Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10. Edward Gibbon

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Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10
Автор произведения Edward Gibbon
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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che cerchi: se oserà qualcuno levarsi contro di te, io gli spezzerò i denti, gli caverò gli occhi, gli romperò le gambe, gli spaccherò il ventre. Profeta, sarò io il tuo visir». Accolse Maometto con gran trasporto questa profferta, e fu ironicamente esortato Abu-Taleb a rispettare la nuova dignità di suo figlio. Avendo poscia voluto il padre d'Alì, in tuono serio, indurre il nipote ad abbandonare un impegno ineseguibile: «Risparmiate i consigli, rispose allo zio suo benefattore l'intrepido fanatico: quando si ponesse il sole sulla mia destra, la luna sulla sinistra non si cangerebbe la mia risoluzione». Per dieci anni perseverò nell'esercizio della sua incumbenza, e questa religione, che ha soggiogato l'Oriente e l'Occidente, non pose radici nelle mura della Mecca che con gran lentezza e difficoltà. Aveva peraltro il contento di vedere che la sua piccola congregazione di unitari andava ogni giorno crescendo; n'era rispettato come un Profeta, ed egli a tempo e luogo le comunicava il cibo spirituale del Corano. Si può argomentare il numero de' suoi proseliti dalla partenza di ottantatre uomini e di diciotto donne che nel settimo anno della sua missione si ritirarono in Etiopia; la sua Setta fu assai presto rafforzata per la conversione di Hamza suo zio, e dell'inflessibile e feroce Omar, che adoperò in favor dell'Islamismo collo stesso zelo con cui ne aveva tentata la distruzione. Non si racchiuse la carità di Maometto nella sola tribù di Koreish o nel recinto della Mecca; nelle grandi solennità, o ne' giorni di peregrinazione, andava alla Caaba, favellava agli stranieri di tutte le tribù, e sia nelle conferenze particolari, sia nelle pubbliche aringhe, predicava la credenza e il culto d'un solo Dio. Debole allora di forze e saggio nella sua dottrina, sosteneva la libertà di coscienza, e riprovava l'uso della violenza in materia di religione130: ma esortava gli Arabi alla penitenza, e scongiuravali a risovvenirsi degli antichi idolatri di Ad e di Thamud, che la giustizia divina avea disperso dalla faccia della terra131.

