Nozze d'oro. Enrico Castelnuovo

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Название Nozze d'oro
Автор произведения Enrico Castelnuovo
Жанр Языкознание
Серия
Издательство Языкознание
Год выпуска 0
isbn 4064066070649



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da una cucina casalinga per tre persone a una cucina di lusso per dodici... Quando sono entrata al loro servizio ne sapevo più di adesso... È molto se si accende il forno una volta per settimana.

      — Via, via, — disse in tono conciliante l'Angela che non voleva provocare una crisi in un momento così difficile — ora avrete campo di farvi valere... Del resto, non vi sarà nessuno che abbia esigenze superiori ai vostri meriti.

      Rabbonita dagli elogi, la Marianna ripigliò:

      — Domani a pranzo saranno in dieci, non è vero?

      — Appunto... In dieci... semprechè non vi siano sorprese.

       — Uno di più uno di meno non importa... Si prepara per dodici... Doman l'altro poi?...

      — Per ora non sono annunziati che i miei due fratelli di Roma e di Parigi e quel mio nipote Tullio ch'è già stato parecchie volte.

      — Un gran bravo giovine — dichiarò la cuoca con accento di profonda convinzione. — Gli piace tanto il mio vol-au-vent.

      — Benone! Per doman l'altro ci farete un vol-au-vent.

      La cuoca assentì con un cenno dignitoso del capo. Ma a un tratto, battendosi il fronte, ella esclamò: — A proposito, signorina, ha pensato che doman l'altro saranno in tredici?

      — Come?

      — Scusi; domani sono in dieci, ne arrivano tre nella giornata di sabato: dieci e tre tredici... Del resto, si fa subito il conto.

      E con mirabile rapidità ella principiò e finì la sua enumerazione.

      — Il signor Prefetto, la padrona e lei, questi son tre; la signora Letizia e due figliuoli, tre e tre sei; il signor Cesare, il signor Girolamo, il signor Luciano e il signor Tullio, sei e quattro dieci; la signora Marialì col marito e la ragazza, dieci e tre tredici.

      Giacomo, che assisteva al colloquio, parve maravigliato d'una precisione di calcolo che la Marianna non soleva possedere nell'addizionare la cifra delle spese; ma la più confusa fu l'Angela che non si capacitava d'aver trascurato una circostanza così grave... Non era superstiziosa, ma insomma quel tredici a tavola in una solennità domestica l'era di cattivo augurio.

      Tuttavia ella si limitò a rispondere: — Non è ancora ben certo che non venga una delle mie cognate; in ogni modo c'è sempre il tempo d'invitare il dottore, o il parroco, o qualche amico, e in tredici non saremo. E adesso coricatevi pure, Marianna, che domattina dovete esser lesta di buon'ora anche voi.

      L'Angela fece un cenno a Giacomo che con un lume in mano precedette la padroncina su per le scale e intraprese con lei il giro delle camere riservate agli ospiti, cominciando da quella del signor Cesare, il primo che doveva arrivare.

       Indice

      — Saranno dieci anni in Febbrajo — notò Giacomo — che è morto quì il povero signor Manlio.

      — Proprio in Febbrajo — sospirò l'Angela mentre si assicurava che le coperte del letto erano sufficienti. — Allorch'egli era un ragazzo e Cesare era appena uscito dalle mani della bambinaja era questa la camera ove stavano tutti e due nelle poche settimane di primavera e d'autunno che passavano a Villarosa. Dopo, Cesare principiò la sua vita randagia e la camera rimase al solo Manlio. V'erano però sempre i due letti... te ne ricordi?

      — Sì, sì.

      — E ogni volta che Cesare faceva una corsa alla villa, egli ripigliava il suo posto presso il fratello a cui voleva tanto bene.

      — E quanto ne voleva a lui il signor Manlio! E come lo chiamava in quegli ultimi giorni!

      — Cesare era allora a Costantinopoli... Non ci fu il verso d'avvertirlo — replicò l'Angela. — È stato un precipizio.

      Troncando il discorso penoso, l'Angela volle verificar co' suoi occhi se c'era l'acqua nella brocca del lavamano, se c'erano i fiammiferi sul comodino e i pettini sul tavolino da toilette.

