Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI. Botta Carlo

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Название Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI
Автор произведения Botta Carlo
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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Francese sotto nome di regno Italico, sempre conculcata, sempre serva, cedè finalmente in potestà di colui, che credeva il più prezioso frutto delle sue conquiste essere il poter risuscitare la corona di ferro di Luitprando, ed il serpente dei Visconti. Di Venezia poche cose dirò, poichè dopo tante stragi, tanti oltraggi, tante espilazioni, o provincia Francese, o provincia Tedesca, conobbe di che sapessero le due servitù. Perivano ogni giorno più i segni della generosità di Dutillot nella tormentata Parma, che accarezzata sotto il duca in parole pei fini di Spagna, taglieggiata in fatto per un'avarizia indomabile, vessata in fine dai Napoleonici capricci sotto San Mery, e molto più ancor sotto Junot, s'incamminava, da servitù in servitù passando, a sperimentare quanto valessero a sanare le ricevute ferite il concorrere ed il ricorrere al lontano Parigi. La Toscana ebbe più gran miscuglio di correrìe e di saccheggi stranieri, di sollevazioni intestine, di reggimenti temporanei, ora repubblicani tumultuarj, ed ora imperiali tumultuarj, parecchie reggenze sotto vario nome, re giovani e re bambini, ora capitani da guerra con somma autorità, ora principi Austriaci, ora principi Borbonici, ed ora Elisa principessa: soldati Napolitani, Francesi, Russi, Tedeschi, Italiani, incomposta e pestilenziale illuvie: i tempi Napoleonici guastavano i Leopoldiani. Roma rossa di sangue di legati Francesi, rossa di Romano sangue versato a difesa delle patrie leggi, rossa d'Italiano sangue non versato a difesa dell'Italiana patria, saccheggiata, conculcata, straziata da tutti, non sapeva più chi amico, o chi nemico chiamar potesse. Francesi, Tedeschi, Russi, Cisalpini, Napolitani, e, se Dio ne salvi, Turchi, con la cupidigia e con le armi loro a vicenda l'assalirono: i tempj profanati, i sacri arredi involati, i musei posti a ruba, le pitture di Raffaello guaste dalle soldatesche barbare; pure e questi e quelli dicevano volere la Romana felicità. Vide Roma un governo papale servo, una repubblica serva, un governo papale con ingannevoli apparenze restituito: vide un papa vinto, un papa tributario, un papa cattivo, un papa ito all'incoronazione del suo nemico: vide preti adulatori di Turchi, papisti adulatori d'Inglesi, repubblicani veri adulatori di repubblicani falsi, amatori di libertà adulatori di tiranni: fuvvi illusione da una parte, fraude dall'altra, e tra l'illusione e la fraude nacque un inganno, una chimera, un pensare a caso tale che è pur forza il confessare, che sia forte negli uomini l'istinto di star insieme, perchè senza di lui la Romana gente o si sarebbe dispersa a vivere nelle selve o vissuta insieme solo per ammazzarsi con le proprie mani. Credo che più tormentosi sperimenti sopra le infelici nazioni non siano stati fatti mai, come quelli che sopra i Romani furono fatti. L'aver sopravvissuto pare miracolo. Ma se maggiori mali soffrire non potevano, a maggiori scandali erano serbati dai cieli, siccome sarà da noi a suo luogo con dolente e disdegnosa penna raccontato. Pareva che la monarchìa avesse a portar più rispetto ai monarchi, ma fece peggio che la licenza. Così se ne viveva Roma desolata: povero l'erario, poveri i particolari: gli ornamenti perduti, gli animi divisi, ogni cosa piena di vendetta. Non so con quali parole io mi accinga a favellar di Napoli, perchè gli uomini simili al cielo, le benevolenze estreme che toccano la illusione, le nimicizie estreme che toccano la ferocia: congiure, guerre civili, guerre esterne, incendj, rovine, tradimenti, supplizj di gente virtuosa e di gente infame, ma più di virtuosa che d'infame. A questo atti eroici, coraggi indomiti, amicizie fedelissime anche nelle disgrazie, temperanza cittadina anche nella povertà, pensieri dolcissimi di fortunata umanità, desiderj purissimi del ben comune: ora regno ottenebrato da congiure, ora repubblica contaminata da rapine ora regno pieno di tormenti, ora regno pieno di rapine e di tormenti. Ferdinando due volte cacciato, una volta tornato; una repubblica serva dei Francesi, un regno servo degl'Inglesi, una repubblica stabilita a forza da un soldato, un regno restituito a forza da un prete, quella con immensa strage di lazzaroni, questo con immensa strage dei repubblicani: quelli stessi che adulato avevano Championnet repubblicano, o Ferdinando re, adulare Giuseppe re, e da un'altra parte la croce di Cristo sul campo medesimo unita alla luna di Macometto, tutte queste cose fanno una maraviglia tale, che quando saranno chiusi gli occhi e le orecchie di coloro che le videro e le udirono, nissuno sarebbe più per crederle, se non fosse la stampa, che ne moltiplica i testimonj.

