I divoratori. Annie Vivanti

Читать онлайн.
Название I divoratori
Автор произведения Annie Vivanti
Жанр Любовно-фантастические романы
Серия
Издательство Любовно-фантастические романы
Год выпуска 0
isbn



Скачать книгу

dei consigli sul modo di coltivare i pomodori, e meravigliandosi che gli inglesi non mangiassero mai maccheroni.

      – Nè « Knoedel », – diceva Fräulein.

      – Nè risotto, – diceva lo zio Giacomo.

      – Nè « Leberwurst », – diceva Fräulein.

      – Nè cappelletti al sugo, – diceva lo zio Giacomo. E a tale pensiero egli si sentiva struggere di nostalgia.

      Un giorno anche Valeria ebbe un accesso di nostalgia, di nostalgia acuta e straziante. Era precisamente il giorno del torneo di tennis – una giornata d'oro e d'azzurro che rammentava l'Italia. Nino, guardando Edith, le aveva detto:

      – Il cielo è un plagiario. Ha copiato sfrontatamente il colore degli occhi di Edith… Non ti pare, Valeria?

      E Nino, rivolto alla cugina, aspettava sorridendo la risposta.

      – Sì, – rispose Valeria.

      – Sono occhi che ricordano il lago di Como, – aveva continuato Nino. – Che limpidezza azzurrina!… Non è vero, Valeria?

      – Sì, è vero, – disse Valeria.

      Al tennis Edith, diafana e leggiera, volava come una saetta, giocando all'impazzata, ridendo tra i flavi capelli scomposti; ed aveva le guancie rosate – diceva Nino – come il cuore di una conchiglia.

      Alla sera Edith si abbandonò in una seggiola a dondolo, ed era pallida e dolce, che pareva una farfalla stanca.

      – Non è vero, Valeria? – disse Nino. E Valeria disse:

      – E' vero.

      E fu allora che Valeria sentì una grande nostalgia. Che altro poteva essere lo struggimento che provava? Certo, certo era di nostalgia che soffriva: aveva bisogno di vedere il sole d'Italia, di udire delle voci italiane, di trovarsi in mezzo a gente dai gesti facili, dagli occhi neri, dai capelli neri. Ah! sopratutto dai capelli neri! Non poteva più vedere queste capigliature bionde… le facevano male agli occhi. E Valeria si coprì il viso, con un piccolo singhiozzo soffocato.

      All'indomani, il secondo del torneo, la nostalgia crebbe ancora; divenne insopportabile. Si prendeva il thè nel giardino del Vicar; Valeria aveva per vicino un giovane che, offrendole dei biscotti, le diceva che per il mese d'aprile faceva abbastanza caldo; e che l'anno scorso a quest'epoca faceva più freddo.

      Intanto, di là del prato, Valeria vedeva Nino, che rideva, rideva suonando su una chitarra che gli avevano prestato, degli accordi col cucchiaino da thè.

      Edith e due altre giovinette gli stavano vicino: le loro tre teste bionde splendevano al sole.

      A un tratto Valeria sentì che odiava l'Inghilterra, che odiava la gente che le stava attorno, e che le conversazioni sul tempo, sul thè, sul tennis la farebbero impazzire. I suoi occhi neri si posavano su Nino e su quelle tre teste bionde inclinate verso di lui, splendenti in tre diversi toni d'oro. Ardenti lacrime le punsero gli occhi.

      Quella sera, mentre lei ed Edith si svestivano nelle loro camere, ch'erano attigue, Edith chiacchierava garrula e gaia.

      – Dio, come è bello il mondo! Come tutto è divertente!

      E la fanciulla si tolse le forcelline dal capo e scosse la chioma, che le si svolse come un serpe di luce sulle spalle.

      – La vita è una deliziosa istituzione. Non trovi, Valeria?

      Dalla camera vicina non giunse risposta, e Edith, un po' sorpresa, s'affacciò a guardar dentro. Valeria giaceva sul letto con la faccia nascosta nel guanciale. Era ancora vestita del suo abito rosa della serata.

      – Valeria! cara! che cosa è accaduto? – domandò Edith, chinandosi a baciarla.

      – Oh! io odio tutto! ho orrore di tutto! – singhiozzò Valeria, – quello stupido tennis, quelle stupide ragazze, che sempre ridono, ridono, ridono…

      – Ma, mi pare che abbiamo riso anche noi, – disse Edith. – A me par di aver riso tutto il giorno. E anche Nino non ha fatto altro!