      — Cesare potrebbe aver bisogno di riposarsi un pajo d'ore — ella disse. — Devono essere quasi quindici giorni ch'egli non dorme in un buon letto... E faceva di quei sonni quand'era un ragazzo!

      Dalla camera di Cesare l'Angela, sempre accompagnata dal servo, passò nel quartierino assegnato alla Letizia Alvarez e ai suoi due figliuoli. La camera della Letizia era forse la più bella della villa, esposta a mezzogiorno, sul giardino, e non c'è dubbio che le cognate di Roma e di Parigi, se fossero venute, ne sarebbero state gelose. Meglio dunque, per questo lato, che non venissero. In quanto a Marialì, aveva tanti altri difetti, ma era tagliata più alla buona e non badava a certe piccinerie. Quella benedetta Letizia invece aveva i suoi fumi fin da ragazza, fin da quando, venticinque anni addietro, alla Prefettura di Salerno, faceva lei gli onori di casa in sostituzione della sua mamma sempre timida ed impacciata. Poi ell'aveva conosciuto il tenente di vascello Alvarez, che, sposandola, le aveva comunicato le sue arie di grande di Spagna in partibus, benchè, con tutto il suo Alvarez, egli fosse di famiglia borghese arricchitasi nel commercio di oggetti di tartaruga. E anzi questo traffico, abbandonato dal padre di lui, fu continuato sino all'ultimo da uno zio che aveva bottega in Piazza del Plebiscito e che in mancanza di parenti più vicini lasciò erede il nipote. Costui si affrettò a cedere il negozio, con l'espresso divieto di far figurare in qualsiasi modo il nome di Alvarez nell'insegna della nuova ditta, e mentre ereditava il patrimonio riusciva a far sparire dalla casa ogni traccia di tartarughe e dal cuore ogni ricordo dello zio generoso.

       — Speriamo — disse l'Angela la quale aveva fatto addobbare a nuovo la camera — che queste tappezzerie incontrino il gusto di mia sorella.

      — È un alloggio da regina — ribattè Giacomo. — Vorrei vedere che non ne fosse contenta!

      — Tu non sai che luogo di delizie abbia mio cognato a Posilipo — riprese l'Angela. — Io conosco la posizione, un incanto; non conosco la villa che fu fabbricata solo negli ultimi anni; ma mio nipote Tullio che ci fu due volte me ne faceva una descrizione entusiastica. E sì ch'egli vive parte dell'anno a Parigi e anche a casa sua si trattano da gran signori.

      Giacomo era poco persuaso. — Per la posizione, sarà. Lì c'è la collina, lì c'è il mare, e quì non abbiamo che una pianura bassa. Ma per la camera, via... neppure sua sorella ne avrà una migliore di questa.

      — Almeno avesse il bagno accanto! — soggiunse l'Angela.

      — Se vorrà fare il bagno — notò il servo — scenderà a pianterreno come gli altri... come, del resto, scendeva tre anni fa...

       — Ti ricordi che se ne lagnava? E ripeteva sempre: Nella villa che stiamo fabbricando a Posilipo il bagno è attiguo alla camera da letto.

      Giacomo si strinse nelle spalle. — In fin dei conti, quanto tempo si tratterrà quì? Cinque o sei giorni.

      — Forse meno.

      — E allora, scusi, che pretese ha? Viene a Villarosa per una festa di famiglia; dovrebbe pazientare se pur non ha tutti gli agi di casa sua.

      — Hai ragione, ma...

      E intanto l'Angela esaminava il tavolino da toilette su cui erano disposte boccette e boccettine d'acqua d'odore, e spazzole d'ogni misura per le unghie e pei denti, e scatole di cipria e lime e pinzette.

      — Quì mi pare ce ne sia d'avanzo — ella osservò. — Già non c'è dubbio che la Letizia porterà seco tutto quello che le occorre.

      — Ella, padroncina, non ha mai avuto tante smorfie — borbottò Giacomo.

      — Io sono una zoticona, sono una campagnuola...

      — E il defunto signor Luigi, poi, figuriamoci!

       — Oh, quello era un filosofo... I suoi libri, le sue passeggiate, la sua pipa, e non voleva altro... Lo dicevano un orso.

      — Ce ne fossero di quegli orsi!