Novelle e paesi valdostani. Giacosa Giuseppe

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Название Novelle e paesi valdostani
Автор произведения Giacosa Giuseppe
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
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posso dire quanta dolcezza supplichevole c'era in quelle parole: Vuole, signore?

      Sicuro che volevo, anche a costo di passarci due giornate volevo; al piccolo Cervino ci sarei salito un'altra volta, perchè sulle vette era inutile cercare.

      Sul ghiacciaio, che, valicato appena il Teodulo, sale verso il Breithorn, trovammo delle peste.

      – Sono le sue, – disse Jacques; – sono peste di cinque o sei giorni e di un uomo solo; combinano. Speravo che fosse rimasto a Zermatt; se è salito è morto.

      Seguitammo le peste per oltre un'ora, ma giunti al piano superiore, ne smarrimmo ogni traccia; era nevicato di fresco e la neve era tutta vergine e piana. Dopo avere aggirato senza frutto tutto quanto il ghiacciaio, verso l'imbrunire ci cascò l'animo e la forza. Giungemmo all'albergo del Fiery verso le undici di sera. La casa era tutta scura e silenziosa, ma l'oste doveva essere di sonno leggiero, perchè, appena la mia guida l'ebbe chiamato per nome, si affacciò ad una finestra e disse:

      – Sei tu, Jacques?

      – Sì, apri.

      L'oste senza muoversi replicò:

      – È là dietro la casa vicino al fienile; ora scendo.

      Jacques fu di un salto al luogo indicato, ed io lo seguii tastoni. Prima che l'oste giungesse, avevo acceso un cerino e vedemmo coricato su di un trave un sacco chiuso alla bocca, pieno, ma tutto gobbe e rilievi. Jacques capì, io indovinai al gesto ch'egli fece; in quella giunse l'oste.

      – L'hanno portato stassera, le guide di Gressoney lo trovarono ieri sul ghiacciaio d'Aventina; oggi salirono coi pastori a pigliarlo. Domani verrà il pretore per l'atto. Era seduto sulla neve, i piedi neri per la cancrena: la tormenta lo ha preso e fermato, il freddo gli ha dato la cancrena ai piedi, dovette sedere e si addormentò.

      Jacques aperse il sacco, lo rimboccò fino a scoprire la testa del morto, lo baciò sulla bocca gli fece un segno di croce col pollice, sulla fronte, poi richiuse il sacco e disse all'oste:

      – Dacci da cena, questo signore muore di fame.

      MISERERE

Memorie di viaggio

      Nel fondo di una valle ignota ai touristes, c'è un paesuccio di dieci o dodici case miserissime piantate una a ridosso dell'altra in salita, di modo che le finestre della seconda guardano sulla prima e così via. Il villaggio si allunga nel senso della valle e questa è così stretta che non dà spazio a due case di fronte; un torrentello rabbioso e grigio uscito pur ora dalla morena di un piccolo ghiacciaio, tiene col suo letto quanto spazio piano intercede fra le opposte montagne e rumoreggia incassato in una gola profonda e dirupata. L'unica via del paese e le case corrono sul fianco della montagna a sinistra del torrente; la montagna è erta e delle case, quello che è primo piano sulla facciata verso la via, di dietro è piano terreno.

      Nei mesi della state il sole scende talora in quel baratro e vi fa fumare le pozzanghere dei letamai, ma dura poco; i raggi non vi giungono che a perpendicolo, appena inclinati il monte li intercetta. Quei paesani non vedono mai l'ombra delle loro case, non conoscono i bei lembi oscuri di terreno contorniati da terreni luminosi, nè l'affievolirsi graduale dei raggi nelle ore del tramonto. Là il sole dardeggia o tace, vi piomba come un fulmine, arde un momento e scompare. L'inverno dura sei mesi, nei quali la vicenda delle ore non produce che un alternarsi di diverse oscurità; la mezza luce che regna costante impedisce i crepuscoli o almeno non li lascia avvertire, la notte ed il giorno si seguono rapidamente come per l'abbassarsi o il levarsi repentino di una cortina. I villani leggono per così dire il nome di ogni mese sulle alture delle montagne; in novembre il sole non giunge che a quel punto, in dicembre a quell'altro, gennaio lo attira più in basso, febbraio più basso ancora, finchè giugno lo reca in paese e settembre ne lo riporta via. Le nebbie vi sono frequenti e fitte, i muri delle case che se ne imbevvero mostrano qua e là sgretolati delle pietre lucide sudanti per l'umido. Quando l'aria è tranquilla il paese manda un odore eguale di stalla, di latte, di fieno, con qualche nota caprina acuta come un sibilo. Colla nebbia gli odori si condensano e penetrano nel vestimento. La via fu già e forse dura selciata tuttora, protetta com'è da uno spesso strato di melma, di letame e di pagliume che la fa meno sdrucciolevole ed assorda il rumore dei passi sicchè pare che la gente vi cammini in punta di piedi. D'altronde gli abitanti portano certe scarpe di panno colla suola di corda intrecciata che non fanno rumore; dalla via si vedono le donne salire su per le scale di legno e passare lungo i ballatoi senza rendere il menomo suono.

