Название | Olanda |
---|---|
Автор произведения | Edmondo De Amicis |
Жанр | Книги о Путешествиях |
Серия | |
Издательство | Книги о Путешествиях |
Год выпуска | 0 |
isbn | 4064066072049 |
Visitata la camera, stesi sul tavolino la pianta di Rotterdam e feci i miei studi preparatorii per il domani.
È una cosa singolare che le grandi città dell’Olanda, benchè sian state fabbricate in un suolo malfermo, e vincendo difficoltà d’ogni specie, hanno tutte una forma straordinariamente regolare. Amsterdam è un semicircolo, l’Aja è un quadrato, Rotterdam è un triangolo equilatero. La base del triangolo è una immensa diga, che difende la città dalla Mosa, chiamata Boompjes, che significa in olandese alberetti, da una fila di piccoli olmi, ora altissimi, che vi furon piantati quando fu costruita. Un’altra gran diga forma un secondo baluardo contro le inondazioni del fiume, che divide in due parti quasi uguali la città, dal mezzo del lato sinistro fino all’angolo opposto. La parte di Rotterdam compresa fra le due dighe è tutta grandi canali, isolette e ponti, ed è la città nuova; quella che si stende di là dalla seconda diga è la città antica. Due grandi canali si stendono lungo gli altri due lati della città fino al vertice, dove si congiungono, e ricevono un fiume che si chiama Rotte, il quale, colla parola dam che significa diga, forma il nome di Rotterdam.
Compiuto così il mio dovere di viaggiatore coscienzioso, usando mille cautele per non offendere nemmeno col fiato la pulizia purissima di quel gioiello di camera, mi abbandonai con una sorta di timidità contadinesca al mio primo letto olandese.
I letti olandesi, parlo di quei degli alberghi, sono ordinariamente corti, larghi, e occupati in buona parte da un grandissimo guanciale pieno di piuma, nel quale s’affonderebbe la testa d’un ciclope; e aggiungo, per dir tutto, che il lume ordinario è una bugia di rame grande come un piatto che potrebbe sostenere una torcia a vento, e regge invece, una candelina corta e sottile come il dito mignolo di una spagnuola.
La mattina, appena levato, scesi le scale a precipizio.
Che strade, che case, che città, che confusione di cose nuove per uno straniero: che spettacolo diverso da tutto quel che si vede in tutti gli altri paesi d’Europa!
Vidi prima l’Hoog-Straat, una strada lunghissima e diritta, che corre sulla diga interna della città.
Le case senza intonaco, color di mattone di tutte le sfumature, dal rosso cupo quasi nero, al rosso quasi roseo, la maggior parte non più larghe di due finestre e non più alte di due piani, hanno il muro della facciata che sorpassa e nasconde il tetto, stringendosi in forma di triangolo mozzo, sormontato da un frontone. Di queste facciate a punta, altre s’alzano con due curve, come un lungo collo senza testa; altre son tagliate a scalini, come le case che fanno i bambini coi legnetti; alcune presentano il prospetto d’un padiglione conico, altre di chiesuole di campagna, altre di baracche da palcoscenico. I frontoni sono generalmente contornati di righe bianche, di ornati di cattivo gusto, di grossolani rabeschi in rilievo intonacati; le finestre e le porte, con larghi contorni bianchi; altre righe bianche fra piano e piano; gli spazii tra porta e porta di bottega, rivestiti di legno bianchiccio; così che per tutta la lunghezza delle strade non si vedon che due colori: bianco e rosso scuro, e in lontananza tutte le case paion nere, listate di tela, e presentano un aspetto tra funebre e carnevalesco, che lascia in dubbio se s’abbia da dire che rattrista o che rallegra. Al primo aspetto mi venne da ridere, non parendomi possibile che quelle case fossero state fatte sul serio, e che ci potesse star dentro della gente posata. Avrei detto che passata l’occasione di non so che festa dovessero sparire, come certi edifizi di cartone dopo che si son fatti i fuochi d’artifizio.
Mentre guardavo così vagamente la strada, vidi una casa che mi fece fare un atto di stupore. Credetti d’aver preso abbaglio, la guardai meglio, guardai le case vicine, le raffrontai colla prima e fra di loro, e temetti ancora di aver le traveggole. Svoltai in fretta in una strada laterale e mi parve di vedere la stessa cosa. Infine mi persuasi che veramente non m’ingannavo, e che tutta la città era in quel modo.
Tutta la città di Rotterdam è tal quale sarebbe una città rimasta immobile nel punto che, scossa da un terremoto, stava per cadere in rovina.
