Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V. Botta Carlo

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Название Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V
Автор произведения Botta Carlo
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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sua donna, dico sua per non dire non sua, aveva voltato le vele verso i lidi d'Italia. Non così tosto dalla sanguinosa Napoli si scoprivano le navi d'Inghilterra, che il cardinale mandava a Nelson deputati, per informarlo delle cose fatte, e dei patti stipulati. Rispose l'ammiraglio, non doversi il trattato concluso coi ribelli mandare ad esecuzione, se prima il re non l'avesse appruovato; risposta veramente incomportabile. Certamente i repubblicani erano rei d'atroci ingiurie verso il re, ma pure avevano pattuito con coloro, che il re medesimo e l'Europa quasi tutta avevano mandato con facoltà di pattuire. Certo nel trattato nissuna riserva di ratifica era stata fatta, ma egli era finale ed assoluto. S'aggiunge, che i patti erano stati offerti dal cardinale e dai confederati, e non domandati dai repubblicani. Il non osservargli dava al fatto dell'avergli offerti, apparenza d'insidia. Di tale risoluzione fu molto dolente il cardinale, che non voleva essere disprezzatore delle sue promesse, e per fare che la fede data si osservasse, andò egli medesimo a bordo della nave dell'ammiraglio, con efficacissime parole esortandolo a consentire. Ma l'Inglese, come se temesse, che la umanità e la fede contaminassero le vittorie, non si lasciò piegare; anzi non potendo rispondere agli argomenti ed alla facondia del cardinale, scusandosi con dire che non sapeva la lingua Italiana, prese la penna, e scrisse da vittorioso la crudele sentenza. Perchè poi non resti ignoto ai posteri il quanto di vituperio sia stato mescolato in queste sanguinose rivolture, io non posso omettere dal debito di narrare, che Emma Liona era presente, quando Nelson contrastava al cardinale, ed ordinava le uccisioni. Se qualcheduno fra chi mi leggerà, sarà per dire, ch'io dico cose troppo gravi, attenda, che nè voglio, nè debbo, nè posso tacerle; perchè se i vizj si biasimano negli umili, non so perchè non si debbano biasimare nei grandi: che se i grandi pretendono che non è bene che si dicano i loro peccati, dirò, che sarebbe molto meglio, che non gli commettessero. So che la moderna adulazione trascorse tant'oltre, che si va affermando, che ogni virtù è in chi è ricco, o potente, o glorioso, ed ogni vizio in chi è il contrario: per me credo, che la verità in tutto debba aver luogo, e che più debbano pubblicamente biasimarsi i grandi quando fan male, che gli umili, perchè i vizj dei primi sono più negli occhi degli uomini, e servono d'esempio. Nelson trapassando dal detto al fatto, ed entrando nel porto con la flotta, dichiarava prigionieri i repubblicani usciti in virtù della capitolazione dai castelli, sì quelli che già si erano imbarcati, e non ancora partiti, e sì quelli che non peranco si erano riparati alle navi. Perchè poi dubbio alcuno non potessero avere del destino che gli aspettava, gli fece incatenare due a due, e riporre in fondo alle navi. Nè contento al tenergli, gli lasciava bersaglio ad ogni oltraggio, e stremava loro i viveri. Pure noveravansi fra di loro uomini, se si eccettuano le opinioni ed i fatti politici in cui consisteva la colpa loro, molto ragguardevoli per dottrina, per legnaggio, e per virtù. Bastava bene ammazzargli, senza trattargli come vili assassini di strada. A tanto di barbarie si è lasciato trasportare un ammiraglio d'Inghilterra. Furono questi portamenti di Nelson dannati da tutti gli uomini diritti e dabbene, perchè, oltrechè se non si voleva trattare coi ribelli, necessaria cosa era il dichiararlo prima, non dopo la capitolazione, sapeva l'ammiraglio, che non senza compenso ed utile sì del re, che degli alleati, e particolarmente dell'Inghilterra era stata la dedizione dei castelli, perchè per lei e furono conservati intieri i castelli, e conservata salva Napoli, e rimosso il pericolo che i Francesi, dei quali egli medesimo stava in apprensione, arrivando con l'armata loro, non conducessero a qualche mal termine le cose dei confederati. Adunque i repubblicani avevano ricompro le vite loro con la concessione di questi vantaggi, i confederati avevano consentito, ed a queste condizioni medesime, e non altrimenti erano entrati in possessione dei castelli. Brutto certamente procedere si è quello di accettare, e di usare i vantaggi stipulati in una convenzione bilaterale, e di non volerne accettare ed adempire i carichi; ma più brutto è, quando il non adempirgli importa umano sangue. Lodisi da chi vuole il vincitore di Aboukir e di Trafalgar; ma noi, a cui più piace il giusto e l'umano che l'ingiusto ed il glorioso, non possiamo non mandarlo alla posterità, se non come uomo che ruppe fede agli uomini per ammazzargli. Il re, che era sul vascello inglese il Fulminante, non sofferendogli l'animo di vedere i supplizi che si preparavano, se ne tornava in Sicilia. Rimase il campo libero a chi voleva sangue.

