Uno Nessuno Centomila. Луиджи Пиранделло

Читать онлайн.
Название Uno Nessuno Centomila
Автор произведения Луиджи Пиранделло
Жанр Языкознание
Серия
Издательство Языкознание
Год выпуска 0
isbn 9783963618383



Скачать книгу

mi venite con le mani in faccia, gridando:

      – Ma come? Che avete inteso? Non mi avevate detto così e così?

      Così e così, perfettamente. Ma il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto.

      Eh, storia vecchia anche questa, si sa. E io non pretendo dir niente di nuovo. Solo torno a domandarvi:

      – Ma perché allora, santo Dio, seguitate a fare come se non si sapesse? A parlarmi di voi, se sapete che per essere per me quale siete per voi stesso, e io per voi quale sono per me, ci vorrebbe che io, dentro di me, vi déssi quella stessa realtà che voi vi date, e viceversa; e questo non è possibile?

      Ahimè, caro, per quanto facciate, voi mi darete sempre una realtà a modo vostro, anche credendo in buona fede che sia a modo mio; e sarà, non dico; magari sarà; ma a un «modo mio» che io non so né potrò mai sapere; che saprete soltanto voi che mi vedete da fuori: dunque un «modo mio» per voi, non un «modo mio» per me.

      Ci fosse fuori di noi, per voi e per me, ci fosse una signora realtà mia e una signora realtà vostra, dico per se stesse, e uguali, immutabili. Non c’è. C’è in me e per me una realtà mia: quella che io mi dò; una realtà vostra in voi e per voi: quella che voi vi date; le quali non saranno mai le stesse né per voi né per me.

      E allora?

      Allora, amico mio, bisogna consolarci con questo: che non è più vera la mia che la vostra, e che durano un momento così la vostra come la mia.

      Vi gira un po’ il capo? Dunque dunque… concludiamo.

      V. Fissazioni

      Ecco, dunque, volevo venire a questo, che non dovete dirlo più, non lo dovete dire che avete la vostra coscienza è che vi basta.

      Quando avete agito così? Jeri, oggi, un minuto fa? E ora? Ah, ora voi stesso siete disposto ad ammettere che forse avreste agito altrimenti. E perché? Oh Dio, voi impallidite. Riconoscete forse anche voi ora, che un minuto fa voi eravate un altro?

      Ma sì, ma sì, mio caro, pensateci bene: un minuto fa, prima che vi capitasse questo caso, voi eravate un altro; non solo, ma voi eravate anche cento altri, centomila altri. E non c’è da farne, credete a me, nessuna maraviglia. Vedete piuttosto se vi sembra di poter essere così sicuro che di qui a domani sarete quel che assumete di essere oggi.

      Caro mio, la verità è questa: che sono tutte fissazioni. Oggi vi fissate in un modo e domani in un altro.

      Vi dirò poi come e perché.

      VI. Anzi ve lo dico adesso

      Avete mai veduto costruire una casa? Io, tante, qua a Richieri. E ho

      pensato:

      «Ma guarda un po’ l’uomo, che è capace di fare! Mutila la montagna; ne cava pietre; le squadra; le dispone le une sulle altre e, che è che non è, quello che era un pezzo di montagna è diventato una casa».

      – Io – dice la montagna – sono montagna e non mi muovo.

      Non ti muovi, cara? E guarda là quei carri tirati da buoi. Sono carichi di te, di pietre tue. Ti portano in carretta, cara mia! Credi di startene costì? E già mezza sei due miglia lontano, nella pianura. Dove? Ma in quelle case là, non ti vedi? una gialla, una rossa, una bianca; a due, a tre, a quattro piani.

      E i tuoi faggi, i tuoi noci, i tuoi abeti?

      Eccoli qua, a casa mia. Vedi come li abbiamo lavorati bene? Chi li riconoscerebbe più in queste sedie, in questi armadii, in questi scaffali?

      Tu montagna, sei tanto più grande dell’uomo; anche tu faggio, e tu noce e tu abete; ma l’uomo è una bestiolina piccola, sì, che ha però in sé qualche cosa che voi non avete.

