Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10. Edward Gibbon

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Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10
Автор произведения Edward Gibbon
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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ha bisogno di te,» gli rispose Abubeker, il quale si morì pregando fervorosamente il Dio di Maometto, perchè volesse ratificare quella scelta, ed inspirare a' Musulmani sommessione e concordia. Fu esaudita la sua orazione, poichè Alì si diede tutto alla solitudine e alla preghiera, e protestò di voler rispettare il merito e la dignità del suo rivale, che lo consolò della perdita dell'impero co' più cortesi uffici di amicizia e di stima. Omar fu assassinato nell'anno duodecimo del suo regno. Temendo di gravare la propria coscienza co' peccati del successore, non volle nominare al trono nè suo figlio, nè Alì; ma lasciò a sei de' suoi rispettabili socii la difficil cura di scegliere il comandante de' credenti. Fu pure Alì biasmato dagli amici187 d'aver permesso che venissero assoggettati i suoi dritti al giudizio degli uomini, e d'averne riconosciuta la giurisdizione accettando un posto fra i sei elettori. Avrebbe potuto ottenerne il suffragio se avesse degnato promettere di conformarsi, in guisa rigorosa e servile, non solo al Corano e alla tradizione, ma alle decisioni de' due anziani188. Othmano, già secretario di Maometto, accettò a quelle condizioni il governo, e soltanto dopo il terzo Califfo, cioè passati ventiquattro anni dopo la morte del Profeta, Alì, per voto del popolo, fu investito della dignità di re e di gran sacerdote. I costumi degli Arabi non aveano perduta poco nè punto la primitiva semplicità, e il figlio d'Abu-Taleb non si curò della pompa e delle vanità del Mondo. Nell'ora della orazione si trasferì alla moschea di Medina, vestito d'una leggera stoffa di bambagia, coperto il capo di un turbante grossolano, colle pantofole in una mano, e coll'altra posata sopra il suo arco che gli serviva di bastone. Da' compagni del Profeta e da' Capi delle tribù venne salutato il nuovo sovrano, e gli fu presentata la destra in segno di fedeltà.

