Название | Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V |
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Автор произведения | Botta Carlo |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
Buonaparte, che conosceva ottimamente per la sua mente pronta e vasta, per la perizia somma nelle faccende di stato, e per la cognizione profonda che aveva di questa umana razza, quanto piena fosse la fortuna che si parava davanti, e quanto fosse propizia la occasione di condurre ad effetto i suoi pensieri smisurati, parendogli eziandio, che un mezzo opportuno gli si offerisse di sottrarsi dall'Egitto, dove le cose sue cominciavano a declinare, cupidissimamente si avviava alle sue nuove e straordinarie sorti. Salpava dagli Egiziani lidi, conducendo con se i suoi compagni più fidati di guerra, perchè aveva bisogno delle mani e delle armi loro; i dotti ed i letterati più famosi, perchè si voleva servire, come di ajuto molto potente, dell'autorità, delle lingue, e degli scritti loro. Arrivava improvviso a Frejus: improvviso ancora, disprezzate le leggi di sanità, perchè non voleva che la fama del suo arrivo si raffreddasse, partendo, giungeva nel volubilissimo Parigi, che bramosamente l'aspettava. Io non mi starò a raccontare le allegrezze che si fecero in tutta Francia, quando si sparse la voce del suo ritorno: basta, che le genti corsero a lui da ogni parte, come a trionfatore, a salvatore, a redentore: già Francia era sua, quantunque uomo privato, e generale senza esercito fosse. Lione sopratutto tripudiava per un'insolita allegrezza, città ancor sanguinosa per l'imperio poco anzi spento dei truculenti giacobini, sdegnata per le leggi soldatesche, che contro di lei tuttavia vigevano. Toccò, passando, i tasti più teneri; favellò di pace, di prospero commercio, di ferite civili da racconciarsi da un giusto e mansueto governo. I Lionesi contenti speravano ed amavano. A Parigi, ogni opinione, ogni affezione si voltava a lui: dava buone parole a tutti, ma insomma pendeva al moderato, sapendo che tal era il desiderio universale. I letterati massimamente, o poeti, o non poeti, con ogni maniera più adulatoria si studiavano di compiacergli, e con infinite lodi innalzavano insino al cielo il suo nome. Il lusinghevole uso si propagava largamente: tutta Francia risuonava d'encomj; la libertà era perduta già prima che nata.
Cacciò Buonaparte a punta di bajonette i consigli legislativi, cacciò il direttorio, i soldati pagati dal governo si voltarono contro il governo: ebbe paura sulle prime, poi fece paura agli altri; chiamò pazzo chi credesse, che la realtà potesse prevalere alle repubbliche in Europa, poi spense tutte le repubbliche, e creò in ogni luogo la realtà. Conosce Europa il dì nove novembre, da cui poteva nascere un vivere moderato e libero, e che non pertanto partorì un reggimento duro, tirato, dispotico, e soldatesco. S'accorse tostamente Sieyes, che aveva trovato un padrone, non un compagno, Barras un uomo che il volle allontanare da se, non un amico che il riconoscesse dei benefizj, uno finalmente, che anteponeva la potestà assoluta, alla quale aspirava, all'antiche congiunzioni, ed alla gratitudine.
Incominciano le trilustri insidie. Buonaparte, dubitando che i Francesi non fossero per tollerare pazientemente la grandissima mutazione che preparava, e parendogli che a sostentare la sua immensa cupidità bisognassero fondamenti straordinari, apprestava con infinita accortezza allettamenti potentissimi. Fu maravigliosa l'arte sua nel vincere le battaglie, ma assai più maravigliosa fu nell'adescar le genti. A duro giogo le traeva; ma esso solo sapeva il fine. Spinte da gradite apparenze di lieto avvenire, da lusinghevoli speranze di contentati desiderj concorrevano cupidamente là, dov'ei voleva farle concorrere; nè mai frutti tanto amari si annidarono sotto sì dolci scorze. Pace dentro, pace fuori gli parvero i più forti fondamenti della sua potenza: i Francesi stanchi ed afflitti da sì lunghe guerre, pace sopratutto desideravano, purchè disonorata non fosse, del che non temevano con Buonaparte capo. A questi fini indirizzava egli principalmente i suoi pensieri. Speciale intoppo alla cittadina concordia gli parevano, ed erano veramente gli spiriti esagerati, i quali non potendo per ambizione riposare sotto alcuna potestà, nemmeno possono quando sono giunti essi alla potestà suprema, posciachè tirannicamente procedendo, decimano prima i popoli, poi se medesimi, e tutti i fondamenti dello stato fan rovinare; non gli era ignoto, che il nome di costoro era odioso in Francia; perciò fece avviso, che molto fosse, per operare a fine di concordia, il cacciare questi commettitori di scandali, di risse e di sangue: per la qual cosa, senza rimanersene ai formali giudizj, nè differendo contro di loro i rimedj severissimi, gli allontanava confinandogli in terre estreme o forestiere. Purgata la Francia da questi uomini turbolenti, pensava al ribandire dal lungo esiglio coloro, che avevano seguitato la parte del re, od almeno detestato le esorbitanze, che ai tempi più acerbi della rivoluzione si erano commesse in Francia. Pochi furono eccettuati dal clemente editto, piuttosto per lasciare un appicco a nuove grazie, che per altro fine. Rientravano gli esuli, non sotto i tetti proprj, non nei beni loro posti al fisco, ma a rivedere i monti, i fiumi, le valli, e l'aere natio; il che era pur parte di felicità. Gradivano infinitamente queste cose agli amatori del nome reale, e ne auguravano delle maggiori. Della contentezza loro godeva il consolo, volendo arrivare alla dominazione assoluta coll'appoggio dei regj, e dei repubblicani. In questi pensieri tanto più volontieri si confermava, quanto non dubitava, che sarebbero andati a grado delle potenze Europee, siccome quelle che vi vedevano l'intenzione data da lui nei campi di Leoben e di Campoformio, di voler rimettere i Borboni, desiderio primo e principale dei principi, massimamente dell'imperatore Paolo. Sperava, nella cupezza sua, che con questi mezzi acquisterebbe pace con Europa, e tanta potenza in Francia, che senza pericolo potesse finalmente