Название | Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI |
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Автор произведения | Botta Carlo |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
A questi sforzi, se Napoleone era pari, non era certamente superiore. Fece opera di temporeggiarsi, offerendo la Russia per sicurtà della quiete. Ma da quell'uomo astuto e pratico ch'egli era, non ingannandosi punto sulle intenzioni della potenza emola, e certificato della mala disposizione di lei, che gli parve irrevocabile, si preparava alla guerra con mandar in Germania ed in Italia quanti soldati poteva risparmiare per la necessità d'oltre i Pirenei. Ciò non di meno Francesco, che con disegno da lungo tempo ordito si muoveva, stava meglio armato, e più pronto a cimentarsi. Pensò Napoleone ad andar egli medesimo alla guerra Germanica, perchè vedeva che sulle sponde del Danubio erano per volgersi le definitive sorti e che nissun altro nome, fuorchè il suo, poteva pareggiare quello del principe Carlo. Quanto all'Italia, diede il governo della guerra, in questa parte importante, al principe Eugenio, mandandogli per moderatore Macdonald. Si riposava l'esercito Italico di Napoleone nelle stanze del Friuli, occupando la fronte a destra verso la spiaggia marittima Palmanova, Cividale ed Udine, a sinistra verso i monti San Daniele, Osopo, Gemona, Ospedaletto e la Ponteba Veneta sin oltre alla strada per Tarvisio. Le altre schiere alloggiavano a foggia di retroguardo a Pordenone, Sacile, Conegliano sulle sponde della Livenza. Un altro corpo, che in due alloggiamenti si poteva congiungere col primo, ed era in gran parte composto di soldati Italiani agli stipendi del regno Italico, stanziava nel Padovano, nel Trevisano, nel Bassanese e nel Feltrino. Accorrevano a presti passi dal Bresciano e dalla Toscana nuove squadre ad ingrossare l'esercito principale: l'Italia e la Germania commosse aspettavano nuovo destino.
L'arciduca Carlo mandò dicendo al generalissimo di Francia, andrebbe avanti, e chi resistesse, combatterebbe. L'arciduca Giovanni, correndo il dì nove aprile, al medesimo modo intimò la guerra a Broussier, che colle prime guardie custodiva i passi della valle di Fella, per cui superate le fauci di Tarvisio, si acquista l'adito a Villaco di Carintia. Preparate le armi, pubblicavansi i discorsi. Sclamava Eugenio vicerè, parlando ai popoli del regno, avere l'Austria voluto la guerra: poco d'ora doversene star lontano da loro: girsene a combattere i nemici del suo padre augusto, i nemici della Francia e dell'Italia: confidare che sarebbero per conservare, lui lontano, quello spirito eccellente, del quale avevano già dato con le opere sì vere testimonianze: confidare che i magistrati bene e candidamente farebbero il debito loro, degni del sovrano, degni degl'Italiani popoli mostrandosi: dovunque e quandunque ei fosse, essere per conservar di loro e stabile ricordanza ed indulgente affetto.
Dal canto suo l'arciduca Giovanni, prima di venire al ferro, non se ne stava oziando con le parole, giudicando che potessero sorgere per tutta Italia per le varie inclinazioni dei popoli, gravi e favorevoli movimenti:
«Udite, diceva, Italiani, udite, e nei cuor vostri riponete, quanto la verità, quanto la ragione da voi richieggono. Voi siete schiavi di Francia, voi per lei le sostanze, voi la vita profondete. È l'Italico regno un sogno senza realtà, un nome senza effetto. Gli scritti soldati, le imposte gravezze, le usate oppressioni a voi bastantemente fan segno, che niuna condizione di stato politico, che niun vestigio d'independenza vi è rimasto. In tanta depressione voi non potete nè rispettati essere, nè tranquilli, nè Italiani. Volete voi di nuovo Italiani essere? Accorrete colle mani, accorrete coi cuori, ai generosi soldati di Francesco imperatore congiungetevi. Manda egli un poderoso esercito in Italia: non per sete di conquista il manda, ma per difendere se stesso, ma per restituire l'independenza a tante europee nazioni, di cui la servitù tanto è per tanti segni certa, quanto per tanti dolori dura. Solo che Iddio secondi le virtuose opere di Francesco imperatore, e de' suoi potenti alleati, fia novellamente Italia in se stessa felice, fia da altri rispettata: avrà novellamente il capo della religione i suoi stati, avrà la sua libertà. Una constituzione alla natura stessa, al vero stato politico vostro consentanea, sarà per prosperare le italiche contrade, e per allontanar da loro ogn'insulto di forza forestiera. Promettevi Francesco sì fortunate sorti: sa l'Europa, essere la sua fede tanto immutabile, quanto pura; il cielo, il cielo vi parla per bocca di lui. Accorrete, Italiani, accorrete: chiunque voi siate, o qual nome v'aggiate, o qual setta amiate, purchè Italiani siate, senza temenza alcuna a noi venite. Non per ricercarvi di quanto avete fatto, ma per soccorrervi e per liberarvi siamo in cospetto dell'Italiane terre comparsi. Consentirete voi a restarvi, come ora siete, disonorati e vili? Sarete voi da meno che gli Spagnuoli, eroica gente, che altamente dissero, e che più altamente fecero che non dissero? Meno che gli Spagnuoli amino, amate voi forse i vostri figliuoli, la vostra religione, l'onore e il nome della vostra nazione? Abborrite voi forse meno ch'essi, il vergognoso giogo a cui v'han posti coloro, che con belle parole v'ingannarono, che con tristi fatti vi lacerarono? Avvertite, Italiani, e negli animi vostri riponete ciò, che ora con ragione e con verità vi diciam noi, che questa è la sola, questa l'ultima occasione che a voi si scopre di vendicarvi in libertà,