Parvenze e sembianze. Albertazzi Adolfo

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Название Parvenze e sembianze
Автор произведения Albertazzi Adolfo
Жанр Документальная литература
Серия
Издательство Документальная литература
Год выпуска 0
isbn 4064066087333



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a Bologna il 24 agosto 1576 — recando la sposa allo sposo una dote di trentamila scudi e una beltà ancor puerile ma già meravigliosa4 —, era stato “di poca soddisfazione al paese„; onde il conte avea presa dimora a Firenze. Pure il 23 febbraio 1578, in occasione d'una breve gita di Bianca e Pellegrina a Bologna, “la prima nobiltà della città, sí di cavalieri che di dame„ era mossa ad incontrarle, “per rispetto al Granduca, per essere la detta Bianca sua cosa„5; cosí come ad onore della figlia non piú d'una concubina, ma d'una granduchessa, il 22 dicembre 1583 furono incontro ai coniugi Bentivoglio, di ritorno per qualche mese alla patria, “quarantaquattro carrozze di dame e gran numero di cavalieri a cavallo, oltre li cavalli [pg!19] leggieri; et il Bentivoglio era a man destra di Pirro Malvezzi, non ostante che fosse senatore e de' collegi„6. Nell'aprile dell'anno appresso Pellegrina si recò di nuovo a Firenze per assistere alle nozze di Vincenzo Gonzaga e di Eleonora De' Medici, e solo il 13 febbraio 1588, ma questa volta per sempre, riprese ad abitare in Bologna.

      Con la fresca e fosca rimembranza della morte di sua madre si contenne allora in vita solinga? No, ché sentiva bisogno di distrazioni; e a primavera di quell'anno medesimo ebbe voglia, lasciando il marito a casa, di fare una scappata a Venezia in allegra compagnia di dame e gentiluomini; e ad autunno, nella venuta de' duchi mantovani, si compiacque d'apparire per grazia e per fasto la prima gentildonna che fosse in Bologna a quel tempo7.

      Ma se delle qualità vere della persona e credute dell'animo suo avevano pure in Firenze diffusa l'ammirazione Francesco de' Vieri detto il Verino, dedicandole il [pg!20] Discorso della grandezza et felice fortuna d'una gentilissima et gratiosissima donna qual fu Madonna Laura8, e maestro Fabrizio Caroso offrendole tra i balli di sua composizione una “cascarda„ con a tema musicale un sonetto che comincia:

      Luci beate ove s'annida Amore,

      Vivi raggi del sol, dolci facelle

      Che le piú gelide alme e le piú belle

      Infiammate di santo e pure ardore9

      quegli che di lei ci lasciò il piú ingenuo ricordo fu il poeta bolognese Cesare Rinaldi.

      Nel 1590 egli le porgeva la terza parte delle sue rime dicendole: “L'esser piaciuto a V. Eccellenza Ill.ma di favorire talora le sue rime della vista, della voce et del giudicio suo, ripieno di tanta acutezza et accortezza insieme, onde mostra la perfetta cognizione che ha di ogni bella virtú, mi ha facilmente indotto a credere che parimente non debba sdegnare di riceverle se nello uscir fuori a scorrere il mondo in istampa, non meno create di dentro che segnate di fuori del suo Ill.mo Nome, ora ritornano tutte insieme nelle sue onoratissime mani, donde sono partite, non altrimente [pg!21] che si faccia, come dicono, il fiume Meandro, il quale favorito da tanti canori et bianchissimi cigni alle sue rive con le loro meravigliose armonie, pare che nello scorrer il paese, ritorcendo il suo corso et raggirando, colà se ne ritorni donde partí, quasi allettato dalla dolcissima soavità dei cigni, come.... (coraggio, che il periodo finisce adesso e finisce bene!).... come le mie rime da quella di V. Ecc.za Ill.ma, veramente umano et candidissimo cigno in ogni virtú et regal costume„10.

      Candidissimo cigno in ogni virtú la figlia di Bianca Cappello? Ohibò!; e le rime son troppo “create di dentro„ co 'l nome di lei:

      Cauto a gl'inganni Amor l'armi depose,

      L'ale agli omeri strinse e le coperse:

      Di pellegrino in forma ei mi s'offerse

      E pellegrina idea nel cor mi pose.