      Avviene per lo più, che i mali prodotti dalle contese dell'ambizione si restringano a' tempi e a' luoghi ove insorsero le contese medesime; ma la discordia religiosa degli amici e nemici d'Alì, riaccesa in tutti i secoli dell'Egira, nutre pur oggi l'odio perenne de' Turchi e de' Persiani189. Questi ultimi avviliti col nome di shiiti, o settari, hanno aggiunto al simbolo Musulmano l'articolo seguente di fede: che se Maometto è l'appostolo di Dio, il suo compagno Alì n'è il Vicario. Nel commercio abituale della vita, e nel culto pubblico, scagliano imprecazioni contro i tre usurpatori la cui esaltazion successiva lo ha per sì lungo tempo, ad onta de' suoi dritti, rimosso dalla dignità d'Imano e di Califfo; e nell'idioma loro il nome d'Omar esprime il colmo della scelleraggine e dell'empietà190. I Sonniti, la dottrina dei quali è accettata generalmente e si fonda sulla tradizione ortodossa de' Musulmani, seguono una opinione più imparziale, o per lo meno più decente. Rispettano la memoria d'Abubeker, d'Omar, d'Othmano e d'Alì, tutti santi e successori legittimi del Profeta; ma credendo che il grado di santità abbia determinato l'ordine di successione191, danno l'ultimo luogo allo sposo di Fatima. Quello storico, che con una mano ritrosa a' monumenti della superstizione bilancerà il merito de' quattro Califfi, pronuncierà sentenza che i lor costumi furono egualmente puri ed esemplari, che ardente ne fu lo zelo, e giusta tutte le apparenze sincero, e che in mezzo all'opulenza e potenza loro consacrarono la vita alla pratica dei doveri della morale e della religione; ma le virtù pubbliche d'Abubeker e d'Omar, ma la sapienza del primo, e la severità del secondo mantennero in pace e nella prosperità lo Stato. Per debolezza di naturale e per la vecchiaia Othmano fu inetto a dilatare l'Impero colle conquiste, o a reggere il peso del governo. Egli delegava ad altrui l'autorità, ed era ingannato; ammetteva altri alla sua confidenza, ed era tradito. I più saggi tra i fedeli gli furono inutili, o si cangiarono in nemici, e le sue prodigalità gli suscitarono ingrati e malcontenti. Per le province si sparse il mal seme della discordia: s'adunarono i deputati di quelle a Medina, e co' Charegiti, disperati fanatici, i quali recalcitravano alla subordinazione e alla ragione, si confusero gli Arabi, che, nati liberi, chiedeano riforma degli abusi di cui dolevansi, e punizione degli oppressori. Cufa, Bassora, l'Egitto e le tribù del deserto armarono i lor guerrieri, vennero ad accamparsi ad una lega circa da Medina, e imperiosamente al sovrano intimarono di fare ad essi giustizia, o di scendere dal trono. Di già il suo pentimento disarmava e disperdeva i rivoltosi; ma l'artificio de' suoi nemici li accese di nuovo furore, e per una falsità, a cui si lasciò indurre un perfido secretario, perdette Othmano la riputazione, e più presta ne fu la caduta. Non aveva più il Califfo la stima e la fiducia de' Musulmani, unico presidio de' suoi antecessori: un assedio di sei settimane lo ridusse a mancar d'acqua e di viveri, nè le deboli porte del suo palagio ebbero altra difesa che gli scrupoli di pochi ribelli più timorati che gli altri. Abbandonato da coloro che aveano abusato della sua bontà, al venerando Califfo, rimasto senza difensori, non restò che attendere la morte: si presentò condottiero degli assassini il fratello d'Ayesha: fu trovato Othmano che teneva il Corano sul petto, e fu da mille colpi trafitto. Dopo cinque giorni d'anarchia, cessò il tumulto colla inaugurazione d'Alì; il rifiutar la corona sarebbe stato cagione d'una strage generale. In questa critica situazione, mantenne egli la fierezza che s'addiceva al Capo degli Hashemiti, e dichiarò che preferito avrebbe il servire al regnare; gridò contro la presunzione de' soldati esteri, e volle l'assenso se non volontario, almeno espresso de' Capi della nazione. Non fu mai accusato d'essere stato complice dell'assassinio di Omar, quantunque si celebri in Persia senza riguardo la festa dell'uccisore di quel Califfo. S'era dapprima interposto Alì ad accomodare la lite fra Othmano e i suoi sudditi, ed Hassan, il primogenito de' suoi figli, mentre difendeva il Califfo, fu insultato e ferito. Rimane dubbio peraltro se Alì sia rimasto ben saldo e fosse sincero nell'opporsi a' ribelli, ed è poi certo che si giovò del loro delitto. Un'esca simile potea ben sedurre e corrompere la più specchiata virtù. Non solo su la sterile Arabia si stendeva lo scettro de' successori di Maometto, ma i Saraceni erano stati vincitori in oriente e in occidente, e le doviziose contrade della Persia, della Siria, dell'Egitto erano il patrimonio del comandante de' fedeli.

