L'umorismo. Luigi Pirandello

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Название L'umorismo
Автор произведения Luigi Pirandello
Жанр Документальная литература
Серия
Издательство Документальная литература
Год выпуска 0
isbn 4064066069018



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oggi, a gli occhi nostri, se crediamo d'essere infelici, il mondo si converte in un teatro d'universale infelicità? Vuol dire che, invece di sprofondarci nel nostro proprio dolore, noi lo allarghiamo, lo diffondiamo nell'universo. Ci strappiamo la spina, e ci avvolgiamo in una nuvola nera. Cresce la noja, ma si spunta e si attenua il dolore. Però, ecco, e quel tal tedio della vita dei contemporanei di Lucrezio? e quella tal tristezza misantropica di Timone?

      Oh via! è proprio inutile sfoggiare esempii e citazioni. Sono questioni, disquisizioni, argomentazioni accademiche. L'umanità passata non c'è bisogno di cercarla lontano: è sempre in noi, tal quale. Possiamo tutt'al più ammettere che oggi, per questa — se vuolsi — cresciuta sensibilità e per il progresso (ahimè) della civiltà, siano più comuni quelle disposizioni di spirito, quelle condizioni di vita più favorevoli al fenomeno dell'umorismo, o meglio, di un certo umorismo; ma è assolutamente arbitrario il negare che tali disposizioni non esistessero o non potessero esistere in antico.

      A buon conto, Diogene, con la sua botte e la sua lanterna, non è di jeri; e nulla di più serio nel ridicolo e di più ridicolo nel serio. Eccezioni, come dice il Nencioni e ripete l'Arcoleo, Aristofane e Luciano? Ma eccezioni, allora, anche Swift e Sterne. Tutta l'arte umoristica, ripetiamo, è stata sempre ed è tuttavia arte d'eccezione.

      Diverso il pianto, secondo questa critica, e diverso naturalmente anche il riso degli antichi.

      Notissima, la distinzione di Gian Paolo Richter tra comico classico e comico romantico: facezia grossolana, satira volgare, derisione de' vizii e dei difetti, senza alcuna commiserazione o pietà, quello; umore, questo, cioè riso filosofico, misto di dolore, perchè nato dalla comparazione del piccolo mondo finito con la idea infinita, riso pieno di tolleranza e di simpatia.

      Da noi il Leopardi, che ebbe sempre la nostalgia del passato e che nei Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura volle far notare che egli sentiva il dolore non a modo dei romantici, ma a modo degli antichi, cioè il dolore disperato, difese pure il comico antico contro il moderno, il comico antico che «era veramente sostanzioso, esprimeva sempre e metteva sotto gli occhi, per dir così, un corpo di ridicolo», mentre il moderno «un'ombra, uno spirito, un vento, un soffio, un fumo. Quello empieva di riso, questo appena lo fa gustare; quello era solido, questo fugace; quello consisteva in immagini, similitudini, paragoni, racconti, insomma cose ridicole; questo in parole, generalmente e sommariamente parlando, e nasce da quella tal composizione di voci, da quello equivoco, da quella tale allusione di parole, da quel giocolino di parole, da quella tal parola appunto — di maniera che, togliete quelle allusioni, scomponete e ordinate diversamente quelle parole, levate quell'equivoco, sostituite una parola in cambio d'un'altra, svanisce il ridicolo».

      E cita l'esempio di Luciano che paragona gli Dei sospesi al fuso della Parca ai pesciolini sospesi alla canna del pescatore. Poi avverte: «Ma forse e senza forse, presentemente, e massime ai francesi, par grossolano quel che una volta si chiamava sale attico, e piacque ai greci, popolo il più civile dell'antichità e ai latini. E può essere che anche Orazio avesse una simile opinione, quando disse male de' sali di Plauto; e in fatti le Satire e le Epistole di Orazio non sono di così solido ridicolo come l'antico comico greco e latino, ma nè anche di gran lunga così sottile come il moderno. Ora, a forza di motti, si è renduto spirituale anche il ridicolo, assottigliato tanto che ormai non è più nè pur liquore, ma un etere, un vapore; e questo solo si stima ridicolo degno delle persone di buon gusto e di spirito e di vero buon tono, e degno del bel mondo e della civile conversazione. Il ridicolo delle antiche commedie nasceva anche molto delle operazioni stesse che erano introdotti a fare i personaggi sulla scena, e quivi ancora era non piccola sorgente di sale, ma pura azione; come nelle Cerimonie del Maffei: commedia piena di vero e antico ridicolo, quel salire di Orazio per la finestra a fine di evitare i complimenti alle porte. Un'altra gran differenza tra il ridicolo antico e il moderno è che quello era preso da cose popolari e domestiche o almeno non della più fina conversazione, la quale poi non esisteva ancor per lo meno così raffinata; ma il moderno, massime il francese, versa principalmente intorno al più squisito mondo, alle cose dei nobili più raffinati, alle vicende domestiche delle famiglie più moderne, ecc., ecc. (come anche proporzionatamente era il ridicolo d'Orazio): sicchè quello era un ridicolo che avea corpo, e, come il filo di un'arma che non sia troppo aguzzo, durò lungo tempo; dove questo, come ha una punta sottilissima, più o meno secondo i tempi e le nazioni, così anche in un batter d'occhio si logora e si consuma, e dal volgo poi non si sente, come il taglio del rasojo a prima giunta».