      Or vo pellegrinando....

      A l'ombra di duo neri archi sottili

      Due pellegrine stelle il mondo ammira....

      Qual or io ti vagheggio,

      Pellegrina gentil, misto in te veggio

      Col celeste il mortai, col nero il bianco:

      [pg!22]

      (allusione, pare, alla sua bellezza):

      Sotto l'oscuro velo

      Scopro candor di Delo;

      Sotto la spoglia frale

      Scerno virtú immortale,

      Ond'al mirar non è l'occhio mai stanco;

      Miro e mirando i' godo, e 'n viso adorno

      Scorgo la terra e 'l ciel, la notte e 'l giorno....

      .... Quale al nascer di Palla alta e immortale

      Versò dorato nembo

      Sovra Rodi dal ciel l'eterno Giove,

      Tali e piú care a te piovvero in grembo

      Nel felice natale

      Nove grazie d'amor, bellezze nove.

      Folle chi mira altrove,

      Che 'l bello è in te raccolto,

      Vertú nel petto et onestà nel volto:

      S'impresse a mille il tuo valor nel seno,

      Quando coi pensier casti

      Pellegrinasti, o Pellegrina, al Reno.

      Qui ten vivi al tuo sposo onesta e bella

      Sotto il soave giogo,

      Qual Penelope fida al caro Ulisse....

      Ma durante l'assenza del “caro Ulisse„, il quale nel 1595 fu con Antonio De' Medici alla guerra in Ungheria11, il poeta dovette farse avvedersi come era fallace la virtú da lui cantata immortale e come la non fida Penelope sapeva intessere varie tele di colpe. [pg!23]

       Indice

      Nell'estate del 1598 su la famiglia Bentivoglio passava con tragica ombra una strana sciagura, che quarant'anni di poi porgeva argomento a uno sciatto romanzo di Girolamo Brusoni: la tragedia, se tale quella sventura, era stata velata di mistero, e il romanzo La Fuggitiva12 lasciando indovinare facilmente il nome dei personaggi e dei luoghi, parve ralluminarla; però esso ebbe, senza merito artistico, una grande fortuna. Ma quanta parte del lavoro fu imaginaria? Spoglio d'ogni particolare inutile e d'ogni sfogo di secentismo ne resta questo.

      — Ulisse Bentivoglio, a festeggiare la recente nascita d'un figliolo, indisse una giostra nella quale il fratello di lui, Francesco, fu vinto solo da un incognito cavaliere: Flaminio Malvezzi, “giovinetto di mediocre fortuna ma di nobili spiriti„ e fatale amante di Pellegrina, che fino a quel dí “era rimasta indifferentissima degli amori„. Il valoroso Malvezzi presto ammalò di passione [pg!24] e la contessa durante un'assenza del marito lo consolò di baci; indi, in villa a Bagnarola, di qualche cosa di piú; e tanto andò la bisogna, come dice il Boccaccio, che l'adulterio venne a conoscenza della signora Isotta Manzoli, la zia del marito. Ma i consigli di questa dama prudente all'imprudente Pellegrina tornarono vani; vane le esortazioni di Filippo Pepoli, quando seppe anche lui la brutta faccenda, all'amico Malvezzi, per salvare l'onore del povero Bentivoglio; e alla fine una traditrice cameriera rivelò la tresca al suo innamorato, il figlio maggiore del conte! Il conte chiarito di tutto dal figlio dié incarico a suo fratello Francesco di ammazzargli o fargli ammazzare il Malvezzi e ripose la sorte della moglie in balía del granduca di Toscana. Onde meglio sarebbe stato per Pellegrina fuggire con l'altro suo amante, un Riario, che inutilmente gliene avea fatta proposta, perché un dí arrivò a Bagnarola Antonio De' Medici ad assassinarla. —

      Poco nel romanzo e meno, ma peggio, nella storia. [pg!25]

      “Questa donna — Pellegrina — non seppe contenersi nelle sue inclinazioni; il perché da' figliuoli mal sopportata, fu con motivo d'andare a spasso nelle valli d'Argenta sommersa in quell'acque per opera del figlio Francesco,