      A star sempre in piedi, vale a dire ritta su due zampe soltanto, si stancava; a sdrajarsi per terra come le altre bestie non stava comoda e si faceva male, anche perché, perduto il pelo, la pelle eh! la pelle le è diventata più fina. Vide allora l’albero e pensò che se ne poteva trar fuori qualche cosa per sedere più comodamente. E poi sentì che non era comodo neppure il legno nudo e lo imbottì; scorticò le bestie soggette, altre ne tosò e vestì il legno di cuojo e tra il cuojo e il legno mise la lana; ci si sdrajò sopra, beato:

      – Ah, come si sta bene così!

      Il cardellino canta nella gabbietta sospesa tra le tende al palchetto della finestra. Sente forse la primavera che s’approssima? Ahimè, forse la sente anch’esso l’antico ramo del noce da cui fu tratta la mia seggiola, che al canto del cardellino ora scricchiola.

      Forse s’intendono, con quel canto e con questo scricchiolìo, l’uccello imprigionato e il noce ridotto seggiola.

      VII. Che c’entra la casa?

      Pare a voi che non c’entri questo discorso della casa, perché adesso la vedete come è, la vostra casa, tra le altre che formano la città. Vi vedete attorno i vostri mobili, che sono quali voi secondo il vostro gusto e i vostri mezzi li avete voluti per i comodi vostri. Ed essi vi spirano attorno il dolce conforto familiare, animati come sono da tutti i vostri ricordi; non più cose, ma quasi intime parti di voi stessi, nelle quali potete toccarla e sentirla quella che vi sembra la realtà sicura della vostra esistenza.

      Siano di faggio o di noce o d’abete, i vostri mobili sono, come i ricordi della vostra intimità domestica, insaporati di quel particolare alito che cova in ogni casa e che dà alla nostra vita quasi un odore che più s’avverte quando ci vien meno, appena cioè, entrando in un’altra casa, vi avvertiamo un alito diverso. E vi secca, lo vedo, ch’io v’abbia richiamato ai faggi, ai noci, agli abeti della montagna.

      Come se già cominciaste a compenetrarvi un poco della mia pazzia, subito, d’ogni cosa che vi dico, vi adombrate; domandate:

      – Perché? Che c’entra questo?

      VIII. Fuori all’aperto

      No, via, non abbiate paura che vi guasti i mobili, la pace, l’amore

      della casa.

      Aria! Aria! Lasciamo la casa, lasciamo la città. Non dico che possiate fidarvi molto di me; ma, via, non temete. Fin dove la strada con quelle case sbocca nella campagna potete seguirmi.

      Sì, strada, questa. Temete sul serio che possa dirvi di no? Strada strada. Strada brecciata; e attenti alle scaglie. E quelli sono fanali. Venite avanti sicuri.

      Ah, quei monti azzurri lontani! Dico «azzurri»; anche voi dite «azzurri», non è vero? D’accordo. E questo qua vicino, col bosco di castagni: castagni, no? vedete, vedete come c’intendiamo? della famiglia delle cupulifere, d’alto fusto. Castagno marrone. Che vasta pianura davanti («verde» eh? per voi e per me «verde»: diciamo così, che c’intendiamo a maraviglia); e in quei prati là, guardate guardate che bruciare di rossi papaveri al sole! – Ah, come? cappottini rossi di bimbi? – Già, che cieco! Cappottini di lana rossa, avete ragione. M’eran sembrati papaveri. E codesta vostra cravatta pure rossa… Che gioja in questa vana frescura, azzurra e verde, d’aria chiara di sole! Vi levate il cappellaccio grigio di feltro? Siete già sudato? Eh, bello grasso, voi, Dio vi benedica! Se vedeste i quadratini bianchi e neri dei calzoni sul vostro deretano… Giù, giù la giacca! Pare troppo.

      La campagna! Che altra pace, eh? Vi sentite sciogliere. Sì; ma se mi sapeste dire dov’è? Dico la pace. No, non temete, non temete! Vi sembra propriamente che ci sia pace qua? Intendiamoci, per carità! Non rompiamo il nostro perfetto accordo. Io qua vedo soltanto, con licenza vostra, ciò che avverto in me in questo momento, un’immensa stupidità, che rende la vostra faccia, e certo anche la mia, di beati idioti; ma che noi pure attribuiamo alla terra e alle piante, le quali ci sembra che vivano per vivere, così soltanto come in questa stupidità possono vivere.

      Diciamo