Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10. Edward Gibbon

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Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10
Автор произведения Edward Gibbon
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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con grandi liberalità; Abu-Sophian ricevette per sè solo trecento cammelli e venti once d'argento, e la Mecca sinceramente abbracciò la religion del Corano. Ne fecero doglianza i fuggitivi e gli ausiliari, dicendo che dopo avere portato il peso della guerra erano negletti nel tempo del trionfo. «Oh Dio! replicò lo scaltro condottiero, lasciatemi sagrificare pochi miserabili averi per affezionarmi persone che già erano nemici nostri, e per fortificare questi nuovi proseliti nella fede. Quanto a voi, io vi affido la mia vita e la mia fortuna: voi siete i compagni del mio esilio, del mio regno, del mio paradiso». Egli fu accompagnato da' deputati di Tayef che temevano un secondo assedio: «Appostolo di Dio, concedeteci, gli dissero, una tregua di tre anni, e tollerate l'antico nostro culto. – Non per un mese, non per un'ora. – Almeno dispensateci dall'obbligo dell'orazione. – La religione è vana senza la preghiera». Si sottomisero allora chetamente: fu demolito il lor tempio, e questo decreto di proscrizione si estese a tutti gl'idoli dell'Arabia. Un popolo fido salutò i suoi luogotenenti su le coste del mar Rosso, dell'Oceano e del golfo Persico, e gli ambasciatori che vennero ad inginocchiarsi davanti al trono di Medina furono numerosi, dice un proverbio arabo, quanto i datteri maturi che cadono da una palma. La nazione assoggettossi al Dio e allo scettro di Maometto; si soppresse l'ignominioso nome di tributo; si spesero le elemosine o le decime, volontarie o forzate, in servigio della religione, e da cento quattordici Musulmani fu accompagnato nell'ultimo pellegrinaggio l'appostolo161.

      A. D. 629-630

      Quando Eraclio tornò trionfante dalla guerra Persiana, ricevette in Emeso un inviato di Maometto, che invitava i potentati e le nazioni della terra a professare l'Islamismo. Gli Arabi fanatici in questo avvenimento han veduto una pruova della conversione secreta di quell'imperatore cristiano; e la vanità de' Greci ha supposto per la sua parte che fosse venuto in persona il principe di Medina a visitare l'imperatore, e avesse dalla munificenza imperiale accettato un ricco demanio, e un asilo sicuro nella provincia di Siria162; ma fu di breve durata l'amistà d'Eraclio e di Maometto: aveva la nuova religione risvegliato anzichè indebolito lo spirito di rapina ne' Saraceni, e dall'uccisione d'un inviato si colse un motivo onesto d'invadere con tremila soldati il territorio della Palestina che si stende all'oriente del Giordano. A Zeid fu affidata la santa bandiera, e tale fu il fanatismo, se non la disciplina, della Setta nascente, che i capitani più nobili militarono di buon grado sotto lo schiavo del Profeta. Morendo Zeid, dovea essergli successivamente surrogati Jaafar, ed Abdallah, e se venivano a perire tutti tre, aveano facoltà i soldati di eleggersi il generale. Questi tre di fatto rimasero uccisi alla battaglia di Muta163, cioè nella prima azione guerresca, in cui i Musulmani vennero a pruova di valore contro un nemico straniero. Zeid morì da soldato nella prima fila; eroica e memoranda fu la fine di Jaafar, il quale avendo perduta la man destra, impugnò lo stendardo colla sinistra, e troncatagli questa, strinse e tenne la bandiera co' due moncherini sanguinenti, sinattantochè per cinquanta onorate ferite stramazzò al suolo: «Accorrete, esclamò Abdallah che andò a farne le veci, accorrete arditamente, la vittoria o il paradiso è nostro». La lancia d'un Romano decise l'alternativa, ma Caled, il convertito della Mecca, afferrò il vessillo; nove spade si spezzarono in man sua, e la sua prodezza valse a reprimere e a respignere i cristiani di numero superiori. Nella notte seguente si tenne consiglio di guerra, ed egli fu eletto per generale nel conflitto della domane, ove colla sua abilità seppe assicurare a' Saraceni la vittoria o almeno la ritratta, e quindi Caled ricevè da' suoi compatriotti e da' nemici il glorioso soprannome di Spada di Dio. Salì Maometto in pulpito, e dipinse con enfasi profetica la sorte de' soldati che per la causa di Dio avevano data la vita; ma in privato lasciò vedere sentimenti di natura, e fu sorpreso in atto di piagnere per la figlia di Zeid. «Che veggo mai? gli disse maravigliato un suo discepolo. Tu vedi un amico, rispose l'appostolo, che piange la morte dell'amico più fedele». Dopo conquistata la Mecca, volle il sovrano dell'Arabia far sembiante di prevenire le ostilità di Eraclio, e dichiarò guerra solennemente a' Romani, senza cercare di nascondere le fatiche ed i rischi di tale impresa164. Erano scorati i Musulmani; osservarono che si difettava di danaro, di cavalli, di vittuaglie; opposero le faccende della messe, e l'ardor della state. «È ben più caldo l'inferno, disse loro incollerito il Profeta». Non degnò poi obbligarli a servire, ma ritornato che fu, lanciò contro i più colpevoli una scomunica di cinquanta giorni. Giovò la diffalta di coloro a dare risalto maggiore al merito di Abubeker, di Othmano e de' fidi servi che posero a rischio e vita e fortune. Diecimila cavalieri e ventimila fanti seguirono lo stendardo di Maometto. Il viaggio in fatti fu penosissimo; al tormento della sete e della fatica s'aggiunse il soffio ardente e pestilenziale de' venti del deserto: dieci uomini montavano alternativamente uno stesso cammello, e furono stretti alla umiliante necessità di dissetarsi coll'urina di quell'utile quadrupede. A mezza strada, cioè lungi da Medina e da Damasco dieci giornate, posarono presso al bosco e alla fontana di Tabuc. Non volle Maometto procedere più innanzi; si dichiarò pago delle intenzioni pacifiche dell'imperatore d'oriente, che forse cogli apparecchi militari lo aveva già sbigottito; ma l'intrepido Caled sparse il terrore pel suo nome d'intorno a' luoghi per cui passava; ed il Profeta riceveva gli omaggi di sommessione delle tribù e città, dall'Eufrate sino ad Ailah, città che giace sulla punta del mar Rosso. Non ebbe Maometto difficoltà di concedere a' suoi sudditi cristiani la franchigia delle persone, la libertà del commercio, la proprietà degli averi, e il permesso d'esercitare il lor culto165. Erano troppo deboli gli Arabi cristiani per far argine alla sua ambizione; i discepoli di Cristo erano accetti all'inimico degli Ebrei, ed importava all'interesse del conquistatore il proporre una capitolazione vantaggiosa alla religion più potente che fosse al Mondo.

