I divoratori. Annie Vivanti

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Название I divoratori
Автор произведения Annie Vivanti
Жанр Любовно-фантастические романы
Серия
Издательство Любовно-фантастические романы
Год выпуска 0
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– diceva lei.

      Infatti Nino, che le aveva scritto due volte al giorno durante la prima settimana di assenza, le aveva poi scritto ogni due giorni durante la seconda settimana; una sola volta nella terza settimana; e nella quarta, e nella quinta – che era questa – non aveva scritto affatto.

      – Qualche sbiadita inglese, – pensava Nunziata, – gli avrà fatto girare per l'altro verso quel naso di pasta frolla.

      E in tali pensieri essa sgridava Marietta per tutte le cose che aveva messo nei bauli, e per tutte le cose che non vi aveva messo, e per il modo in cui erano state messe.

      Ma la Villari sbagliava; nessuna sbiadita inglese aveva distolto da lei il naso di pasta frolla di Nino. Edith che, volendo, lo avrebbe potuto, aveva preferito trafiggere quella passione nascente con la forcellina che le fermava anti-esteticamente sul capo la comica pettinatura della Germania del Nord. Lo aveva abbandonato e trascurato per andar con Nancy a cogliere le primole nei boschi; con Nancy, di cui l'amore era l'amore proprio all'infanzia: il cieco e chiaroveggente amore che non deriva nè dalla morbidezza d'un ricciolo, nè dal roseo d'una guancia, nè dallo sfavillìo d'un sorriso.

      Nino, lasciato a sè stesso, e guardandosi attorno nell'istintiva ricerca di emozioni, aveva incontrato gli occhi profondi di Valeria fissi su di lui.

      E d'improvviso si era ricordato del desiderio di suo padre. Sì; questa sua cuginetta era stata destinata alle sue braccia fin da quando erano bambini entrambi. Se il Fato non fosse entrato nella loro esistenza sotto la forma di Tom Avory, biondo e placido, che dipingeva quadri, citava poeti, li conduceva in barca sul Lago Maggiore – ecco, questa bruna testolina graziosa che Nino contemplava gli avrebbe posato sul petto, la piccola mano, le gracili spalle, il viso sottile, tutto ciò sarebbe stato suo per sacro diritto.

      Guardandola da questo punto di vista, Nino sentiva che in fondo egli l'aveva sempre amata! Anzi, non aveva mai amato altri che lei! Pensando così era sincero. Aveva completamente scordato il breve e violento capriccio avuto anni fa per l'altra sua cugina, Adele. Anche la passione – più grave e più duratura – per la Villari, gli era uscita dal cuore e dalla memoria.

      Adele? Non esisteva più! La Villari? Era a Milano. E qui, davanti a lui, stava Valeria con la sua testolina bruna e le sue fossette.

      – Cuginetta, – diss'egli, col respiro un po' rapido. – Oggi è il primo giorno di maggio. Cosa facciamo in casa? Usciamo!

      Valeria ripiegò il suo lavoro, e corse su a prendere il cappello. Passando davanti alla stanza di studio udì delle voci gaie, e spinse l'uscio per guardare. V'erano Nancy ed Edith. La piccina con un foglietto in mano e gli occhi ispirati, leggeva dei versi ad Edith, che si chinava verso di lei.

      – « My darlings! » vado fuori con Nino, – disse Valeria. – E tu, Edith, non vuoi venire?

      – Oh, no… c'è' troppo vento, – disse Edith. – Sai bene, il vento mi toglie il respiro e mi fa tossire. E poi, Nancy non può stare senza di me.

      – Oh, no, no, – disse Nancy poggiando il visetto sorridente alla spalla di Edith. – Non posso stare senza di lei.

      Valeria rise mandando un bacio a entrambe; poi uscì nei campi con suo cugino.

      … La stanza di studio era attigua al salotto, dove la signora Avory stava a ricamare; e oggi il nonno le sedeva vicino e la guardava. Tacevano entrambi.

      Dopo un lungo silenzio il nonno parlò.

      – La tosse di Sally peggiora, – disse.

      (Le Parche filavano. « Ecco un filo nero », disse l'Una. « Intessilo nella trama », disse l'Altra. E la Terza aguzzò le forbici).

      – La tosse di Sally peggiora! – ripetè il nonno.

      La signora Avory alzò gli occhi dal suo ricamo.

