Vae victis!. Annie Vivanti

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Название Vae victis!
Автор произведения Annie Vivanti
Жанр Языкознание
Серия
Издательство Языкознание
Год выпуска 0
isbn 4064066071271



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intenti Frida e Chérie leggevano le loro lettere. E Mirella continuò il suo monologo. «Scommetto che è di Fritz. Il domestico di Papà! Immaginiamoci! [pg!12] Una hochwolgeborene Signorina che riceve lettere da un servitore!»

      Frida non si degnò di rispondere; nè sollevò gli occhi dal foglio che teneva in mano; eppure — Mirella lo vedeva — non vi era che una riga di scritto. Quattro o cinque parole, nulla più. Ma Frida sedeva immobile, impietrita, come se quel breve messaggio l'avesse mutata in una statua di sasso.

      Ed ora Chérie, che aveva finito di leggere la sua lettera, sollevò il viso costernato.

      «Frida! Mirella!... Sapete che cosa accade? Dobbiamo tornare a casa domani.»

      «Domani?» gridò Mirella. «Ma cosa dici? Papà ha detto che dobbiamo star qui due mesi e non siamo arrivate che quattro giorni fa!»

      «Lo so. Ma la tua mamma scrive che si deve tornare subito a casa. Hai sentito, Frida?»

      Frida nè rispose, nè alzò gli occhi.

      «Ma perchè? perchè?» ripeteva Mirella quasi piangendo. «Ma dunque non lo sa Lulù che abbiamo fissato di festeggiar qui il tuo compleanno?... E che Lucilla e Jeannette e Cricri vengono tutte qui apposta?»

      «Lo sa, lo sa», rispose Chérie volgendo i suoi dolci occhi perplessi dal visino sconcertato di Mirella al volto impassibile di Frida. «Ma dice.... dice che sta per scoppiare la guerra.»

      [pg!13] «La guerra? Ebbene? E che cosa c'entra con noi la guerra?» esclamò Mirella risentita. «Oh, che rabbia, che rabbia! E dire che avevo imparato a nuotar tanto bene, toccando terra con un piede solo!»

      [pg!14]

       Indice

      L'indomani il sole si alzò caldo ed iroso. Era il trenta di luglio. Alle dieci Frida aveva fatto tutti i bagagli.

      Amour, confortato da un osso, fu messo nella sua cesta da viaggio, dove stava assai pigiato; ma un po' con carezze, un po' con qualche schiaffo, il coperchio scricchiolante potè finalmente essere chiuso sopra il suo dorso tondo.

      Poi bisognò aspettare la carrozza, ordinata per telefono ad Ostenda fin dalla sera innanzi.

      Ma la carrozza non arrivava. Alle undici Chérie corse all'ufficio del telefono e parlò, con molta severità, alla Rimessa Boulant di Ostenda.

      «Eh bien? Questa carrozza? L'abbiamo ordinata per le dieci. Viene si o no?»

      «Non viene», rispose una voce brusca.

      «Non viene?!»

      «Nossignora». Indi, in tono più sommesso, quasi confidenziale: «E' stata requisita».

      [pg!15] «Cosa vuoi dire? Allora mandatene un'altra», disse Chérie. Ma Ostenda aveva tolto la comunicazione e Chérie se ne tornò mortificata e attonita a Villa Esther, dove Frida con aria fosca, e Mirella piagnucolante, l'aspettavano sedute sui bauli nella stretta anticamera di Madame Guillaume.

      «Non c'è carrozza», annunzio Chérie.

      «Non c'è carrozza?» esclamò Frida.

      «E perchè no?» chiese Mirella.

      «Ma... non so; ne hanno fatto qualche cosa....» rispose incerta Chérie. «Non ho capito bene. «E' stata restituita.... o ripulita, o che so io».

      A mezzogiorno la buona Madame Guillaume trovò un facchino che caricò i bagagli su una carretta a mano e li trasportò alla stazione del tram di Westende. E il tram portò le viaggiatrici, e il bagaglio, e Amour nella sua cesta, ad Ostenda, dove un altro facchino con un'altra carretta a mano prese bagagli e cesta e li portò alla stazione ferroviaria.

      Videro subito che Ostenda aveva un aspetto strano e nuovo. Le strade erano affollate, ma non dalla solita folla di languide demi-mondaines ed oziosi viveurs. No; le strade erano piene di gente affaccendata, di soldati a piedi e a cavallo; [pg!16] automobili, motociclette, carri e furgoni ingombravano le vie; e dietro a questi venivano contadini conducendo a mano lunghe file di cavalli e di muli.

