La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери

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Название La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке
Автор произведения Данте Алигьери
Жанр Поэзия
Серия Lettura classica
Издательство Поэзия
Год выпуска 1320
isbn 978-5-9925-1285-4



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mostrar gran fretta

      de l’animo, col viso, d’esser meco;

      ma tardavali ’l carco e la via stretta.

      85 Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco

      mi rimiraron sanza far parola;

      poi si volsero in sé, e dicean seco:

      88 «Costui par vivo a l’atto de la gola;

      e s’e’ son morti, per qual privilegio

      vanno scoperti de la grave stola?».

      91 Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio

      de l’ipocriti tristi se’ venuto,

      dir chi tu se’ non avere in dispregio».

      94 E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto

      sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,

      e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.

      97 Ma voi chi siete, a cui tanto distilla

      quant’ i’ veggio dolor giù per le guance?

      e che pena è in voi che sì sfavilla?».

      100 E l’un rispuose a me: «Le cappe rance

      son di piombo sì grosse, che li pesi

      fan così cigolar le lor bilance.

      103 Frati godenti fummo, e bolognesi;

      io Catalano e questi Loderingo

      nomati, e da tua terra insieme presi

      106 come suole esser tolto un uom solingo,

      per conservar sua pace; e fummo tali,

      ch’ancor si pare intorno dal Gardingo».

      109 Io cominciai: «O frati, i vostri mali…»;

      ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse

      un, crucifisso in terra con tre pali.

      112 Quando mi vide, tutto si distorse,

      soffiando ne la barba con sospiri;

      e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,

      115 mi disse: «Quel confitto che tu miri,

      consigliò i Farisei che convenia

      porre un uom per lo popolo a’ martìri.

      118 Attraversato è, nudo, ne la via,

      come tu vedi, ed è mestier ch’el senta

      qualunque passa, come pesa, pria.

      121 E a tal modo il socero si stenta

      in questa fossa, e li altri dal concilio

      che fu per li Giudei mala sementa».

      124 Allor vid’ io maravigliar Virgilio

      sovra colui ch’era disteso in croce

      tanto vilmente ne l’etterno essilio.

      127 Poscia drizzò al frate cotal voce:

      «Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci

      s’a la man destra giace alcuna foce

      130 onde noi amendue possiamo uscirci,

      sanza costrigner de li angeli neri

      che vegnan d’esto fondo a dipartirci».

      133 Rispuose adunque: «Più che tu non speri

      s’appressa un sasso che da la gran cerchia

      si move e varca tutt’ i vallon feri,

      136 salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;

      montar potrete su per la ruina,

      che giace in costa e nel fondo soperchia».

      139 Lo duca stette un poco a testa china;

      poi disse: «Mal contava la bisogna

      colui che i peccator di qua uncina».

      142 E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna

      del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’

      ch’elli è bugiardo e padre di menzogna».

      145 Appresso il duca a gran passi sen gì,

      turbato un poco d’ira nel sembiante;

      ond’ io da li ’ncarcati mi parti’

      148 dietro a le poste de le care piante.

      Canto XXIV

      In quella parte del giovanetto anno

      che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra

      e già le notti al mezzo dì sen vanno,

      4 quando la brina in su la terra assempra

      l’imagine di sua sorella bianca,

      ma poco dura a la sua penna tempra,

      7 lo villanello a cui la roba manca,

      si leva, e guarda, e vede la campagna

      biancheggiar tutta; ond’ ei si batte l’anca,

      10 ritorna in casa, e qua e là si lagna,

      come ’l tapin che non sa che si faccia;

      poi riede, e la speranza ringavagna,

      13 veggendo ’l mondo aver cangiata faccia

      in poco d’ora, e prende suo vincastro

      e fuor le pecorelle a pascer caccia.

      16 Così mi fece sbigottir lo mastro

      quand’ io li vidi sì turbar la fronte,

      e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;

      19 ché, come noi venimmo al guasto ponte,

      lo duca a me si volse con quel piglio

      dolce ch’io vidi prima a piè del monte.

      22 Le braccia aperse, dopo alcun consiglio

      eletto seco riguardando prima

      ben la ruina, e diedemi di piglio.

      25 E come quei ch’adopera ed estima,

      che sempre par che ’nnanzi si proveggia,

      così, levando me sù ver’ la cima

      28 d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia

      dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa;

      ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia».

      31 Non era via da vestito di cappa,

      ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,

      potavam sù montar di chiappa in chiappa.

      34 E se non fosse che da quel precinto

      più che da l’altro era la costa corta,

      non so di lui, ma io sarei ben vinto.

      37 Ma perché Malebolge inver’ la porta

      del bassissimo pozzo tutta pende,

      lo sito di ciascuna valle porta

      40 che l’una costa surge e l’altra scende;

      noi pur venimmo al fine in su la punta

      onde l’ultima pietra si scoscende.

      43 La lena m’era del polmon sì munta

      quand’ io fui sù, ch’i’ non potea più oltre,

      anzi m’assisi ne la prima giunta.

      46 «Omai convien che tu così ti spoltre»,

      disse