      – Zitto, zitto, papà! – disse, scotendo la testa in aria di rimprovero.

      – Ho detto che la tosse di Sally peggiora, – ripetè il vecchio. – Tutte le notti la sto ad ascoltare.

      – Ma no, ma no, non parlar così, – disse la signora Avory. – Sai bene che la povera Sally riposa in pace da gran tempo. Non è Sally che senti. Forse parli di Edith, che ha un po' di raffreddore.

      – Io conosco la tosse di Sally, – sentenziò il vecchio.

      La signora Avory depose il lavoro, intrecciando le mani in grembo. Un lento brivido le passò nelle vene, e l'avvolse tutta come d'un lenzuolo bagnato.

      – Sally è la mia nipotina prediletta, – proseguì il vegliardo, crollando la testa bianca. – Ah! povera piccola Sally! povera piccola Sally!

      La signora Avory, immobile, lo guardava. Un terrore senza nome, un terrore lento, gelido, s'insinuava come una serpe nel suo cuore.

      – Edith! E' Edith… che tosse un poco, – sussurrò.

      – E' Sally! – gridò il vecchio, rizzandosi in piedi. – Io ricordo la tosse di Sally, ed ogni notte la odo.

      Seguì un silenzio profondo. Poi nella stanza vicina, Edith tossì.

      Il vecchio venne vicino, vicino a sua nuora. Era livido e terribile.

      – Ecco: – bisbigliò. – Ecco! hai sentito? Questa è Sally. E voi da tanti anni mi dite che è morta!

      La signora Avory si levò. Nei suoi tragici occhi passava la visione spettrale dei suoi figli morti, straziati tutti, dilaniati tutti dal Male orrendo che si accovacciava nei loro petti, che scivolava, subdolo, nelle loro gole, che balzava su di loro e li strozzava appena giungevano al limitare della giovinezza. Ed ora, dunque, anche Edith? Edith, l'ultima nata del suo cuore?… Alzò gli occhi vacui di Mater Dolorosa al volto dell'avo; poi cadde svenuta davanti a lui, con la testa grigia ai suoi piedi.

      Fuori, nei campi costellati di margheritine, Nino aveva preso con aria di padronanza il braccio di Valeria.

      – Cuginetta, – disse, – ti ricordi come io ti amavo, quando avevi dodici anni? E tu mi schernivi!

      – E' vero, – disse ridendo Valeria. – Ma come ti amavo io quando avevo quattordici anni. E tu mi sprezzavi!

      – Ma dopo… – riprese Nino, – come io ti adoravo quando ne avevi diciotto! E tu mi scacciasti!

      Valeria lo guardò con occhi timidi.

      – Ed oggi tu hai ventisei anni; ed io ne ho già ventisette e mezzo.

      – Così è. Come sei giovane! – E Nino rise. – La donna che amo ha trentotto anni.

      Valeria si fece pallida, poi una vampa rosea le soffuse il volto; e rise, mostrando tutti i denti bianchi e tutte le fossette.

      – Che dici? Trentotto anni? quasi quaranta? Io non ci credo.

      – Quasi quasi non ci credo neppur io, – disse Nino, ridendo. – Forse non sarà vero! – E si chinò con fare deciso ed autoritario e la baciò sulla guancia.

      (Può darsi che nella lontana biblioteca della Casa Grigia lo zio Giacomo con l'orecchio astrale udisse la confortante asserzione di suo figlio? Certo è che la Fräulein, alzando gli occhi dal trentacinquesimo Canto dell'Inferno, credette di vederlo blandamente sorridere nel sonno).

      – … Sei proprio sicuro, Nino, – disse Valeria, dopo avergli con grande difficoltà perdonato quel bacio, – sei proprio sicuro che quella che tu ami non abbia… diciasette anni appena?

      E Valeria, mordicchiando un filo d'erba colla testa inclinata sull'omero, gli lanciò di sotto alle ciglia uno sguardo malizioso.

      Nino si fermò, sorpreso.

      – Chi? Che cosa vuoi dire? Chi ha diciassette anni? – domandò.

      – Edith, – sospirò sottovoce Valeria. – Ho creduto… mi pareva…

      – Ah no, – esclamò Nino crollando il capo. – Non Edith! Povera creatura!

      Poi si chinò rapido e le baciò la bocca socchiusa, prima assai