      A. D. 632

      Sino all'età di sessantatre anni conservò Maometto le forze necessarie alle fatiche temporali e spirituali della sua missione. Più che ad odio dovrebbero movere a compassione i suoi accessi d'epilepsia, calunnia inventata da' Greci166; ma egli credette d'essere stato da una Ebrea avvelenato a Chaibar167. La sua salute per quattro anni andò di giorno in giorno languendo; s'aggravarono le sue infermità, e finalmente morì d'una febbre di quattordici giorni, che per intervalli gli tolse la ragione. Vedendosi al termine della sua carriera mortale, pensò ad edificare i suoi fratelli con singolare umiltà. «Se v'ha, diss'egli dall'alto della sua cattedra, se v'ha alcuno che io abbia ingiustamente percosso, mi sottometto alla sferza della rappresaglia. Se ho macchiata la riputazion d'un Musulmano, divulghi pur egli i miei falli davanti alla congregazione. Se ho spogliato delle sue sostanze un fedele, serva quel poco che possedo a pagare il capitale e il frutto del debito.» «Sì, gridò una voce di mezzo alla folla, ho ragion di pretendere tre dramme d'argento». Maometto trovò giusta la domanda, pagò la somma richiesta, e rendè grazie al creditore che lo aveva accusato in questo Mondo piuttosto che nel giorno finale. Con una fermezza tranquilla vide accostarsi l'ultim'ora: diede la libertà a' suoi schiavi (diciassett'uomini, per quanto si crede, e undici donne); dispose minutamente l'ordine che si doveva tenere ne' suoi funerali, e moderò le lamentazioni de' suoi amici cui benedisse con parole di pace. Sino a' tre ultimi giorni fece in persona la pubblica preghiera; parve poscia che eleggendo Abubeker a supplire per lui in quell'ufficio, destinasse quel vecchio e fedele amico per successore nelle incumbenze sacerdotali e regie; ma non volle esporsi all'odio che gli avrebbe potuto suscitare un'elezione più spiegata. Nel punto che visibilmente andavano scemando le sue forze, domandò penna e inchiostro per iscrivere, o piuttosto per dettare, un libro divino, com'egli diceva, che fosse il compendio e il compimento di tutte le rivelazioni: nella stessa sua camera insorse disputa per sapere, se gli si permetterebbe di porre un'autorità superiore a quella del Corano; e la quistione si riscaldò tanto che dovè d'indecente veemenza riprendere i suoi discepoli. Se si può prestar fede in parte alle tradizioni delle sue mogli, o di coloro che vissero con lui, mantenne in seno alla famiglia, e sino all'ultimo istante di vita, tutta la dignità d'un appostolo, e tutta la franchezza d'un entusiasta; descrisse le visite dell'angelo Gabriele venuto a dar l'ultimo addio alla terra, ed espresse una viva fiducia non solo nella bontà, ma nel favore dell'Essere supremo per lui. Un giorno, in un colloquio familiare, aveva annunciato che per un suo privilegio speciale non verrebbe l'angelo della morte a pigliar la



