Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4. Edward Gibbon

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Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4
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quegl'infelici dal pericolo di un'eterna condanna. Non si perdè un momento ad escludere i ministri e i predicatori delle separate congregazioni da ogni partecipazione delle ricompense e delle immunità, che l'Imperatore aveva sì liberamente concesse al Clero ortodosso. Ma siccome i Settarj potevan tuttavia sussistere sotto il peso della disgrazia reale, si fece immediatamente seguire alla conquista dell'Oriente un editto, che annunziava la totale lor distruzione131. Dopo un preambolo pieno di passione e di rimproveri, Costantino assolutamente proibisce le assemblee degli Eretici, e confisca i comuni lor beni, applicandoli o al Fisco o alla Chiesa Cattolica. Le Sette, contro delle quali era diretta la Imperiale severità, pare che fosser composte dagli aderenti di Paolo di Samosata; da' Montanisti della Frigia, che conservavano un'entusiastica successione di profezia; da' Novaziani, che fieramente rigettavano la temporal efficacia della penitenza; da' Marcioniti e Valentiniani, sotto i principali stendardi de' quali appoco appoco riunite s'erano le diverse specie di Gnostici dell'Egitto e dell'Asia; e forse da' Manichei, che di fresco avevan portato dalla Persia una più artificiosa composizione di Teologia Orientale e Cristiana132. Si eseguì con vigore e con effetto il disegno di estirpare il nome, o almeno d'impedire i progressi di quegli odiosi Eretici. Si copiarono dagli editti di Diocleziano alcuni regolamenti penali, e tal metodo di conversione fu applaudito da quegli stessi Vescovi, che avevan provato il peso dell'oppressione, e difesi i diritti dell'umanità. Due particolari circostanze, per altro, posson servire a provare che lo spirito di Costantino non era interamente corrotto dallo zelo e dal bigottismo. Avanti di condannare i Manichei e le Sette ad essi aderenti, esaminar volle diligentemente la natura de religiosi loro principj. Siccome diffidava dell'imparzialità de' suoi consiglieri Ecclesiastici, diede tal delicata commissione ad un Magistrato civile, di cui egli giustamente stimava la moderazione e il sapere, e probabilmente ne ignorava il venale carattere133. Tosto restò l'Imperatore convinto, che aveva con troppa fretta proscritta l'ortodossa fede e gli esemplari costumi de' Novaziani, che dissentivano dalla Chiesa in alcuni articoli di disciplina, i quali forse non erano essenziali per l'eterna salute. Onde con un editto particolare gli esentò dalle pene generali della legge134; compartì loro la facoltà di erigere una Chiesa in Costantinopoli, rispettò i miracoli de' loro Santi; invitò al Concilio di Nicea il loro Vescovo Acesio; e pose gentilmente in ridicolo le rigorose opinioni della sua Setta con un famigliar motto, che dalla bocca d'un Sovrano si dovè ricevere con applauso e gratitudine135.