      A. D. 655-660

      Una vita passata in orazione e in contemplazione non avea raffreddato l'ardor guerriero ed operoso di Alì: giunto all'età matura, con una lunga esperienza del Mondo, lasciava vedere nel suo contegno una temerità e imprudenza giovanile. Ne' primi giorni della sua amministrazione non pensò ad assicurarsi con benefici, o con catene, della mal certa fedeltà di Telha e di Zobeir, due Capi arabi i più poderosi. Si ricoverarono essi alla Mecca, indi a Bassora, inalberarono il vessillo della ribellione, e s'insignorirono della provincia d'Irak e dell'Assiria, che invano domandate aveano per guiderdone de' servigi prestati: la maschera del patriottismo giova a coprire le più manifeste contraddizioni; e i nemici d'Othmano, che forse ne furono gli assassini, chiesero allora che fosse vendicata la sua morte. Furono nella fuga accompagnati da Ayesha, la vedova di Maometto, che sino all'ultimo istante di vita serbò implacabil odio al marito e alla posterità di Fatima. I più ragionevoli tra i Musulmani si scandolezzarono al vedere, che la madre de' fedeli cimentasse e persona e dignità in un campo, ma la moltitudine superstiziosa credè che dalla sua presenza fosse consacrata la giustizia, e accertato il trionfo dalla causa da lei abbracciata. Il Califfo seguìto da ventimila de' suoi fidi Arabi, e da novemila prodi ausiliari di Cufa, diede battaglia sotto le mura di Bassora a' ribelli superiori di numero, e riportò la vittoria. Telha e Zobeir, Capi dell'esercito nemico, caddero in quel conflitto, il primo ove l'armi de' Musulmani si tinsero del sangue de' concittadini. Ayesha, dopo aver corse le file per incoraggiare i soldati, s'era posta in mezzo al pericolo. Settanta uomini, che teneano le redini del suo cammello, furono uccisi o feriti, e la seggiola o lettiga in cui era chiusa si trovò, finita l'azione, tutta traforata e carica di chiaverine e di dardi. Sostenne la augusta prigioniera con volto intrepido i rimbrotti del vincitore, il quale, con quei riguardi e quell'affezione che doveva sempre alla vedova dell'appostolo, la rimandò subito al luogo ove solamente poteva essere confinata in modo decoroso, cioè alla tomba di Maometto. Dopo questa vittoria, che si denominò la giornata del cammello, Alì si volse contro un avversario più formidabile, contro Moawiyah, figlio d'Abu-Sophian, che aveva preso il titolo di Califfo, ed era francheggiato dalle forze della Siria, e dalla riputazione della casa d'Ommiyah. Dopo il passaggio del Thapsaco, la pianura di Siffin192 s'allunga su la riva occidentale dell'Eufrate. In questo terreno vasto e piano fecero i due competitori per centodieci giorni una guerra d'avvisaglie. La perdita d'Alì in novanta scaramucce, succedute in que' giorni, fu valutata di



<p>187</p>

Particolarmente dal suo amico e cugino Abdallah, figlio d'Abbas, che morì (A. D. 687) col titolo di gran dottore de' Musulmani. Secondo Abulfeda, egli novera le occasioni rilevanti in cui aveva negletti Alì i suoi buoni consigli (p. 76. vers. Reiske), e conchiude così (p. 85): O princeps fidelium, absque controversia, tu quidem vere fortis es, at inops boni concilii, et rerum gerendarum parum callens.

<p>188</p>

Suppongo che i due anziani di cui fan cenno Abulfaragio (p. 115) e Ockley (t. I, p. 371) non sieno già due consiglieri in carica, ma Abubeker ed Omar, i due predecessori d'Othmano.

<p>189</p>

Lo Scisma de' Persiani viene esposto da tutti i viaggiatori dell'ultimo secolo, e soprattutto nel secondo e quarto volume del Chardin loro maestro. Il Niebuhr, inferiore al Chardin, ha il vantaggio peraltro d'avere scritto nel 1764, epoca più recente d'assai (Voyages en Arabie, etc., t. II, p. 208-233), e posteriore al vano tentativo che ha fatto Nadir-Shah per cangiare la religione del suo popolo (V. la sua Storia della Persia, tradotta da Sir William Jones, t. II, p. 5, 6, 47, 48, 144-155).

<p>190</p>

Omar presso loro significa il diavolo. Il suo assassino è un santo. Quando i Persiani scagliano una freccia, sogliono gridare: «Possa questa freccia trafiggere il cuore d'Omar». (Voyages de Chardin, t. II, p. 239, 240, 259, ec.).

<p>191</p>

Questa graduazione di merito è notata distintamente nel simbolo spiegato dal Reland (De relig. Moham., l. I, p. 37), e da un argomento de' Sonniti riferito dall'Ockey (Hist. of the Sarac., t. II; p. 230). L'usanza di maledire la memoria d'Alì fu abolita, quarant'anni dopo, dagli stessi Ommiadi (d'Herbelot, p. 690); e son pochi i Turchi che osino insultarlo come infedele (Voyages de Chardin, t. IV, p. 46).

<p>192</p>

D'Anville (l'Euphrate et le Tigre, p. 29) dimostra che il piano di Siffin è il campus barbaricus di Procopio.