      Il Leopardi, evidentemente, parla qui dell'esprit francese in contrapposizione del ridicolo classico, senza pensare che questo «esprit de conversation, le talent de faire des mots, le goût des petites phrases vives, fines, imprévues, ingénieuses, dardées avec gaieté ou malice»[13], è classico anch'esso e antichissimo in Francia: Duas res industriosissime persequitur gens Gallorum, rem militarem et argute loqui. Questo esprit nativo in Francia, che si raffina anch'esso a mano a mano e diviene un po' convenzionale, elegante, aristocratico, in certi periodi letterarii, non è certamente l'humour moderno, e tanto meno quello inglese che il Taine gli contrappone, come fatto appunto di cose più che di parole o, sotto un certo aspetto, fatto di buon senso, se — come pensava il Joubert — l'esprit consiste nell'aver molte idee inutili e il buon senso nell'esser provvisto di nozioni necessarie. Non confondiamo dunque.

      Nel 1899 Alberto Cantoni, argutissimo nostro umorista[14], che sentiva profondamente il dissidio interno tra la ragione e il sentimento e soffriva di non poter essere ingenuo come prepotentemente in lui la natura avrebbe voluto, riprese l'argomento in una sua novella critica intitolata Humour classico e moderno[15], nella quale immagina che un bel vecchio rubicondo e gioviale, che rappresenta l'Humour classico, e un ometto smilzo e circospetto, con una faccia un poco sdolcinata e un poco motteggiatrice, che rappresenta l'Humour moderno, s'incontrino a Bergamo innanzi al monumento a Gaetano Donizzetti e là, senz'altro, si mettono a disputare tra loro e poi si lanciano una sfida, si propongono cioè d'andare in campagna lì presso, a Clusone, dove si tiene una fiera, ognuno per conto proprio, come se non si fossero mai visti, e di ritornare poi la sera, lì daccapo, innanzi al monumento di Donizzetti, recando ciascuno le fugaci e particolari impressioni della gita per metterle a paragone. Invece di discorrere criticamente della natura, delle intenzioni, del sapore dell'umorismo antico e del moderno, il Cantoni in questa novella, riferisce vivacemente, in un dialogo brioso, le impressioni del vecchio gioviale e dell'ometto circospetto raccolte alla fiera di Clusone. Quelle del primo avrebbero potuto essere argomento d'una novella del Boccaccio, del Firenzuola, del Bandello; i comenti e le variazioni sentimentali dell'altro hanno invece il sapore di quelle dello Sterne nel Sentimental Journey o del Heine nei Reisebilder. Il Cantoni, prediligendo la natura ingenua e schietta, terrebbe nella disputa dalla parte del vecchio rubicondo, se non fosse costretto a riconoscere ch'esso ha voluto rimanere tal quale assai più che non lo comportassero gli anni e che è volgaruccio e spesso vergognosamente sensuale; ma poi, sentendo anche in sè il dissidio che tiene scissa e sdoppiata l'anima di quell'altro, dell'ometto smilzo, lo fa mordere dal vecchio con aspre parole:

      «— A forza di ripetere continuamente che tu sembri sorriso e che sei dolore... n'è venuto che oramai non si sa più nè che cosa veramente tu sembri, nè che cosa veramente tu sia... Se tu ti potessi vedere, non capiresti, come me, se tu abbia più voglia di piangere o di sorridere.

      — Adesso è vero, gli risponde l'Humour moderno. — Perchè adesso penso solamente che voi vi siete fermato a mezza via. Al vostro tempo le gioje e le angustie della vita avevano due forme o almeno due parvenze più semplici e molto dissimili fra di loro, e niente più facile che sceverare le une dalle altre per poi rialzare le prime a danno delle seconde, o viceversa; ma dopo, cioè al tempo mio, è sopravvenuta la critica e felice notte; s'è brancolato molto tempo a non sapere nè che cosa fosse il meglio, nè che cosa fosse il peggio, finchè principiarono ad apparire, dopo essere stati così gran tempo assai nascosti, i lati dolorosi della gioja e i lati risibili del dolore umano. Anche gli antichi solevano sostenere che il piacere non era altro che la cessazione del dolore e che il dolore stesso, ben esaminato, non era punto il male; ma le sostenevano sul serio queste belle cose: come dire che non ne erano niente penetrati; adesso invece è venuto pur troppo il tempo mio e si ripete,