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      Le querele e le vicendevoli accuse, che assalirono il trono di Costantino, dopo che la morte di Massenzio ebbe sottoposto l'Affrica alle vittoriose sue armi, eran mal acconce a edificare un imperfetto proselito. Ei seppe con sua maraviglia, che le Province di quella gran regione, da' confini di Cirene fino alle Colonne d'Ercole, eran divise per discordie di religione136. L'origine della divisione proveniva da una doppia elezione fatta nella Chiesa di Cartagine, che tanto per grado, quanto per ricchezze era la seconda fra le sedi Ecclesiastiche dell'Occidente. I due rivali Primati dell'Affrica eran Ceciliano e Maiorino; e la morte di questo ultimo tosto diede luogo a Donato, che a motivo della sua maggiore abilità ed apparente virtù fu il più stabil sostegno del suo partito. Il vantaggio, che Ceciliano poteva trarre dall'anteriorità della sua ordinazione, veniva tolto di mezzo dall'illegittima o almeno indecente fretta, con cui s'era fatta, senz'aspettare l'arrivo de' Vescovi della Numidia. L'autorità poi di questi Vescovi, che nel numero di settanta condannarono Ceciliano, e consacrarono Maiorino, viene pur anche indebolita dall'infamia di varj loro caratteri personali e dagl'intrighi muliebri, dalle sacrileghe convenzioni e dal tumultuoso procedere, che sogliono imputarsi a questo Concilio Numidico137. I Vescovi delle contrarie parti sostenevano con ugual ostinazione ed ardore, che i loro avversari dovessero degradarsi, o almeno infamarsi per l'odioso delitto d'aver date in mano agli uffiziali di Diocleziano le Sante Scritture. Da' rimproveri, che vicendevolmente si fecero, non meno che dall'istoria di quest'oscuro fatto può giustamente inferirsi, che l'ultima persecuzione aveva invelenito lo zelo de' Cristiani dell'Affrica, senza riformarne i costumi. La Chiesa, in tal maniera divisa, non era capace di rendere un giudizio imparziale; la controversia dunque fu solennemente agitata in cinque Tribunali diversi, che furono assegnati dall'Imperatore; e tutta la processura, dal primo appello fino alla definitiva sentenza, durò più di tre anni. Una vigorosa inquisizione fatta dal Vicario Pretoriano e dal Proconsole dell'Affrica; la relazione di due Visitatori Episcopali, che furon mandati a Cartagine; i decreti dei Concili di Roma e d'Arles; ed il giudizio supremo di Costantino medesimo nel sacro suo Concistoro, furono tutti favorevoli alla causa di Ceciliano, ed egli venne di comun consenso riconosciuto dalla civile e dalla ecclesiastica potestà come il vero e legittimo Primate dell'Affrica. Si diedero gli onori ed i beni della Chiesa a' Vescovi suffraganei di lui, e non senza difficoltà Costantino si contentò di punir coll'esilio i principali capi della fazion Donatista. Siccome la loro causa fu esaminata con attenzione, forse fu anche giustamente decisa; e forse non era priva di fondamento la loro querela, che si fosse ingannata la credulità dell'Imperatore dagl'insidiosi artifizi d'Osio suo favorito. L'influenza della falsità o della corruzione potè procurare la condanna dell'innocente, o aggravar la sentenza del reo. Tal atto però d'ingiustizia, se avesse terminato un'importuna disputa, avrebbe potuto annoverarsi fra que' mali transitorj d'un governo dispotico, che non più si risentono, nè si rammentano dalla posterità.

      A. D. 315

      Ma quest'incidente sì piccolo per se stesso, che appena merita luogo nell'istoria, produsse un memorabile scisma, che afflisse le Province dell'Affrica più di trecento anni, e non vi fu estinto che insieme col Cristianesimo stesso. L'inflessibile zelo di libertà e di fanatismo animava i Donatisti a ricusar d'ubbidire agli usurpatori, de' quali disputavano l'elezione, e negavano la spiritual potestà. Esclusi dal civile e religioso commercio degli uomini, essi arditamente scomunicarono il resto del genere umano, che aveva abbracciato l'empio partito di Ceciliano e de' traditori, da' quali traeva la pretesa sua ordinazione. Asserivano con sicurezza e quasi esultando, che s'era interrotta la successione Apostolica; che tutti i Vescovi dell'Europa e dell'Asia erano infetti dal contagio della colpa e dello scisma; e che le prerogative della Chiesa Cattolica si ristringevano a quella scelta porzione di credenti Affricani, che soli avean conservata intatta la integrità della fede e della disciplina. Questa rigida teoria veniva sostenuta da una men caritatevole condotta. Ogni volta che acquistavano un proselito, anche dalle distanti Province dell'Oriente, reiteravano scrupolosamente i sacri riti del Battesimo138 e dell'Ordinazione, rigettando la validità di quelli ch'esso avea ricevuti dalle mani degli Eretici o degli Scismatici. I Vescovi, le vergini ed eziandio gl'innocenti bambini eran sottoposti al peso di una penitenza pubblica, prima d'essere ammessi alla comunione de' Donatisti. Se ottenevano il possesso d'una Chiesa, di cui avesser fatto uso i Cattolici loro avversari, essi purificavano il profanato edifizio con la medesima gelosa cura, che avrebbe potuto richiedere un tempio d'idoli. Lavavano il pavimento, radevano le mura, bruciavano l'altare, che ordinariamente era di legno, fondevano i sacri vasi; e gettavano a' cani la santa Eucaristia con tutte le circostanze d'ignominia, che provocar potevano, e perpetuare l'animosità delle religiose fazioni139. Nonostante quest'irreconciliabile odio, i due partiti, che insieme trovavansi mescolati e sparsi per tutte le città dell'Affrica, avevano l'istesso linguaggio, gli stessi costumi, l'istesso zelo, la stessa dottrina, l'istessa fede e l'istesso culto. Proscritti dalle potestà civile ed ecclesiastica dell'Impero, i Donatisti si mantennero sempre superiori di numero in alcune Province, specialmente nella Numidia; e quattrocento Vescovi riconoscevano la giurisdizione del loro Primate. Ma l'invincibile spirito di tal Setta qualche volta attaccò anche le sue proprie viscere; ed il seno della scismatica loro Chiesa fu lacerato da intestine contese. Un quarto de' Vescovi Donatisti seguì l'indipendente stendardo de' Massimianisti. Lo stretto e solitario sentiero, che avevan segnato i primi lor Capi, continuava a deviare dalla gran società del genere umano. Anche l'impercettibile Setta de' Rogaziani ardiva d'asserire senza rossore, che quando Cristo sarebbe sceso a giudicare la terra, non avrebbe mantenuta la vera sua religione che in pochi ignoti villaggi della Cesarea Mauritania



