Democrazia futurista: dinamismo politico. F. T. Marinetti

Читать онлайн.
Название Democrazia futurista: dinamismo politico
Автор произведения F. T. Marinetti
Жанр Документальная литература
Серия
Издательство Документальная литература
Год выпуска 0
isbn 4064066071004



Скачать книгу

che ebbero un grande passato sono quelli che mancano oggi di vitalità. Legge futurista. I repubblicani sono oggi ridotti ad un impotente dottrinarismo che si contenta di invocare l'ombra di Mazzini. In realtà Mazzini è vivo come Cavour è vivo, mentre Cappa e Comandini sono dei morti, come Salandra è un morto.

      Partendo da queste nostre concezioni futuriste, il futurista Volt dimostra precisamente come non si possa oggi invocare una tradizione, poichè questa tradizione è assolutamente antinazionale:

      «La nostra grande vittoria è un fatto assolutamente nuovo nella storia d'Italia. Di fronte alla monumentale imbecillaggine degli «assidui» che ingombrano le colonne dei quotidiani con proposte di archi di trionfo, colonne Vendôme, aquile e trofei da carnevale archeologico, giova oggi più che mai ripetere che la grandezza italiana non ha nulla a che fare con quelle antiche grandezze. Noi non dobbiamo nulla al passato. Unica fra le potenze d'Europa, l'Italia è una nazione che manca di tradizioni nazionali. Viceversa, l'Italia abbonda di tradizioni regionali, anazionali o addirittura antinazionali. Noi esamineremo queste tradizioni nefaste attraverso le varie classi, i vari strati della società italiana.

      1. Esercito. L'argomento è troppo delicato perchè se ne possa parlare oggi.

      2. Clero. Si può discutere sulla opportunità di rinfocolare il dissidio fra Chiesa e Stato, ma in ogni modo, questo dissidio esiste, almeno allo stato [pg!42] latente ed è vano negarlo. La ragione di questo dissidio sta appunto nelle tradizioni antinazionali che tenacemente sopravvivono nello organismo della Chiesa Italiana. Vi sono bensì molti cattolici che sono al tempo stesso buoni patrioti ed è da augurarsi che aumentino: ma essi rappresentano nel senso del clericalismo tradizionale una forza rivoluzionaria.

      3. Aristocrazia. I figli dell'aristocrazia italiana hanno fatto il loro dovere sui campi di battaglia nè più nè meno che i figli del popolo e della borghesia, ma nel suo complesso non si può dire che l'aristocrazia si sia messa alla testa della nostra guerra nazionale. Dalle sguaiate denigrazioni di alcuni «figli di preti» al blando ostruzionismo dei blasonati ammiratori del demagogo di Dronero, il neutralismo ha fatta larga presa nella classe nobiliare. Ciò si deve all'assenza di tradizioni nazionali nell'albero genealogico delle più antiche famiglie italiane. Queste tradizioni non potevano esserci, per la semplice ragione che l'Italia, come stato unitario, non ha un passato qualsiasi. Bene o male, siamo una nazione di «parvenus». Coloro dunque che nell'aristocrazia italiana si sono «ralliés» al nuovo regime, aderendo entusiasticamente alla nostra ultima guerra d'indipendenza, hanno dovuto per ciò stesso futuristicamente rinnegare le ombre borboniche o austriacanti dei loro antenati. E sono entrati nella vita.

      4. Borghesia. Ciò che costituisce la gloria della nuova classe dirigente, la borghesia, è la potenza [pg!43] produttiva del lavoro. Ma la recente fioritura delle nostre industrie e del commercio, non si riannoda in alcun modo al passato. L'industria italiana si è modellata sull'esempio dell'industria forestiera; nessuna traccia resta fra noi dell'attività commerciale dei Comuni medioevali e delle gloriose Repubbliche marinare.

      Ciò che di tradizionale resta nella nostra vita economica è solamente un elemento negativo, un ingombro, una palla di piombo legata al piede! Misoneismo, «routine», abitudini sedentarie, orrore delle innovazioni tecniche, mancanza di iniziativa, paura del rischio, micromania, contentamento del piccolo e non sudato guadagno, ecco l'eredità che il nostro «grande passato» lasciò alle industrie ed al commercio italiano. È in forza della tradizione, che il contadino si rifiuta di adoperare le nuove macchine agricole, che il banchiere ha paura di dare il suo sussidio alle nuove industrie, che l'industriale si guarda bene di allargare la cerchia delle proprie operazioni. Tutto ciò che di buono è stato fatto nel campo economico, è stato uno schiaffo di più alle così dette «sante memorie». L'Italia non potrà divenire una grande potenza economica, se non riuscirà a sbarazzarsi totalmente del peso della sua tradizione.