      Un forestiere che vi giungesse a sera, lo crederebbe un paese maledetto e disabitato. Siccome le stalle non guardano verso la via, non c'è lume a nessuna finestra; solo pei chiassuoli fra una casa e l'altra si vede talora un piccolo cerchio di luce pallida, incerta, una bianchezza nebbiosa diffusa per l'aria che mette in pensiero di nefandi sortilegi. Quella luce esce traverso i vetri unti, sudanti, rabescati di ragnatele, di una finestrucola bassa e stretta aperta a fior di terra. Di là, col poco raggio giungono suoni che non hanno nome, voci sommesse che sembrano provenire dalle viscere della terra, senza intervalli, simili a preghiere bisbigliate in una cripta intorno ad un sepolcro.

      Gli abitanti vestono di nero, le donne portano in capo una cuffia nera e gli uomini un berrettone dello stesso colore. Parlano poco, ridono poco, hanno l'aria sospettosa e dolente propria degli esseri che vivono isolati. Infatti, quel paese non vede forse dieci forestieri l'anno, e di quelli, cinque almeno sono fuggiaschi in cerca di valichi difficili ed ignorati; gente che giunge a notte, si rimpiatta sui fienili e parte prima che aggiorni.

      La chiesa è servita da un cappellano che quando non è un santo, è un prete iroso caduto in disgrazia del vescovo e messo lì per punizione. C'è anche un'osteria, ed è la casa più alta del paese, una casa grossa che pare e fu già un convento, bianca, fredda, piena di finestre chiuse e di camere vuote. Invece di serrarsi in due o tre stanze a terreno, la vecchia padrona disseminò i pochi mobili nei più vasti ambienti della casa, cosicchè dalla sala da pranzo, per chiamar gente non basta levare la voce, bisogna percorrere a tastoni un lungo andito, dove le assi fradicie cedono sotto i passi, affacciarsi alla scala e picchiare col bastone sugli scalini di legno che suonano a vuoto.

      Nella camera a dormire, sopra un cassettone zoppo da un piede, una campana di vetro racchiude il busto in cera di una vecchia vestita da signora, certo qualche parente morta della padrona. La faccia ha l'orribile perfezione dei ritratti calcati nella maschera tolta sul cadavere; la cera trasudata traverso la tinta di carminio ritorna al viso morto il colore invano falsificato ed una polvere finissima filtrata malgrado il panno che orla la bocca della campana, mette su quelle guancie dei rilievi terrosi e delle ombre che ricordano la spaventevole magrezza dei morti. Quel viso di pergamena è ornato da due lunghi ricci inanellati. Al peso dei passi il tavolato traballando fa zoppicare il cassettone ed i ricci dondolano gravemente, col piccolo fruscio asciutto delle foglie secche.

      Io giunsi al villaggio sul fare della notte; per strada, discorrendo col mulattiere, avevo appreso che la padrona della locanda era una vecchia zitellona sospetta di stregoneria tanto che nessuna ragazza per bisognosa che fosse, aveva potuto durare domestica nella sua casa. Non che fosse bisbetica o manesca, al contrario: amava di soccorrere le miserie dei compaesani e tutto il villaggio era indebitato con lei; ma il suo aspetto era così rigido e severo, e così asciutta la sua voce e così brusco l'accento e l'occhio così immobile a fissare lontano le cose che non si vedono! Di più nell'osteria c'era una camera dove non era mai entrata anima viva e dove tutte le sante notti dell'anno il lume durava acceso fino alla mattina. Gli anziani del paese raccontavano che anche quand'era giovane e bella da dipingere, Mademoiselle aveva l'occhio vitreo e l'orecchio sempre teso ad ascoltare le voci.

      Della sua antica bellezza si dicevano prodigi ma non glie l'aveva certo sciupata l'amore, che anzi, quarant'anni addietro accusata di infanticidio e tradotta dinnanzi il tribunale, questo l'aveva assolta, essendo accorso tutto il paese a giurare che non le si conoscevano amanti e che nessuno mai l'aveva nè veduta nè tampoco sospettata incinta.

      L'accusa era fondata sulla testimonianza di un sergente doganiere il quale pretendeva di averla ravvisata una notte nell'atto che sotterrava un involto, aiutata da un omaccione alto e robusto del quale egli non sapeva dare altra notizia. Ma oltre che, come ebbe a dire in francese l'avvocato difensore, oltre che la nuit tous les chats sont gris,