      A. D. 613-622

      Dalla superstizione e dalla gelosia era confermato nella incredulità il popolo della Mecca. Gli anziani della città, gli zii del Profeta, affettavano dispregio dell'ardimento d'un orfano che voleva figurare da riformatore del suo paese. Le pie preghiere di Maometto nella Caaba erano perseguitate dalle grida di Abu-Taleb: «Cittadini e pellegrini, gridava, non date orecchio al tentatore, non date retta alle sue empie novità: state invariabilmente attaccati al culto di Al Lata e Al Uzzah». Non ostante, questo vecchio Capo amava sempre il figlio d'Abdallah, e ne difendeva la persona e la riputazione contro gli assalti de' Koreishiti, la cui gelosia da lungo tempo era adontata dalla preminenza della famiglia di Hashem. Coprivano l'odio sotto il colore della religione; al tempo di Giobbe, il magistrato Arabo puniva il delitto d'empietà132, e Maometto era reo del delitto d'abbandonare e rinnegare gli Dei della sua nazione; ma la Polizia della Mecca era sì difettosa, che i Capi dei Koreishiti, anzi che accusare un reo, furono obbligati ad usare la persuasione o la violenza. Più volte si diressero ad Abu-Taleb con aria di rimprovero e di minaccia. «Tuo nipote, gli dissero, insulta la nostra religione, accusa d'ignoranza e di follìa i nostri saggi antenati; fallo tacere subitamente acciocchè non turbi e sollevi la città. Se prosegue così, sguaineremo la spada contro lui e i suoi aderenti, e tu renderai conto del sangue de' tuoi concittadini». Abu-Taleb potè pel suo credito e per la sua moderazione sottrarsi alla violenza di questa fazion religiosa. I più deboli o più timidi fra i discepoli di Maometto si ritrassero in Etiopia, e il Profeta andò in cerca d'asili in diversi luoghi, sia in città sia in campagna, che gli offrissero qualche sicurezza. Continuando a difenderlo la sua famiglia, il rimanente della tribù di Koreish s'impegnò a rinunziare ogni commercio co' figli di Hashem, a nulla comperare da loro, a nulla vendere ad essi, a non contrarre più matrimoni seco loro, ma a perseguitarli senza pietà finattanto che non consegnassero alla giustizia degli Dei Maometto. Questo decreto fu sospeso nella Caaba, ed esposto alla vista di tutta la nazione; gli emissari de' Koreishiti perseguitarono i Musulmani sin nel cuore dell'Affrica, assediarono il Profeta e i suoi più fidi discepoli, li privarono d'acqua, e con rappresaglie dall'una e dall'altra parte s'inviperì la reciproca animosità. Parve che una tregua, di poca durata, riconducesse la concordia, ma colla morte d'Abu-Taleb rimase abbandonato Maometto in balìa de' nemici; e la morte della fedele e generosa Cadijah gli levava ogni consolazione domestica. Abu-Sophian, Capo del ramo d'Ommiyah, succedette alla primaria dignità della repubblica della Mecca. Il quale, zelante adoratore degl'idoli, nemico mortale della famiglia di Hashem, convocò un'assemblea de' Koreishiti e de' loro alleati per decidere della sorte dell'appostolo. Imprigionandolo, si poteva provocare il suo coraggio ad atti di disperazione, ed esiliando un fanatico eloquente, e accetto al popolo, si potea da lui diffondere il male in tutte le province dell'Arabia. Fu decisa la sua morte, ma si convenne che per dividere il delitto e prevenire la vendetta degli Hashemiti, un Membro d'ognuna delle tribù gl'immergerebbe la spada nel petto. Da un angelo o da una spia fu informato di quella sentenza, nè vide scampo fuorchè nella fuga133. A mezza notte, accompagnato dal suo amico Abubeker, fuggì cheto cheto di casa; attendendo i sicari alla porta, ma rimasero ingannati dalla figura d'Alì, che dormiva nel letto dell'appostolo, vestito del suo abito verde. Ebbero rispetto i Koreishiti alla pietà del giovane eroe, ma in alcuni versi d'Alì, che sussistono ancora, abbiamo una descrizione commovente delle sue inquietudini, della sua tenerezza, della sua religiosa fiducia. Maometto e il suo compagno si tennero nascosti per tre giorni nella caverna di Thor, distante dalla Mecca una lega: quando imbruniva la notte, il figlio e la figlia d'Abubeker recavano ad essi i viveri, e le notizie di quel che nella città succedeva. I Koreishiti, che attentamente spiavano per tutti i dintorni, giunsero all'ingresso della caverna; ma la Providenza, dicesi, li deluse con un ragnatelo, e con un nido di colombo che erano situati in modo da persuadere che niuno vi fosse entrato. «Non siamo che due», diceva tremante Abubeker: «un terzo è con noi, rispose il Profeta, ed è Iddio medesimo». Rallentato che fu alquanto l'ardore delle persecuzioni, uscirono della spelonca i due fuggiaschi, e salirono su i lor cammelli; camminavano alla volta di Medina quando furono arrestati dagli emissari de' Koreishiti; a forza di preghiere e di promesse poterono scampare dalle lor mani. In quel critico momento avrebbe la lancia d'un Arabo cangiata la storia del Mondo. Questa fuga di Maometto, che passò dalla Mecca a Medina, stabilisce l'epoca memoranda dell'Egira134, che dopo dodici secoli segna ancora gli anni lunari delle nazioni Musulmane135.