      Conquistati i castelli di castel Nuovo e di castel dell'Uovo attesero gli alleati all'acquisto di Sant'Elmo, il quale oppugnato gagliardamente qualche giorno venne in mano loro, essendosi il comandante Mejean arreso a patti. Stipulossi fra le due parti, che la guernigione Francese sarebbe prigioniera di guerra del re, e de' suoi alleati; che non servisse contro di loro, finchè non fosse scambiata; che sotto fede si conducesse sopra bastimenti regj in Francia. Quanto ai sudditi del re, che si trovavano nel forte, si convenne che si consegnassero in mano degli alleati. Mejean non potrà sfuggire il carico di aver consentito a quest'ultimo capitolo; perchè se primo suo pensiero era, e doveva essere di salvar i Francesi suoi compagni, e se a tali estremi era giunto che della salute dei repubblicani, che si eran rimessi nella sua fede, non potesse richiedere gli alleati, debito suo era almeno, seguitando l'esempio dei comandanti di Torino, d'Alessandria, e di Cuneo, lasciare che gli alleati quegli uomini da immolarsi si prendessero da per se stessi, non obbligarsi col suo nome sottoscritto a consegnargli. Maggiore biasimo eziandio meritano Tommaso Trowbridge, capitano comandante la nave Inglese il Culloden, e il capitano Baillie, comandante le truppe dell'imperatore delle Russie, per avere richiesto e stipulato, che i repubblicani si consegnassero agli alleati; perchè farsi dar uomini per dargli in mano al boja, era cosa del tutto indegna di uffiziali di Russia e d'Inghilterra. Potevano bene stipulare, ed avrebbe bastato, che fossero dati in mano degli agenti Napolitani. Si aggiunse a patti crudeli una esecuzione più crudele. I repubblicani travestitisi a modo di soldati Francesi, per istare alla fortuna, se non fossero riconosciuti, di salvarsi, essendo riconosciuti, ed anzi indicati da chi gli doveva preservare, vennero in poter di coloro che tanto agognavano il sangue loro; spettacolo miserabile, che commosse a compassione molti degl'inimici.

      S'arrendevano in questo alle armi regie Capua e Gaeta, non fatta difesa alcuna d'importanza. Così tutto il regno tornò all'antica divozione, ma rotto, sanguinoso, pieno d'incendj, di rapine, di sdegni e di vendette. Incominciavansi i supplizj, l'infuriata plebe imitava; l'uccidere per tribunali era accompagnato dall'uccidere per anarchìa. Non a età si perdonava, non a sesso, non a grado. Le donne come gli uomini, giovanetti di sedici anni come vecchi di settanta furono uccisi sui patiboli: fanciulli di dodici condannati all'esilio, e dove in nome della legge giuridicamente non si poteva condannare, arbitrariamente si condannava. Un Fiori, un Guidobaldi già altrove nominato, un Damiani, un Sambuci, e massimamente uno Speciale, già stato ordinatore dei supplizj di Procida, erano gli stromenti della barbarie. Piange ancora Napoli, e piangerà lungo tempo i tremendi effetti del furor di costoro, e di coloro a cui piacevano. I più chiari, i più virtuosi s'immolavano i primi. A tanta immanità si aggiungeva nei repubblicani rabbia a coraggio per modo che dissero, e fecero morendo cose degne di eterna memoria. Fora troppo lunga e lagrimevole istoria il raccontare tutti i supplizj; toccheremo solo i principali, e da essi potranno i posteri argomentare, quanta virtù sia stata tolta a Napoli dalle discordie civili.

      Mario Pagano, al quale tutta la generazione risguardava con amore e con rispetto, fu mandato al patibolo dei primi: era visso innocente, visso desideroso di bene; nè filosofo più acuto, nè filantropo più benevolo di lui mai si pose a voler migliorare quest'umana razza, e consolar la terra. Errò, ma per illusione, ed il suo onorato capo fu mostrato in cima agli infami legni, sede solo dovuta ai capi di gente scellerata ed assassina. Non fe' segno di timore, non fe' segno di odio. Morì qual era vissuto, placido, innocente e puro. Il piansero da un estremo all'altro d'Italia con amare lagrime i suoi discepoli che come maestro e padre, e più ancora come padre che come maestro il rimiravano. Il piansero con pari affetto tutti coloro che credono che lo sforzarsi di felicitare la umanità è merito, e lo straziarla delitto. Non si potrà dir peggio dell'età nostra di questo che un Mario Pagano sia morto sulle forche. Domenico Cirillo, medico e naturalista, il cui nome suonava onoratamente in tutta l'Europa, non isfuggì il destino di chi ben ebbe amato in tempi tanto sinistri. Richiesto una prima volta di entrare nelle cariche repubblicane aveva negato perchè gl'incresceva l'allontanarsi delle sue lucubrazioni tanto gradite di scienze benefiche e consolatorie. Gli fecero una seconda volta suonare agli orecchi il nome, e la necessità della patria. Lasciossi, come buon cittadino, piegare a queste novelle esortazioni. Eletto del corpo legislativo, nè cosa vi disse, nè vi fece, se non alta, generosa e grande; ed il gridar per vezzo contro i re e contro gli aristocrati stimava indegno di lui per ragione, il propor cose a pregiudizio