Tutte le case—si possono, in una strada, contar le eccezioni sulle dita—pendono, quale più quale meno; ma la maggior parte tanto che, all’altezza del tetto, sporgono innanzi un buon braccio dalla casa vicina, che sia ritta o inclinata appena visibilmente. Ma lo strano è questo, che le case che si toccano le une con le altre, sono inclinate da diverse parti; una pende innanzi, che pare voglia precipitare; l’altra pende indietro; una s’inclina a sinistra, l’altra s’inclina a destra. In alcuni punti sei o sette case contigue pendono tutte innanzi, quelle in mezzo di più, quelle all’estremità di meno, formando così una gran pancia come uno stecconato che s’incurvi sospinto da una folla. In altri punti due case un po’ discoste s’inclinano l’una verso l’altra come si sorreggessero a vicenda. In certe strade, per un lungo tratto, tutte le case pendono dalla stessa parte di fianco, come alberi abbattuti l’un sull’altro dal vento; e poi, per un altro lungo tratto, pendono tutte nella direzione opposta, come un’altra fila d’alberi incurvati da un vento contrario. In alcuni punti vi è una certa regolarità d’inclinazione, che quasi non si avverte; in altri, su certi crocicchi, in certe stradette è uno scompiglio da non poter descrivere, una vera baldoria architettonica, una danza di case, un disordine che sembra animato. Vi son le case che par che caschin innanzi dal sonno, quelle che si rovesciano indietro spaventate, quelle che s’inclinano l’una verso l’altra, quasi fino a toccarsi coi tetti, come per confidarsi di segreti; quelle che si cascano addosso le une alle altre come ubriache; alcune che pendono indietro, in mezzo a due che pendono innanzi, come malfattori strascinati da due guardie; schiere di case che fanno una riverenza a un campanile; gruppi di casette tutte inclinate verso una nel mezzo, che par che congiurino contro qualche palazzo. E dirò poi il segreto della cosa.
Ma nè la forma, nè l’inclinazione son quello che mi parve più curioso in quelle case.
Bisogna osservarle attentamente, una per una, dall’alto al basso, e c’è da divertirsi come dinanzi a un quadro.
Sulla sommità della facciata, nel mezzo del frontone, sporge, in alcune case, un tronco di trave inclinato, con una carrucola e una corda per calare e tirar su secchiolini e corbelli. In altre, sporge pure, da un finestrino tondo, una testa di cervo, di montone o di capra. Sotto la testa, v’è un cordone di pietre imbiancate, o una traversa di legno che taglia tutta la facciata. Sotto la traversa, vi son due larghe finestre, sulle quali sporgono due tende in forma di baldacchino ricascanti dai lati. Sotto queste tende, sui vetri più alti, una piccola cortina verde. Sotto la cortina verde, due tendine bianche ed aperte, in mezzo alle quali è sospesa una gabbietta d’uccelli o un canestro pieno di fiori che spenzolano. Sotto questo canestro, appoggiata ai vetri, una rete di sottilissimi fili di ferro incorniciata, che impedisce di veder dentro la stanza. Dietro la rete, negli intervalli fra la rete stessa e i muri della finestra, un tavolinetto con su porcellane, cristallame, fiori, ninnoli, figurine. Sulla pietra del davanzale, dalla parte della strada, una fila di piccoli vasi di fiori. Nel mezzo della pietra o da un lato, un ferro sporgente sulla strada, curvo, rivolto in su, che sostiene due specchi uniti in forma d’un libro, mobili, e sormontati da un terzo specchietto, pure mobile; in modo che dall’interno della casa si può vedere, senz’essere visti, tutto quello che segue nella strada. In alcune case, tra finestra e finestra sporge un lampione. Sotto le finestre, la porta di casa o d’una bottega. Se è una bottega, v’è sopra la porta o una testa di moro colla bocca spalancata, o una testa di turco che fa la smorfia: ora un elefante, ora un’oca: dove una testa di cavallo, dove una testa di toro, dove un serpente, dove una mezza luna, dove un mulino a vento, dove un braccio disteso che tiene in mano un oggetto diverso secondo il genere della bottega. Se è la porta di casa,—sempre chiusa,—v’è una lastra di ottone con su scritto il nome dell’inquilino, un’altra lastra con una buca per le lettere, una terza lastra sul muro col pomo del campanello; lastre, chiodi, serrature, tutto luccicante come l’oro. Dinanzi alla porta un ponticino di legno—perchè in molte case il piano terreno è assai più basso della strada;—e dinanzi al ponticino, due colonnette