      5. Proletariato. Nella mente dei più il disfattismo popolare è strettamente associato alla idea di rivoluzione. Niente di più falso. Il disfattismo non è che l'eredità di dieci secoli di servitù nazionale. Esiste, nella plebe italiana, e specialmente [pg!44] nelle campagne, una antichissima tradizione antigovernativa, anti-militarista, anti-nazionale, anteriore al socialismo, e che il socialismo non fece che sfruttare abilmente, come la sfruttarono i sanfedisti al tempo non tanto lontano della «guerra del brigantaggio».

      Lo spirito che anima certe «leghe» di Romagna è identico nella sostanza allo spirito della mafia siciliana e della camorra napoletana. Il socialismo non ha fatto che sovrapporre la sua etichetta rossa su di una vecchia merce avariata. Del resto basta avere ascoltato certe canzonaccie, rampollate da chi sa quali bassifondi del disfattismo popolare, per sentire come nulla di nuovo, di ardito, nulla di idealmente rivoluzionario vi sia in un tale stato di animo.

      È l'uomo primitivo timido e selvatico, che nello stato moderno non vede che il Consiglio di leva e l'esattore delle imposte, il «Moloch» divoratore di uomini e di beni; è il bruto originario, attaccato come una talpa alla miseria della propria tana, che la guerra ha strappato alle querimonie domestiche e alle angustie del mestiere quotidiano, lanciandolo verso il rischio, l'avventura, l'ignoto, rinnovandolo e facendo di lui, suo malgrado, un uomo. Contro quest'opera della guerra, contro questa vera e grande rivoluzione spirituale del popolo italiano, si oppone, sorda e tenace, la resistenza della tradizione. A noi la scelta! La guerra ha posto un dilemma fra il passato e l'avvenire. Da una parte, tutte le forze antinazionali [pg!45] del passato, che si ragrupparono sotto le ambigue insegne del neutralismo. Dall'altra l'Italia. Il grano e il loglio da ardere. La vita contro la morte. Essere futurista, significa avere optato per la vita. Combattere il passatismo, significa combattere una tradizione antinazionale che ha la sua radice nei secoli. Perchè, in Italia, tradizione è sinonimo di disfatta». [pg!47]

       Indice

      Crollo di filosofi e storici, sibille a rovescio.

      Quando ho del tempo da perdere mi diverto a guardare attentamente dentro le filosofie, a smontarle, a ricomporle, come i bambini guardano dentro a un orologio, lo smontano e lo ricompongono, senza guardare l'ora segnata dalla freccia, poichè so che certamente quella non è l'ora vera.

      I filosofi e gli storici non avevano previsto la conflagrazione, hanno creduto per molto tempo nella invincibilità della Germania.

      In novembre furono brutalmente rovesciati dal tremendo ceffone della vittoria.

      Data la pendenza del terreno hanno la testa bassa e i piedi in alto. Io li chiamo Sibille rovesciate o Sibille a rovescio. Sono terrorizzate. Speravano nella quiete e vedono intorno un terreno terremotato con molte mine inquiete. Tremano che il disordine continui.

      II terrore è pessimo consigliere. Non capiscono. E come sempre si sbagliano nel prevedere.

      Sono le «Sibille a rovescio». Mi spiego: Volete [pg!50] prevedere il futuro? Pensate esattamente il contrario di ciò che prevedono.

      Se mormorano piangendo che la rivoluzione sta per scoppiare, è certo che la rivoluzione scoppierà fra 5 anni.

      Se la prevedono lontana essa può scoppiare stasera.

      La più caratteristica di queste sibille a rovescio è Guglielmo Ferrero.

      Pochi mesi prima dell'ultimatum austriaco alla Serbia egli esaltava la invincibilità della Germania e la impossibilità della conflagrazione.

      In realtà filosofi e storici avendo fatto della filosofia e della storia dei mestieri lucrativi, tengono assolutamente alla immobilità della loro lampada serale sul tavolo ingombro di documenti e temono gli scossoni fragorosi e tetri della piazza rivoluzionaria.

      Prendono dunque per realtà l'ideale verdegiallo della loro vigliaccheria sedentaria e editoriale.

      Giorgio Sorel in un recente articolo intitolato: «Dubbi sull'avvenire intellettuale» piange sul tradimento intellettuale del filosofo francese Boutroux che «dopo aver consacrato