      – Già, Nino! – E Valeria si rizzò, lagrimosa e sdegnata. – Anche lui è stupido, anche lui ride per niente… In Italia – singhiozzò – non rideva mai! In Italia non si ride così, stoltamente, per far vedere i denti e fingere di essere vivaci.

      Edith, attonita e muta, rimase a lungo contemplando la sconsolata figura di Valeria. E rifletteva. Poi d'un tratto si chinò, e baciando la cugina disse:

      – Cara, non piangere, non piangere più.

      Valeria, che aveva già smesso di piangere, ricominciò da capo. E pianse più forte quando, alzando gli occhi, vide il fuoco pallido della chioma di Edith, scintillante intorno al dolce viso, e i due piccoli laghi di Como soffusi di limpido pianto. Si baciarono ripetutamente, appassionatamente, e ciascuna disse di sè che era sciocca e che non piangerebbe più, eppoi ripiansero; e si ribaciarono; e andarono a letto.

      E Valeria si addormentò.

      Ma Edith, nel buio pensava.

      Edith si alzò prestissimo l'indomani, e condusse Nancy a cogliere le primule nei boschi. Fu così che Nino e Valeria dovettero andare soli al tennis. Una ragazza grassa e torpida prese il posto di Edith nel torneo. Valeria rise tutta la mattina.

      Edith e Nancy arrivarono in ritardo per il « lunch »: tutti erano già a tavola. Quando comparvero, la signora Avory diede un'esclamazione di sorpresa alla vista di Edith: e anche Nino la guardò, meravigliato.

      – Ma, Edith mia, – disse sua madre. – Che cosa hai fatto? Come ti sei conciata?

      – Conciata? – disse Edith ridendo. – Ma come? se questa è la famosa pettinatura « à la Klaus » che si usa nella Germania del Nord! Vero, Fräulein? E' Fräulein che me l'ha insegnata.

      Valeria si era fatta rossa e disse con voce un po' tremante:

      – Ma, Edith, non dovevi lasciarti tirare indietro i capelli a quel modo. Non so cosa pare…

      – Pare una torta, – disse la piccola Nancy. – E a me piace molto.

      La signora Avory sorrise.

      – Ma cosa ti viene in mente, Edith? E perchè ti sei messa quell'orrido vestito color tabacco, che ti ho detto di non portar più?

      Ma Edith, invece di rispondere, parlò della passeggiata nel bosco; e poi Nino raccontò del tennis…

      E così Edith adottò la pettinatura della Germania del Nord. Non volle più andare al tennis perchè le faceva venire un dolore in una spalla; e andò ogni giorno, sola con Nancy, a fare delle lunghe passeggiate.

      La piccola Nancy era un'adorabile compagna. Poco a poco Edith si trovò ad aspettare con lieta impazienza l'ora della passeggiata giornaliera; le piaceva sentire la calda dolcezza di quella manina fidente stretta alla sua, e la garrula voce di allodoletta al suo fianco.

      Nancy faceva poche domande. Preferiva non sapere tante cose. Non le piacevano più i fuochi d'artifizio da che, una volta, ne aveva visti di giorno, avvolti in carta dentro ad una cassetta. Ma come! Non erano dunque i bambini delle stelle?

      Tutte le definizioni di cose e di fenomeni che Fräulein le faceva, urtavano la sua fantasia quanto l'accento tedesco di Fräulein le feriva l'orecchio.

      Se Nancy diceva: « Che belle nuvole rosse! » Fräulein subito cominciava:

      – Sai che cosa sono le nuvole?

      – No, no! – gridava Nancy. – Non so, e non voglio sapere. – E correva via per non sentire.

      Ma i diciassette anni di Edith e le otto primavere della piccina s'accordavano armoniosamente: l'aurora dell'anima di Nancy, avvivata da presaga fiamma, urgeva a più rapido mattino; mentre la breve giornata di Edith, già oscurata da un invisibile gelo, volgeva alla sua fine prima ancora di giungere al meriggio.

      Così le due anime fanciulle s'incontravano, e il loro amore saliva concorde come l'unirsi vivido e puro di due fiamme.

      Fu la domenica di Pasqua che Fräulein apparve, in ritardo e senza