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Abulfeda (p. 121-133), Gagnier (t. III. p. 119-219), Elmacin (pag. 10, 11) ed Abulfaragio (p. 103) raccontano gli ultimi conquisti, e il pellegrinaggio ultimo di Maometto. Il nono anno dell'Egira fu denominato l'anno delle ambasciate. (Gagnier, Not. ad Abulfed., p. 121).

<p>162</p>

Si confronti il superstizioso Al-Iannabi (ap. Gagnier, t. II, p. 232-255) con Teofane (p. 276-278), con Zonara (t. II, l. XIV, p. 86) e con Cedreno (p. 421), Greci non meno di lui superstiziosi.

<p>163</p>

V. su la battaglia di Muta, e le conseguenze, Abulfeda (p. 100-102) e Gagnier (t. II, p. 327-343). Καλεδος, scrive Teofane, ον λεγουσι μαχαιραν του Θιου Caled, denominato Spada di Dio.

<p>164</p>

I nostri soliti storici, Abulfeda (Vit. Moham. p. 123-127) e Gagnier (Vie de Mahomet, t. III, pag. 147-163) espongono l'impresa di Tabuc; ma per fortuna possiamo per questa ricorrere al Corano (c. 9, p. 154-165), e alle note erudite e sagaci del Sale.

<p>165</p>

Il Diploma securitatis Ailensibus è attestato da Ahmed-Ben-Giuseppe e dall'autore Libri splendorum (Gagnier, Not. ad Abulfeda p. 125). Ma lo stesso Abulfeda, come Elmacin (Hist. Saracen. p. 11), quantunque convengano su i riguardi che Maometto ebbe ai cristiani (p. 13), non fan menzione che della pace che con essi conchiuse, e del tributo che loro impose. Nel 1630, Sionita pubblicò a Parigi il testo e la versione della patente di Maometto in favor de' cristiani: fu ammessa dal Salmasio, rigettata dal Grozio (Bayle, MAHOMET, Rem. A. A.). Hottinger dubita se sia autentica (Hist. orien. p. 237). Renaudot la sostiene, perchè riconosciuta da' Musulmani (Hist. patriarch. Alexand. pag. 169); ma il Mosemio (Hist. eccles., p. 224) dimostra quanto futile sia quest'opinione, e inclina a quella che crede apocrifa la patente. Pure Abulfaragio cita il trattato dell'impostore col patriarca Nestoriano (Assemani, Bibl. orient. t. II, p. 418); ma Abulfaragio era patriarca de' Giacobiti.

<p>166</p>

Teofane, Zonara e gli altri Greci asseriscono che Maometto pativa accesi epilettici, e questa asserzione è con trasporto ammessa dal goffo bigottismo dell'Hottinger (Hist. orient. p. 10, 11), del Prideaux (Vie de Mahomet, p. 12) e del Maracci (t. II), Alcoran. (pag. 762, 763). I titoli dei due capitoli del Corano (73, 74), denominati l'avviluppato ed il coperto, citati in pruova di questo fatto, s'adattano male a questa interpretazione. È più decisivo il silenzio o l'ignoranza de' commentatori Musulmani che una negativa perentoria; ed Ockley (Hist. of the Saracen., t. I, pag. 301), il Gagnier (ad Abulfeda, p. 9, Vie de Mahomet, t. I. p. 118) e il Sale (Koran, p. 469-474) si attengono alla parte più caritatevole.

<p>167</p>

Abulfeda (p. 92) ed Al-Jannabi (apud Gagnier, t. II, p. 286-288), suoi partigiani zelanti, francamente confessano il fatto del veleno, il cui effetto era tanto più obbrobrioso, poichè la donna, che glielo diede, aveva avuta intenzione di smascherare così l'impostura del Profeta.