      Per la Rue Albert, con rapido passo di marcia, scendeva un drappello di Guardie Civiche, coi loro cappotti lunghi e l'incongruo cappello duro da borghese fermato sotto il mento dalla striscerella di cuoio. Gruppi d'ufficiali arrivati ad Ostenda pochi giorni prima per le gare internazionali di tennis, fermi all'angolo dell'Avenue Léopold, parlavano tra di loro sommessi e concitati.

      «Ma che cos'hanno tutti?», chiese Mirella mentre traversavano in fretta la Place St. Joseph e il ponte, seguendo l'uomo coi bagagli, che già spariva dentro all'affollata stazione.

      Quasi in risposta alla sua domanda, due strilloni passarono correndo e annunciando con grida assordanti: «Supplément.... supplément de L'Indépendance.... Mobilisation générale...»

      «Ma, Frida!... vi sarà davvero la guerra?» esclamò con ansia Chérie volgendosi a interrogare con occhi inquieti l'arcigno profilo della governante.

      «Probabilmente,» rispose Frida; «tra la Russia e la Germania».

      [pg!17] «Ah, lontano da noi!» rise la giovine Chérie con una scrollatina di spalle; e corse avanti a salvare il prezioso cestello scosso e dondolato dalle rudi mani del facchino.

      «Senti Amour, come piagnucola!» susurrò Mirella, mentre, pigiate dalla folla, aspettavano il loro turno davanti allo sportello dei biglietti.

      «Guai a lui! Non deve farsi sentire», ammonì Chérie. «Ufficialmente, è la nostra merenda».

      Allora Mirella battè ripetutamente sullo scricchiolante canestro il piccolo pugno inguantato, mormorando: «Couche-toi, tais-toi, vilain scélérat!» E la merenda ufficiale si ricompose nella sua cesta e tacque.

      Fu un viaggio indescrivibile. Il treno era stipato fino alla soffocazione; pareva che tutta la gente nel mondo volesse andare a Bruxelles; ogni cinque minuti il loro treno si fermava per lasciarne passare altri, più stipati ancora, che passavano come fulmini roboanti lanciati verso la capitale.

      «Non ho mai veduto tanti soldati» disse Mirella. «Non credevo ce ne fossero tanti nel mondo!»

      Frida Rothenstein ebbe un sorrisetto sprezzante cogli angoli della bocca rivolti in giù. «Nel mio paese ce n'è qualcuno di più!» osservò.

      [pg!18] «Come? In Germania?... Ma certo non saranno così belli!» gridò Mirella, sporgendosi dal finestrino a salutare col fazzoletto, come tanti altri facevano, una compagnia di lancieri che passava al galoppo — lance in resta e pennacchi ondeggianti — sulla strada polverosa costeggiante la ferrovia.

      Frida li degnò appena d'uno sguardo. «Dovreste vedere i nostri Ulani,» disse. «Chissà,» soggiunse, «che un giorno non li vediate davvero!»

      Ma le ragazze non l'ascoltavano. Finalmente si arrivava a Bruxelles.

      Il viaggio da Ostenda era durato cinque ore invece di due. E per più di un'ora dovettero restar là, ferme, nel treno immobile nella stazione di Bruxelles.

      «Di questo passo non arriveremo mai a Liegi; e tanto meno a Bomal», disse Chérie sgomenta, mentre uno dietro l'altro i treni carichi di soldati l'asciavano la stazione prima di loro, andando verso l'Est. Qui si sarebbe detto che tutta la gente al mondo volesse fuggire da Bruxelles per correre alla frontiera orientale.

      Ma tutto ha una fine. E venne anche il momento in cui il loro treno si mosse, e uscì ansante e sbuffante dalla Gare du Nord verso Louvain e Tirlemont.

      [pg!19] Era quasi buio quando arrivarono a Liegi; allorchè lasciarono la Gare Guillemain, la morbida notte estiva avvolgeva già tutta la vallata nei suoi drappi tenebrosi.

      La piccola Mirella s'addormentò, col visino smunto e sudicio di fuliggine poggiato al braccio di Frida. Anche Chérie sonnecchiava nel suo cantuccio, sognando l'azzurro mare di Westende; ma gli occhi di Frida erano aperti e fissi