      A. D. 622

      La religion del Coran sarebbe morta in culla, se non avesse Medina accolto con fede e con riverenza i santi esuli della Mecca. Medina, o la città che nomavasi Yatreb avanti che fosse consecrata come il trono del Profeta, era divisa fra due tribù, i Caregiti e gli Awsiti, dove i menomi accidenti di continuo risvegliavano l'odio ereditario; erano suoi umili alleati due colonie di Giudei che vantavano origine sacerdotale; senza convertire gli Arabi avevano introdotto fra loro quel genio della scienza e delle idee religiose che procacciò a Medina l'onore d'esserci soprannomata la città del Libro. Avendo le predicazioni di Maometto convertiti alcuni de' suoi cittadini più nobili venuti in pellegrinaggio alla Caaba, tornando a casa, diffusero la cognizione del vero Dio e del suo Profeta; e la novella alleanza de' Medinesi coll'appostolo fu ratificata dai loro deputati in due conferenze secrete, che si tennero la notte sur una collina dei sobborghi della Mecca. Nella prima, dieci Caregiti e due Awsiti si unirono di religione e d'affetto, e dichiararono in nome delle loro mogli, dei figli e dei fratelli assenti che per sempre professerebbero i dommi del Corano, e ne osserverebbero i precetti. Produsse la seconda un'associazione politica che fu il principio dell'impero de' Saraceni136. Settantatre uomini e due donne di Medina ebbero una solenne conferenza con Maometto, co' suoi alleati e co' suoi discepoli, e scambievolmente prestarono giuramento di fedeltà. Promisero gli abitanti di Medina in nome della loro città, che se sbandito fosse Maometto, lo riceverebbero come un alleato, che gli obbedirebbero come a Capo, e che lo difenderebbero sino all'ultima estremità con tanta costanza come le proprie mogli ed i figli. «Ma se vi richiama la vostra patria, dimandarono con un'inquietudine per lui onorevole, abbandonerete i vostri nuovi alleati? – Tutto ora è comune tra noi, rispose Maometto ridendo; il vostro sangue è mio sangue; mia la ruina vostra. Siamo avvinti gli uni agli altri dall'onore e dall'interesse. Io son l'amico vostro, e il nemico de' vostri nemici. – Ma se spendiamo la vita per voi, qual premio



<p>130</p>

Energici sono e molti i passi del Corano in favore della tolleranza. V. c. 2, v. 257; c. 16, v. 129; c. 17, v. 64; c. 45, v. 15; c. 50, v. 39; c. 88, v. 21, ec. colle note del Maracci e del Sale. In generale possono giudicar gli eruditi questo carattere di tolleranza secondo che loro sembrerà, e se tal capitolo fu rivelato alla Mecca o a Medina.

<p>131</p>

V. il Corano (passim, e particolarmente c. 7, p. 123, 124, ec.) e la tradizione degli Arabi (Pocock, Specimen, p. 35-37). Si mostravano a mezza strada, fra Medina e Damasco, certe caverne della tribù di Thamud, adatte ad uomini d'una statura ordinaria (Abulfeda, Arabiae Descript., p. 43-44); e si ponno con qualche probabilità attribuirle ai Trogloditi del Mondo primitivo (Michaelis, ad Lowth, De poesi Hebraeor., p. 131-134; Recherches sur les Egyptiens, t. II, p. 48 ec.).

<p>132</p>

Al tempo di Giobbe, i magistrati Arabi punivano realmente il delitto d'empietà (cap. 31, v. 26, 27, 28), ed io arrossisco per un illustre Prelato (De poesi Hebraeorum, p. 650, 651, ediz. Michaelis, e Lettera d'un professore dell'Università d'Oxford, p. 15-53), vedendo che ha giustificato e decantato questa inquisizione de' Patriarchi.

<p>133</p>

D'Herbelot, Bibl. Orient., p. 445. Cita egli una storia particolare della fuga di Maometto.

<p>134</p>

L'Egira fu istituita da Omar, secondo califfo, a imitazione dell'Era de' Martiri de' Cristiani (d'Herbelot. p. 444), e, parlando esattamente, cominciò sessantotto giorni prima della fuga di Maometto, avanti il primo di Moharren, o sia il primo giorno di quell'anno arabo, che fu il venerdì 16 luglio, A. D. 622. ( Abulfeda, Vita Mohammed, c. 22, 23, p. 45-59, e l'edizione datane da Greaves, delle Epochae Arabum d'Ullug Beig, etc., c. 1, p. 8-10 ec.).

<p>135</p>

Le circostanze della vita di Maometto, dopo la sua missione sino all'Egira, si trovano in Abulfeda (p. 14-45), e Cagnier (t. I, p. 134-251, 342-383). La leggenda che sta a pag. 187-234, è assicurata da Al-Iannabi, e rifiutata da Abulfeda.

<p>136</p>

Abulfeda (30, 33, 40, 86) e Gagnier, (t. I, p. 343, ec.; 349 ec., t. II, pag. 223, ec.), descrivono la triplice inaugurazione di Maometto.