma, dopo dieci secoli di possessione non contestata, fosse necessitato a far le sue difese contro colui, che pocanzi aveva consecrato imperatore; sapere il mondo, che il glorioso imperatore Carlomagno, la cui memoria sarà sempre benedetta nella chiesa, non aveva dato alla santa Sede le province di dominio pontificio: sapere che già dai tempi molto anteriori a Carlomagno, erano esse state possedute dai pontefici Romani per la dedizione libera dei popoli abbandonati dagli imperatori d'Oriente; sapere, che nel progresso dei tempi l'esarcato di Ravenna, e della Pentapoli, che queste medesime province comprendeva, essendo stato invaso dai Longobardi, l'illustre e religioso Pipino, padre di Carlomagno, lo aveva loro tolto dalle mani per un atto di donazione solenne a papa Stefano attribuendolo; che quel grande imperatore, l'ornamento e l'ammirazione dell'ottavo secolo, non che avesse voluto rivocare il pietoso e generoso atto di Pipino suo padre, l'aveva anzi confermato, ed appruovato sotto papa Adriano; che, non che avesse voluto spogliare la Romana Sede delle sue possessioni, non altro aveva fatto, nè voluto fare che restituirgliele ed aumentargliele; che tant'oltre era proceduto, che aveva comandato espressamente nel suo testamento a' suoi tre figliuoli di difenderle colle armi; che a' suoi successori nissuna potestà, nissun diritto aveva lasciato di rivocare quanto Pipino suo padre aveva fatto a favore della cattedra di San Pietro; che solo ed unico suo intento era stato di tutelar i pontefici Romani contro i loro nemici, e non obbligargli a dichiararsi contro di loro; che dieci secoli posteriori, che mille anni di possessione pacifica rendevano inutile ogni ricerca anteriore, ogni interpretazione posteriore; che finalmente supponendo eziandìo che i pretesi diritti di Carlomagno non fossero senza fondamento, non aveva l'imperator Napoleone trovato nè la santa Sede, nè il papa in quella condizione, in cui gli aveva trovati Carlomagno; conciossiachè avesse l'imperator Napoleone trovato la santa Sede libera, suddita a nissuno, in piena ed intiera sovranità di tutti i suoi stati fin da dieci secoli addietro senza interruzione alcuna, e che inoltre le sanguinose vittorie da lui acquistate contro altri popoli non gli davano il diritto d'invadere gli stati del pontefice, poichè sempre il pontefice era vissuto in pace con lui.
Troppo seriamente rispondeva il pontefice alle allegazioni di Napoleone, perchè niuno meno le stimava, che Napoleone stesso. Certamente se a quel modo si rivangassero tutte le ragioni antiche, o vere o finte, ma consumate dalla vecchiezza, nissuna possessione certa più vi sarebbe, ed il mondo andrebbe tutto in un fascio. Instava adunque minacciosamente l'imperatore col pontefice, entrasse nella confederazione Italica coi re d'Italia e di Napoli, e per nemici avesse i suoi nemici, e per amici gli amici. Ma avendo il papa costantemente ricusato di aderire, si era ridotto a richiedere che il pontefice facesse con lui una lega difensiva ed offensiva, e medesimamente tenesse i suoi amici per amici, i suoi nemici per nemici: quando no, lo stimerebbe intimazione di guerra, avrebbe il papa per nemico, Roma conquisterebbe. La condizione proposta, non che migliorasse, peggiorava quella del pontefice; perciocchè solo scopo della confederazione fosse l'unirsi contro gl'infedeli, e contro gl'Inglesi, mentre la lega difensiva ed offensiva importava, che il papa dovesse far guerra a qualunque principe o stato, che fosse in guerra coll'imperatore; dal che ne poteva nascere nel papa la necessità, non solamente di far guerra ad un principe cattolico, ma ancora di unirsi ad un principe non cattolico per far guerra ad un cattolico, condizione del tutto insopportabile alla Sedia apostolica. A questi motivi aggiungeva il pontefice, che se si videro papi far leghe e guerre contro principi cattolici, non si leggeva però nelle storie, ch'eglino si fossero obbligati perpetuamente ad incontrar nimicizia e ad aver guerra con chiunque, a cui piacesse ad altri intimare nimicizia e guerra, senza che dei motivi potessero giudicare, e solo perchè ad altri piacesse assumersi nemicizie e guerre. Sclamava poscia papa Pio, sentire l'animo suo orrore e dolore, ricordandosi essere stato richiesto dall'imperatore di un trattato d'alleanza, pel quale avrebbe egli dovuto obbligarsi a tener per nemici tutti i suoi nemici, e a dichiarar la guerra a quanti l'imperatore, od i suoi successori, in perpetuo dichiarata l'avessero. Non esser questo armare il padre contro i figliuoli? Non i figliuoli contro il padre? Non mescolare in infinite questioni la chiesa di Dio, in cui come in proprio santuario, seggono la carità, la pace, la dolcezza, e tutte le virtù? Non volere, che il sommo pontefice non più Aaron sia, ma Ismaele, uomo crudo e selvaggio? Non volere che alzi la mano contro tutti, e che tutti l'alzino contro di lui? Non volere che drizzi le nimichevoli insegne contro i suoi fratelli? A questo modo forse nella chiesa di Dio introdursi la pace? A questo modo la pace che il divino salvatore lasciò agli apostoli, ai pontefici loro successori, ed a lui? Cercasse l'imperatore questa pace, che è la pace dei savj, pace migliore delle armi dei guerrieri: la pace dei savj cercasse, dei savj, che sono la salute del mondo: quella sapienza cercasse, per cui un re prudente è il sostegno del suo popolo, che se cercare non la volesse per se, lasciassela almeno, quale eredità propria, ai pontefici, ai quali l'aveva data Cristo redentore. Essere il pontefice padre comune di tutti i fedeli, a loro obbligato di tutti i sussidj spirituali, nè potere più continuargli a coloro che fossero sudditi di un principe, contro il quale in virtù della lega fosse stato tirato a guerra. Doppia qualità nel Romano pontefice risplendere, sovranità temporale, e sovranità spirituale, non potere per motivi temporali offendere la primaria sua qualità, la spirituale, nè recar pregiudizio a quella religione, di cui egli era capo, propagatore, e vindice.
Avendo papa Pio con sì gravi querele esposto l'animo suo a Napoleone, andava protestando, che se per gli occulti disegni di Dio l'imperatore volesse consumar le sue minacce, impossessandosi degli stati della Chiesa a titolo di conquista, non potrebbe sua santità a tali funesti avvenimenti riparare, ma protesterebbe come di usurpazione violenta ed iniqua. Dichiarerebbe inoltre, che non già l'opera del genio, della politica e dei lumi (imperciocchè di queste parole appunto si era servito Napoleone, favellando degli ordinamenti della Romana sede) sarebbe distrutta, ma bensì l'opera dello stesso Dio, da cui ogni sovranità procede: adorerebbe sua santità profondamente i decreti del cielo, consolerebbesi col pensiero che Dio è il padre assoluto di tutti, e che tutto cede al suo divino volere, quando arriva la pienezza dei tempi da lui preordinata. Queste profetiche parole diceva Pio a Napoleone. L'imperatore perseverò nel dire, che a questo principio mai non consentirebbe, che i prelati non fossero sudditi del sovrano, sotto il dominio del quale e' sono nati, e che intenzion sua era, che tutta l'Italia, Roma, Napoli e Milano, facessero una lega offensiva e difensiva per allontanar dalla penisola i disordini della guerra. Questa sua ostinazione corroborava col pretesto che la comunicazione