L'alcòva d'acciaio: Romanzo vissuto. F. T. Marinetti

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Название L'alcòva d'acciaio: Romanzo vissuto
Автор произведения F. T. Marinetti
Жанр Языкознание
Серия
Издательство Языкознание
Год выпуска 0
isbn 4064066072087



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un capitano inglese ubriaco:

      —Moi aussi, monsieur le colonnel, je vous ai connu au bordel de Verona.

      Squilloni rideva godeva da studente o marinaio l’allegria del bordello, scalo di tutti i cuori naviganti in guerra. Comprensione e cordialità assoluta di popoli e sessi alleati.

      Prima saletta: Porta aperta con tenda sulla campagna torrenzialmente inondata di stelle che aspetta gli areoplani. Nel centro la lampada con tendina blu scura proietta un tondo cerchio di luce studiosa e scientifica sul tavolo. Luce d’intenso lavoro spirituale. Luce per progetti d’ingegneria. Sembra un laboratorio preparato per una veglia saggia e feconda. Quale incubo feroce ha scatenato tanti sessi vocianti in questo asilo del pensiero? Tin tin toc ploc di piedi sulla scala di legno. Un grosso tenente di fanteria con ampio ondeggiamento del corpo imbottito e armato spinge su come un pastore la donna scelta pecora fronzoluta mezzo nuda che sembra adornarsi salendo delle foglie verdi e dei papaveri della tappezzeria. Una magrissima biondina che tutti chiamano non si sa perchè pantera, gira coraggiosamente col suo fragile corpo minuto fra le gomitate i fianchi rocciosi e le dure pistole degli ufficiali. Tutti guardano in alto verso il corridoio dove le porte si richiudono ogni tanto su dei chiarori di camere chirurgiche per rapide operazioni. Meccanizzazione dell’amore. Sento la casa vibrare di un meccanico ininterrotto stantuffare d’istinti rudi denudati di ogni civiltà. Instancabili donne-motori.

      Uragano di rumori, voci, luci.

      Urari-ciacipiera-teloo... Io sono ancora vergine questa sera... Non ci credo... Andiamo a godere biondino... Dove è andato il pancione?...

      Viva il nostro colonnello Squilloni! Urla risate applausi, tutti si precipitano verso il divano dove il capitano Melodia che ha indossato una vestaglia gialla finge di sedurre il tenente Bosca e lo tiene fra le braccia. Comincia poi il giuoco tradizionale di spingere a viva forza e trasportare in camera un amico che non si decide, mentre altri catturano una ragazza. I due pigiati a spintoni e a pedate sono insaccati nella porta semi aperta.

      —Via, via, presto, forza, dentro! Ti abbiamo scelto la bimba, eccola pronta!

      Una milanese pallida, carina, con i capelli corti, neri, ricci e cocciuti pettinati all’indietro, mi bacia. La seguo. Camera piccolissima, letto grande, coperta rossiccia gibbosa, bitorzoluta, tutta sporca di piedi eroici per continuare e imitare forse le Doline del Carso perdute. Ma si ripigliano, si ripiglieranno con la sana virilità della razza che sa prendere bene e tenere sotto le donne e le montagne sue. Plafone ingenuo e primitivo. Odore acuto di Contessa azzurra.

      —Come ti chiami?

      —Maria.

      —Di che parte d’Italia?

      —Sono Milanese.

      —Anch’io.

      —Vieni sarai contento.

      E mi abbraccia col tin tin glin glin di troppi braccialetti.

      Quando ritorno in sala un mio amico dice a Maria che sono Marinetti. Maria pianta il nuovo cliente viene da me, mi dà un bacio e dice:

      —Se avessi saputo che tu eri il celebre futurista ti avrei dato dei baci più raffinati.

      —Perchè?

      —Perchè ho letto tutti i tuoi libri. Ero abbonata anche a Lacerba.

      Esco. Giù, fuori della porta, vedo tre soldati che parlano a una prostituta alla finestra. Si tengono per mano come collegiali, scherzano indecisi, ansiosi. La prostituta è scesa anch’essa. Si avvicina ai soldati. Dà in fretta 5 lire a ognuno di loro poi ripassando di corsa vicino a me seguita dai soldati mi dice:

      —Mi facevano pietà.

      Mi dirigo verso l’autocarro dicendo a Squilloni:

      —Bordello! Ultimo rifugio del cuore!

      —Certamente, risponde Squilloni, il bordello è la soluzione sintetica di tutti i problemi dell’Amore. Credo che avrete finalmente sconfitto tutte le offensive delle nostalgie sentimentali.

      —No, non ho pensato all’amore. Ho ideato invece l’architettura del mio nuovo libro che sarà meraviglioso, siatene sicuro.

