Название | La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке |
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Автор произведения | Данте Алигьери |
Жанр | Поэзия |
Серия | Lettura classica |
Издательство | Поэзия |
Год выпуска | 1320 |
isbn | 978-5-9925-1285-4 |
e talvolta partir per loro scampo;
4 corridor vidi per la terra vostra,
o Aretini, e vidi gir gualdane,
fedir torneamenti e correr giostra;
7 quando con trombe, e quando con campane,
con tamburi e con cenni di castella,
e con cose nostrali e con istrane;
10 né già con sì diversa cennamella
cavalier vidi muover né pedoni,
né nave a segno di terra o di stella.
13 Noi andavam con li diece demoni.
Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa
coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
16 Pur a la pegola era la mia ’ntesa,
per veder de la bolgia ogne contegno
e de la gente ch’entro v’era incesa.
19 Come i dalfini, quando fanno segno
a’ marinar con l’arco de la schiena
che s’argomentin di campar lor legno,
22 talor così, ad alleggiar la pena,
mostrav’ alcun de’ peccatori ’l dosso
e nascondea in men che non balena.
25 E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fuori,
sì che celano i piedi e l’altro grosso,
28 sì stavan d’ogne parte i peccatori;
ma come s’appressava Barbariccia,
così si ritraén sotto i bollori.
31 I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,
uno aspettar così, com’ elli ’ncontra
ch’una rana rimane e l’altra spiccia;
34 e Graffiacan, che li era più di contra,
li arruncigliò le ’mpegolate chiome
e trassel sù, che mi parve una lontra.
37 I’ sapea già di tutti quanti ’l nome,
sì li notai quando fuorono eletti,
e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.
40 «O Rubicante, fa che tu li metti
li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,
gridavan tutti insieme i maladetti.
43 E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,
che tu sappi chi è lo sciagurato
venuto a man de li avversari suoi».
46 Lo duca mio li s’accostò allato;
domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose:
«I’ fui del regno di Navarra nato.
49 Mia madre a servo d’un segnor mi puose,
che m’avea generato d’un ribaldo,
distruggitor di sé e di sue cose.
52 Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;
quivi mi misi a far baratteria,
di ch’io rendo ragione in questo caldo».
55 E Ciriatto, a cui di bocca uscia
d’ogne parte una sanna come a porco,
li fé sentir come l’una sdruscia.
58 Tra male gatte era venuto ’l sorco;
ma Barbariccia il chiuse con le braccia
e disse: «State in là, mentr’ io lo ’nforco».
61 E al maestro mio volse la faccia;
«Domanda», disse, «ancor, se più disii
saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia».
64 Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii
conosci tu alcun che sia latino
sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii,
67 poco è, da un che fu di là vicino.
Così foss’ io ancor con lui coperto,
ch’i’ non temerei unghia né uncino!».
70 E Libicocco «Troppo avem sofferto»,
disse; e preseli ’l braccio col runciglio,
sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
73 Draghignazzo anco i volle dar di piglio
giuso a le gambe; onde ’l decurio loro
si volse intorno intorno con mal piglio.
76 Quand’ elli un poco rappaciati fuoro,
a lui, ch’ancor mirava sua ferita,
domandò ’l duca mio sanza dimoro:
79 «Chi fu colui da cui mala partita
di’ che facesti per venire a proda?».
Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita,
82 quel di Gallura, vasel d’ogne froda,
ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,
e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
85 Danar si tolse e lasciolli di piano,
sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche
barattier fu non picciol, ma sovrano.
88 Usa con esso donno Michel Zanche
di Logodoro; e a dir di Sardigna
le lingue lor non si sentono stanche.
91 Omè, vedete l’altro che digrigna;
i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello
non s’apparecchi a grattarmi la tigna».
94 E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello
che stralunava li occhi per fedire,
disse: «Fatti ’n costà, malvagio uccello!».
97 «Se voi volete vedere o udire»,
ricominciò lo spaurato appresso,
«Toschi o Lombardi, io ne farò venire;
100 ma stieno i Malebranche un poco in cesso,
sì ch’ei non teman de le lor vendette;
e io, seggendo in questo loco stesso,
103 per un ch’io son, ne farò venir sette
quand’ io suffolerò, com’ è nostro uso
di fare allor che fori alcun si mette».
106 Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,
crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia
ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!».
109 Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,
rispuose: «Malizioso son io troppo,
quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia».
112 Alichin non si tenne e, di rintoppo
a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,
io non ti verrò dietro di gualoppo,
115 ma batterò sovra la pece l’ali.
Lascisi