<p>131</p>

Eusebio in vit. Const. l. III. c. 63, 64, 65, 66.

<p>132</p>

Dopo qualche esame delle varie opinioni di Tillemont, di Beausobre, di Lardner ec. io son persuaso, che Manete non propagasse neppure nella Persia la sua Setta prima dell'anno 270. Egli è strano, che una filosofica e straniera eresia penetrar potesse con tanta rapidità nelle Province Affricane; pure io non posso facilmente indurmi a rigettare l'editto di Diocleziano contro i Manichei, che può leggersi appresso il Baronio (An. Eccles. an. 287).

<p>133</p>

Constantinus enim cum limatius superstitionum quaereret sectas Manichaeorum et similium etc. Ammian. XV. 15. Strategio, che da questa commissione prese il soprannome di Musioniano, era un Cristiano della Setta d'Arrio. Esso intervenne come uno de' Conti al Concilio di Sardi. Libanio loda la sua dolcezza e prudenza. Vales ad d. loc. Ammian.

<p>134</p>

Cod. Teod. (l. XVI. Tit. V. leg. 2). Siccome nel Codice Teodosiano non si trova inserita la legge generale, egli è probabile che nell'anno 438 fosser già estinte le Sette nella medesima condannate.

<p>135</p>

Sozomeno (l. I. c. 22.) Socrate (l. I. c. 10). Si è sospettato, ma credo senza ragione, che quest'Istorici inclinassero alla dottrina Novaziana. L'Imperatore disse al Vescovo: «Acesio, prendi una scala e va in Paradiso da te solo». Molte Sette Cristiane hanno a vicenda presa in prestito la scala d'Acesio.

<p>136</p>

Si posson trovare i migliori materiali per questa parte d'Istoria Ecclesiastica nell'edizione d'Ottato Melevitano, pubblicata in Parigi nel 1700 da M. Dupin, che l'ha arricchita con note critiche, con geografiche discussioni, con memorie originali, e con un esatto compendio di tutta la controversia. Il Tillemont ha impiegato intorno a' Donatisti la maggior parte del Tom. VI P. I. e ad esso è dovuta un'ampia collezione di tutti i passi di S. Agostino, suo favorito, che si riferiscono a quegli Eretici.

<p>137</p>

Schisma igitur illo tempore confusae mulieris iracundia peperit, amibitus nutrivit, avaritia roboravit. Optat. l. I. c. 19. Il linguaggio di Purpurio è simile a quello di un furioso frenetico: dicitur te necasse filios soraris tuae duos. Purpurius respondit. Putas me terreri a te… occidi; et occido eos, qui contra me faciunt. Act. Conc. Cirtens. ad calc. Optat. p. 274. Quando Ceciliano fu inviato ad un'assemblea di Vescovi, Purpurio disse a' suoi confratelli o piuttosto complici: «Venga pur qua a ricever da noi l'imposizione delle mani, e noi in via di penitenza gli spezzeremo la testa». Optat. l. I. c. 19.

<p>138</p>

I Concilj di Arles, di Nicea e di Trento confermarono la savia e moderata pratica della Chiesa Romana. I Donatisti però avevano il vantaggio di sostenere l'opinione di Cipriano, e d'una parte considerabile della primitiva Chiesa. Vincenzio Lirinense (p. 332. ap. Tillemont. Mem. Eccl. T. VI. p. 138.) ha spiegato perchè i Donatisti son condannati a bruciare in eterno col Diavolo, mentre S. Cipriano regna in Cielo con Gesù Cristo.

<p>139</p>

Vedi il lib. 6 d'Ottato Melevit. p. 91-100.