      Voglio che questo libro danzi, danzi, danzi vivo e palpitante con ritmo giocondo fra le mani del lettore. Voglio che la sua danza pazza d’amore e di sconfinato eroismo trasformi le mani del lettore in quelle agilissime del giocoliere. Scatterà anch’egli fuor dalla poltrona e ritto si sforzerà di aumentare la sua statura sulla punta dei piedi ballerinamente nell’ebbrezza ascensionale che lo spingerà a gareggiare in temerario equilibrismo col ritmo selvaggio del mio libro. Sarà ebbro di guardarlo in alto quasi in bilico sull’improvviso zampillo di gioia che gli schizzerà dal cuore. A braccia aperte aspetterà che ricada che ricada finalmente.

      Ma intendiamoci parlo del lettore geniale, amico d’ogni coraggio spirituale! Con ferocia brutale il mio libro piomberà sul naso del passatista imbelle acidulo e occhialuto che trema sotto i suoi vetri come un microbo sotto il microscopio. Si staccherà da lui per rimbalzargli addosso furente e per schiaffeggiarlo.

      Ma con quanta grazia ridente e primaverile si spalancherà sotto gli occhi vivaci del lettore geniale per profumarne l’anima! Vedo allora gli orli bianchi delle mie pagine fremere ammorbidendosi e iridandosi con gli amoerri beati, la metallicità persuasiva e gli invitanti riflessi rosei-azzurri del mare che scivola, scivola, scivola verso la forza tonda e rossa del sole al tramonto. Ecco il mio libro segue i consigli del mare e veleggia bianco per seguire il sole che scivola esso pure gonfiandosi d’orgoglio e di morte giù dal suo morbido letto di tenerezza crepuscolare.

      Stracciatelo, bruciatelo pure questo libro mio. Rinascerà perfetto. Se un giorno sarà stanco come credo delle stanze chiuse e meticolose fugga, fugga le inevitabili biblioteche e si slanci aprendo le pagine come ali in cielo. Subito immensificato dal suo ardore si tramuterà in un areoplano simile a quello ricco di raggi che si libra e ronza con garriti e applausi sulla mia testa mentre entro nel forte Corbin di Val D’Astico.

      Oggi 11 giugno 1918.

      Sono un tenente dei bombardieri che ha fatto il suo dovere. Ma non mi sento degno di te, libro mio preferito. Mentre il mio cuore batte sicuro il mio passo non lo sa cadenzare con eguale sicurezza. Ho il passo indeciso, malfermo ondeggiante, ferito, che ripete sulla terra le punture dilanianti d’una piaga infame e assillante aperta nel mio fianco. Piaga di Caporetto, piaga enorme che sento vivere soffrire, imputridire e che presto bisogna, ad ogni costo bisogna colmare, colmare con un nuovo ultravermiglio generosissimo sangue a fiotti bollenti, a torrenti nel suo centro e sugli orli il cui viola sinistro ricorda le botti sventrate dai fuggiaschi ubriachi, le schifose avvinazzate bombe incendiarie su Cervignano e il putrido violaceo fuggente tramonto del 27 ottobre. Guarire, guarire quella piaga! La guariremo. Già domino il mio passo e lo cadenzo. La grande battaglia è prossima e tutto nel mio corpo s’avventa verso quell’ora decisiva dalla quale nascerà il nuovo passo Italiano, quello d’avant’ieri sul Carso, passo elastico, martellante, padrone delle nobili elegantemente femminili strade italiane.

      Mi siedo alla mensa dei gloriosi Gialli del Podgora, 11 fanteria, brigata Casale, nel Forte Corbin. Pranzo giocondo, chiassoso. Circa 30 ufficiali pigiatissimi che divorando rossa pasta asciutta parlano golosamente della prossima inevitabile offensiva austriaca. I gialli del Podgora hanno ornato di fiori gialli la sala. Volete che io parli di voi, cari Gialli, della vostra gloria passata e della prossima, sicura?

      Volentieri! Mi abbandono. So che saprete dare col vostro slancio al giallo della smisurata bile italiana lo scoppiarne fragore purpureo della vittoria definitiva!

      Si brinda alla gloria di Boccioni, di Sant’Elia e degli altri futuristi, primi fra tutti gl’interventisti italiani.

      Declamo parole in libertà che varcano tonando le porte della sala aperte sulla terrazza e si tuffano nell’ampio respiro freschissimo dell’Astico. I rumorismi della battaglia Bulgara cantata da me svegliano certo le batterie austriache di Tonezza e gli applausi che li salutano completano la polifonia di echi delle montagne e l’infinita orchestra