L'alcòva d'acciaio: Romanzo vissuto. F. T. Marinetti

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Название L'alcòva d'acciaio: Romanzo vissuto
Автор произведения F. T. Marinetti
Жанр Языкознание
Серия
Издательство Языкознание
Год выпуска 0
isbn 4064066072087



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veneta crepuscolare.

      I miei amici cantavano intorno al dottore l’inno della burla futurista:

      Irò irò irò pic pic Irò irò irò pac pac Maa — gaa — laa Maa — gaa — laa RANRAN ZAAAF

      Uccidevano così le nostalgie.

      Alla vigilia di una grande offensiva nemica i combattenti italiani dovevano spesso subire una ben più pericolosa offensiva; l’offensiva dei Ricordi Amorosi. La sentivamo accanirsi sopra di noi e in noi, nel nostro cuore e sulle labbra—quella sera fra gli agili ventagli di piume rosate del cielo e i fiumi interni del nostro sangue felice. Ero seduto col colonnello Squilloni, il capitano Melodia, il tenente Bosca e il mio attendente Ghiandusso, sull’orlo a picco della alta montagna scoscesa.

      Muti in ascolto sorseggiavamo la sera dolce fresca mordente come certe bevande arabe impreziosite e profumate di spezie e di fiori. Guardavamo le città dell’immensa pianura veneta. Sentivamo laggiù Milano. A quell’ora la ribollente città lombarda, dopo il lavoro curvo accanito, accendeva tutti i suoi lumi azzurri guardando e bevendo con tutte le sue finestre l’ossessionante linea curva del Fronte.

      Le sue 800.000 anime buttavano via sul selciato i corpi affranti gretti e rapaci per salire in alto e vedere, vedere. Su, su, a grandi grappoli colorati, salivano le anime come palloncini sfuggiti alle mani dei bimbi. Finalmente potevano immaginare, forse vedere ciò che i fratelli, i padri, gli sposi, gli amanti facevano, combattevano, soffrivano laggiù.

      Io parlavo a Zazà, la mia cagnetta di guerra, fulva grassotta agile e intelligentissima bastarda, nata sul Piave da una foxterrier purissima e da un cane randagio. Una di quelle lunghe tenerissime conversazioni astratte, piene di una filosofia indulgente tra due animali di sesso diverso uno dei quali dimentica volentieri il suo genio per essere semplicemente un cane. Mi sentivo cane per la mia fedeltà generosamente data, prodigata, al nome radioso dell’Italia che dal Cengio vedevamo in tutta la sua bella nudità dormente coricata fra i mari il cui respiro salato ci veniva a quando a quando sulle labbra colla brezza.

      I miei amici sgranavano confidenze a mezza voce e ricordi amorosi. Io pensavo al mio probabile passaggio nelle automitragliatrici blindate e sognavo una bella velocissima blindata per inseguire gli austriaci che dovevano fra poco sferrare la loro grande offensiva. Il mio ottimismo era più che mai convinto della vittoria finale. L’idea della morte non preoccupava nessuno.

      Il capitano Melodia, viso asciutto e tagliente, occhi furbi, languidi di ricco signore romano, ufficiale di cavalleria, volontariamente passato nei bombardieri per amore del pericolo e per onorare il padre senatore. Anima vivacissima piena di allegre pazzie e di buffonate temerarie. Era celebre per le sue bizzarrie e avventure originali. Afflitto da una blenorragia doveva, prima della guerra entrare all’ospedale o fare istruzione ai suoi soldati. Preferì fare istruzione in Piazza d’armi e comandare il suo squadrone stando seduto in carrozzino con a fianco l’attendente. Brandiva la frusta con la mano destra per dare i comandi mentre guidava il suo cavallo con le briglie nella sinistra. Un’altra volta mandato in servizio di pubblica sicurezza in un villaggio di Romagna si fece passare per principe del sangue, ingravidò la figlia del sindaco e passò in rivista, il giorno dello Statuto, pompieri, società operaie e carabinieri. Ebbe due mesi di fortezza.

      Ora Melodia, sentendo parlare di morte, interviene dominando la conversazione:

      —In guerra, non ebbi mai la paura di morire. Son sicuro che non l’avrò neanche nella prossima battaglia. Però, la conosco... La provai lontano dal fronte, in condizioni veramente eccezionali. Ero all’ospedale di Torino, un anno fa, per la mia ferita. Già guarito con una voglia pazza di divertirmi e l’impossibilità assoluta di uscire dall’ospedale. Divieti e sentinelle feroci. Pensai per tre giorni al mezzo di fuggire. Al quarto una idea di genio: mi introduco nella camera mortuaria. I piantoni discutono intorno al cadavere enorme di un Alpino che non si poteva fare entrare in una cassa troppo corta. Aiuto anch’io. Tentiamo vanamente. La cassa troppo corta è messa da parte e i piantoni se ne vanno. Intanto io complotto con un mio amico e decido. La notte stessa rientro nella camera mortuaria e mi sdraio nella cassa da morto troppo corta, ma sufficiente per me. Mentre io bestemmio sotto per il rumore, l’amico mi inchioda sopra il coperchio alla meglio, per modo che una lunga fessura mi permetta di respirare. All’alba avvenne ciò che avevo preveduto. I portatori macchinalmente mi sollevarono, mi buttarono con brutalità sul carro. Questo sgangheratissimo e trascinato da due rozze entrò due o tre volte nelle rotaie del tram con degli scossoni da staccarmi le budella. Ad un tratto sento trombettare un automobile con ferocia ingiuriante. Cosa fa il mio cocchiere? Certo dorme. Perchè non si scansa? C’erano anche due autocarri che mi correvano addosso addosso... e urlai urlai dal terrore! Sentivo veramente sentivo il glaciale e lacerante terrore di morire.

      Il racconto vissuto del capitano Melodia fu acclamato.

      Tutti lo sapevano capace di quello e d’altro. Ma le risate morivano sotto le ampie troppo soavi carezze della notte che dopo l’offensiva dei ricordi amorosi e delle nuvole carnali sferrava una delirante offensiva di stelle negatrici d’ogni eroismo terrestre. Stelle, stelle, stelle, che beffeggiavano con lunghi trilli bianchi la compattezza delle montagne e lo sforzo entusiasta delle cime, e la statura atletica del nostro bel colonnello Squilloni ritto davanti a noi.

      Squilloni è un simpaticissimo quarantenne, fiorentino pieno d’ingegno. Maffia del suo capello alpino un po’ piccolo sul viso giocondo fiero. Occhi celesti di sbarazzino senza ironia. Gesti violenti che contrastano col sorriso offerto per piacere a tutti. Comandante energico ma paterno dei bombardieri che lo adorano.

      Conosciutissimo nei caffè di Vicenza, di Thiene, di Schio dove passa e ripassa muscoloso pettoruto col suo giardino multicolore di decorazioni, raccogliendo sorrisi speciali di cocottes e contraccambiandoli con risatine subito ricomposte nella fierezza militare.

      Bell’uomo che avrebbe tutte le fortune con donne della buona società; forse disilluso, ora amante amato di tutte le prostitute.

      Per loro canta accompagnandosi sulla chitarra, seccato se qualcuno canta insieme con lui. Magnifico ufficiale, quattro volte medagliato, ottimo organizzatore di batterie, goliardico e carnascialesco re dei bordelli.

      Squilloni si volta e parla con voce importante all’Italia, alle città della pianura, a noi: «Le stelle non mi piacciono e neanche le nuvole rosee che paiono, a voialtri poeti, seni e cosce di donne. Domani si va tutti, figliuoli, a fare un bagno di carne da Madama Rosa».

      Il giorno dopo tutti nell’autocarro della spesa, per Campiello e Mosson fino a Thiene, sbattuti dalle risate trionfali del Colonnello Squilloni che ci conduceva verso ciò che chiama l’unico paradiso!

      Sforzo del motore nelle salite vruu truu vruu truu. Poi respirazione dilatata in discesa vraaaa svaaaa err tling tlaang.

      Polverone. Odore di morte a Campiello. Vi sono trincee colme di cadaveri della prima offensiva austriaca. Qui la nostra difesa fu accanita.

      A un chilometro dalla casa ospitale, una automobile militare ci sorpassa, filando a tutta velocità forse collo stesso obbietivo. La sua sirena si sforza di imitare il raglio d’un asino in amore.

      iii ooo iii ooooo

      Noi sorpassiamo dei piccoli plotoni di scozzesi in gonnella, rudi gambe e polpacci abbronzati e bitorzoluti. Marciano a passo ritmato più rapido del passo militare alla conquista dei piaceri facili. A frotte veloci meno ordinate, ufficiali e soldati grigioverdi.

      Stop. Entriamo nella graziosa villetta. Per ufficiali. Fumo, fumo, fumo. Non si respira, tenenti e capitani in grigio verde tozzi rudi, sporchi polverosissimi, frustino o bastoncino in mano, tintinnio di speroni, nei corridoi da transatlantico.

      Le dame sembrano tutte bellissime, delicatissime, troppo fragili. Strane statuette di cristallo, fra i voluminosi rullanti e beccheggianti maschi di guerra in foia.

      Il colonnello Squilloni è festeggiatissimo.

      —Lei... ho già avuto il piacere di conoscerla. Mi ricordo, nel bordello di Cervignano, offensiva di Maggio.

      —Signor