Название | Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10 |
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Автор произведения | Edward Gibbon |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
Libera era l'Arabia: avendo la conquista e la tirannia capovolto i regni circonvicini, le Sette perseguitate ripararono su quel suolo felice ove poteano francamente professare la propria opinione, e regolare le azioni a seconda della credenza. Le religioni de' Sabei, de' Magi, de' Giudei, de' Cristiani erano diffuse dal golfo Persico sino al mar Rosso. In un tempo remotissimo dell'antichità, la scienza de' Caldei58, e le armi degli Assiri propagato aveano il Sabeismo nell'Asia: su le osservazioni di duemila anni i sacerdoti e gli astronomi di Babilonia59 fondato aveano il concetto che formarono delle leggi eterne della Natura e della Previdenza. Adoravano i sette Dei, ovvero angeli, che dirigevano il corso de' sette pianeti, e spandeano su la terra i loro indeclinabili influssi. Alcune immagini e talismani figuravano gli attributi de' sette pianeti, i dodici segni dello Zodiaco e le ventiquattro costellazioni dell'emisfero settentrionale e dell'australe. I sette giorni della settimana erano dedicati alle lor deità rispettive: i Sabei oravano tre volte al giorno, e il tempio della Luna, situato in Haran, era il termine del loro peregrinare60; per la pieghevolezza della lor fede erano facili a dare continuamente e ad ammettere novelle opinioni. Le loro idee61 su la creazione del Mondo, sul diluvio, su i Patriarchi aveano una singolar somiglianza con quelle de' Giudei lor cattivi; citavano i libri secreti d'Adamo, di Seth, d'Enoch; e una lieve tintura dell'Evangelo fece di tai politeisti i Cristiani di San Giovanni che stanno nel territorio di Bassora62. Le are di Babilonia furono atterrate dai Magi, ma la spada d'Alessandro vendicò le ingiurie de' Sabei; per più di cinque secoli gemette la Persia sotto giogo straniero: alcuni de' discepoli di Zoroastro scamparono dal contagio della idolatria, e respirarono co' loro antagonisti l'aria libera del deserto63. Erano già stanziati nell'Arabia i Giudei da sette secoli prima, della morte di Maometto, e le guerre di Tito e d'Adriano ne scacciarono un più gran numero dalla Terra Santa. Questi esuli industriosi aspirarono alla libertà e alla dominazione, formarono sinagoghe nella città, castella nel deserto, e i Gentili, cui convertirono alla religione Mosaica, furono confusi co' figli d'Israele, a' quali, pel segno esterno della circoncisione, rassomigliavano. Più operosi ancora e più fortunati furono i missionari Cristiani: sostennero i Cattolici64 le pretensioni loro all'impero universale: le Sette da essi perseguitate si ritrassero di mano in mano al di là de' confini dell'Impero romano: da' Marcioniti, e da' Manichei furono disseminate le loro opinioni fantastiche e i loro evangeli apocrifi: i Vescovi giacobiti e nestoriani65 introdussero nelle Chiese dell'Yemen, e fra i principi di Hira e di Gassan massime più ortodosse. Aveano le tribù la libertà di scegliere, ogni Arabo era padrone di farsi una religione particolare, e talvolta alla superstizione grossolana della sua casa accoppiava la sublime teologia de' santi e de' filosofi. Alla concordia generale de' popoli istruiti andavano debitori del domma fondamentale della esistenza d'un Dio supremo che sovrasta a tutte le potenze della terra e del cielo, ma che sovente s'è rivelato agli uomini col ministero de' suoi angeli e de' suoi profeti, e che pel favore o per la giustizia sua ha interrotto con miracoli l'ordine consueto della Natura. I più ragionevoli tra gli Arabi ne riconoscevano il potere quantunque trascurassero d'adorarlo66. Per abitudine piuttosto che per convincimento aderivano a' resti dell'idolatria. I Giudei e i Cristiani erano il popolo del libro santo: la Bibbia era già tradotta in lingua Arabica67, e que' nemici implacabili riceveano con pari fede l'antico Testamento. Amavano gli Arabi di trovare nella Storia de' patriarchi Ebrei qualche vestigio della propria origine. Festeggiavano la nascita d'Ismaele, e le promesse a lui fatte: riverivano la fede e le virtù d'Abramo; riportavano la sua genealogia e la loro sino alla creazione del primo uomo, e colla stessa credulità68 ammisero i prodigi del sacro testo come i sogni e le tradizioni de' Rabbini giudaici.