      Nissun ordine buono poteva sorgere da farragine sì dolorosa: perchè ogni fondamento civile era disordinato, ed i soldati si creavano per altri. Narrano alcuni che almeno questo accidente buono nascesse nel regno Italico, che lo spirito militare si risvegliasse, e che buoni soldati si formassero a benefizio d'Italia. Certamente buoni soldati si creavano sotto la disciplina Napoleonica; ma mandati a battaglie forestiere, come amassero l'Italia, e come imparassero a difenderla, io non so vedere; se forse non si voglia credere, che il rovinare i paesi d'altri, ed il distruggere le patrie altrui siano pei soldati salutiferi esempj.

      La servitù s'abbelliva. In questo Napoleone fu singolarissimo. Opere magnifiche, opere utilissime sorgevano. Milano massimamente di tutto splendore splendeva. La mole dell'Ambrosiano tempio cresceva, il foro Buonaparte si disegnava, e da qualche principio già si conosceva quanto grandiosa opera avesse a riuscire, se fosse stato condotto a termine. Eugenio vicerè fomentava i parti più belli dei pittori, degli scultori, degli architettori; la corte pruomovitrice di servitù, era anche pruomovitrice di bellezza. Nuovi canali si cavavano, nuovi ponti s'innalzavano, nuove strade si aprivano. Nè le rocche, nè i dirupi ostavano; l'umana arte stimolata da Napoleone ogni più difficile impedimento vinceva. Sorsero sotto il suo dominio, e per sua volontà due opere piuttosto da anteporsi, che da pareggiarsi alle più belle ed utili degli antichi Romani; queste sono le due strade del Sempione, e del Cenisio, le quali aprendo un facile adito tra le più inospite ed alte roccie d'Italia alla Francia, attesteranno perpetuamente all'età future, in un colla perizia ed attività dei Francesi, la potenza di chi sul principiare del secolo decimonono le umane sorti volgeva. Beato egli, se non avesse corrotto il benefizio colla servitù!

      Era arrivato il tempo, in cui i disegni Napoleonici dovevano colorirsi a danno del re di Spagna; i mezzi pari al fine. Il mettere discordia nella famiglia reale, il far sorgere sospetto nel padre del figliuolo, dispetto nel figliuolo verso il padre, il seminar sospetti sopra la conjugal fede della regina, e al tempo stesso accarezzare chi era soggetto dei sospetti, e farne stromento alle sue macchinazioni, il contaminar la fama di una principessa morta, l'esser del sangue di Carolina di Napoli rinfacciandole, accusar un principe di Spagna delle Caroliniane insidie, perchè più amava la Spagna che la Francia, fare che a Madrid e ad Aranjuez ogni cosa fosse sospetta di fraudi e di tradimenti, e la quieta e confidente vita del tutto sbandirne, furono arti di Napoleone. La subitezza Spagnuola le ruppe col far re Ferdinando, e dimetter Carlo; ma Napoleone ravviava le fila: l'accidente stesso di Aranjuez, che pareva dovere scompigliargli la trama, gli diede occasione di mandarla ad effetto. Trasse con le lusinghe il re Carlo in sua potestà a Bajona: restava, che vi tirasse il re Ferdinando; e il vi tirò. Rallegrossi allora dell'opera compita. Fe' chiamar dal padre il figliuolo ribelle, fe' chiamar dalla madre il figliuolo bastardo, dalle gazzette meditatore scelerato della morte del padre, costrinse il padre ed il figliuolo a rinunziare al regno in suo favore, mandò il padre poco libero a Marsiglia, il figliuolo prigione a Valençay; nominò, ribollendo in lui la cupidità sfrenata dell'esaltazione de' suoi, Giuseppe re di Spagna, Murat re di Napoli. A questo fine era stato concluso il trattato di Fontainebleau, promessa grandezza al re di Spagna, introdotti i Napoleoniani in Ispagna. Ma le cose sortirono effetti diversi da quelli ch'ei si era promesso. Sorsero sdegnosamente gli Spagnuoli contro le ordite sceleraggini, e combatterono i Napoleoniani. Napoleone e i suoi prezzolati scrittori gli chiamarono briganti, gli chiamarono assassini: quest'infamia mancava a tanti scandali.

      Napoleone obbligato a mandar soldati contro Spagna, ed a scemargli in Germania, temeva di qualche moto sinistro. Una nuova dimostrazione dell'amicizia di Russia gli parve necessaria. Fatte le sue esortazioni, otteneva, che Alessandro il venisse a trovare ad Erfurt. Quivi furono splendide le accoglienze pubbliche, intimi i parlari segreti: stava il mondo in aspettazione e timore nel vedere i due monarchi potenti sopra tutti favellare insieme delle supreme sorti. Chi detestava l'imperio dispotico di Napoleone, disperava della libertà d'Europa, perchè essendo le due volontà preponderanti ridotte in una sola, non restava più nè appello, nè ricorso, nè speranza. Chi temeva dell'insorgere progressivo della potente Russia, abborriva ch'ella fosse chiamata ad aver parte in modo tanto attivo nelle faccende d'Europa; conciossiachè le abitudini più facilmente si contraggono, che si dismettono, ed anche l'ambizione del dominare non si rallenta mai, anzi cresce sempre, ed è insanabile. Rotto era e capriccioso il procedere di Napoleone, e però da non durare, mentre l'andare considerato e metodico della Russia dava più fondata cagione di temere. Le scene d'Erfurt erano per Napoleone più