A. D. 569-609
L'oscura e volgare origine che si attribuì a Maometto è una sciocca calunnia de' Cristiani69, i quali così adoperando danno più risalto al merito dell'avversario in vece di menomarlo. La discendenza sua da Ismaele era un privilegio, oppure una favola comune all'intera nazione70; ma se abietti o incerti erano i primi anelli della sua genealogia, provava una nobiltà purissima per più generazioni; discendea dalla tribù di Koreish, e dalla famiglia degli Hashemiti, i più illustri fra gli Arabi, principi della Mecca, e custodi ereditari della Caaba. Abdol-Motalleb, suo avo, era figlio di Hashem, cittadino ricco e generoso, che in tempo di carestia avea mantenuto co' guadagni del suo traffico i concittadini. La Mecca, sostentata dalla liberalità del padre, fu salvata dal coraggio del figlio. Il regno d'Yemen obbediva a' principi cristiani dell'Abissinia; avvenne che per un insulto ricevuto, Abrahah, loro vassallo, si determinò a vendicare l'onore della croce; una truppa d'elefanti e un esercito d'Affricani investirono la santa città. Si propose un accomodamento; nella prima conferenza, l'avo di Maometto domandò che fossero restituite le sue greggie. «E perchè, gli disse Abrahah, non implori piuttosto la mia clemenza in favore del tuo Tempio che ho minacciato?» «Perchè, replicò l'intrepido Capo, le greggie son mie, e la Caaba appartiene agli Dei, che ben sapranno difenderla contro l'oltraggio e il sacrilegio». La diffalta di viveri o il valore de' Koreishiti forzarono gli Abissini ad una ritratta obbrobriosa. Si ornò il racconto di quella sconfitta colla apparizione miracolosa d'uno stormo d'uccelli che fecero piovere una grandine di sassi su le teste infedeli, e la memoria di questa liberazione fu per lungo tempo celebrata sotto nome di Era dell'elefante71. La gloria d'Abdol-Motalleb fu rabbellita dalla felicità domestica; visse sino all'età di centodieci anni, e diede la vita a sei figlie e a tredici maschi. Abdallah, suo figlio prediletto, era il più bello e il più modesto giovanetto dell'Arabia; narrasi che nella prima notte delle sue nozze colla vezzosa Amina, della nobile stirpe degli Zahriti, duecento fanciulle morissero di gelosia e di rabbia. Maometto, o, più esattamente scrivendo, Mohammed, unico figlio di Abdallah e d'Amina, nacque alla Mecca quattro anni dopo la morte di Giustiniano, e due mesi dopo la sconfitta degli Abissini72, i quali, vincendo, introdotta avrebbero nella Caaba la religione cristiana. Ancora fanciullo perdette il padre, la madre e l'avolo. I suoi zii erano considerati assai, ed erano molti: nella division della successione non ebbe per sua parte che cinque cammelli ed una schiava d'Etiopia. Abu-Taleb, il più ragguardevole de' suoi zii,
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Il dotto Sir John Marsham (
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Κατ’ ετος εκαστον παιδα εθυον
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Procopio (
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I dottori Musulmani non han piacere di trattare questa materia; pure credono necessaria la circoncisione per la salute, e pretendono ancora che per una specie di miracolo, nascesse Maometto senza prepuzio (Pocock,
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Diodoro Siculo (t. I, l. II, p. 142-145) ha data alla lor religione un'occhiata curiosa ma superficiale da Greco. Si dee apprezzare la loro astronomia, avvegnachè aveano finalmente fatto uso della lor ragione, se dubitavano che il sole fosse nel numero de' pianeti e delle stelle fisse.
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Semplicio (che cita Porfirio),
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Pocock (
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D'Anville (l'
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Abitavano i Magi nella provincia di Bahrein (Gagnier,
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Pocock, aderendo a Sharestani, ec. (Specimen, p. 60-134, ec.), Hottinger (
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Nelle obblazioni avean per massima d'ingannar Dio a pro dell'idolo, ch'era meno possente, ma più irritabile (Pocock,
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Le versioni ebraiche o cristiane che abbiamo della Bibbia sembrano più moderne del Corano, ma dee credersi che s'avessero traduzioni anteriori, 1. per l'uso perpetuo della sinagoga, che spiegava la lezione ebraica con una parafrasi in lingua volgare del paese; 2. per l'analogia delle versioni armena, persiana ed etiopica, espressamente citate da' Padri del quinto secolo, i quali asseriscono che le scritture erano state tradotte in tutte le lingue de' Barbari. (Walton,
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Abulfeda (in
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I primi semi di questa o favola o storia si trovano nel centesimoquinto capitolo del Corano, e Gagnier (
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Le epoche più sicure, quelle d'Abulfeda (
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