La rivicità di Yanez. Emilio Salgari

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Название La rivicità di Yanez
Автор произведения Emilio Salgari
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
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cloache pareva che non si fossero nemmeno accorte dell’incendio che avvampava sopra di loro distruggendo la mia capitale.

      Poi, a poco a poco sono diventate ardenti.

      – Non ci cadranno sulla testa?

      – Non credo. I mongoli erano troppo buoni costruttori. Può darsi che molte gallerie e molte rotonde siano crollate, ma noi non usciremo attraverso quelle. Sarebbe troppo pericoloso.

      – E l’acqua manca? Vedo qui un largo fiume puzzolente che scorre presso la banchina. Certamente io non mi disseterò con quella poltiglia.

      – Abbiamo trovata una piccola sorgente che ce ne fornisce in abbondanza.

      – E di viveri quanti ne avete? – chiese Sandokan.

      – Pensa, mio caro, che da quando ci siamo rifugiati qui non abbiamo fatto altro che arrostire topi poiché non avevamo avuto il tempo di portare con noi nemmeno una cassa di biscotti.

      – Povere bestie!… Quante ne avrete distrutte?… Delle centinaia e centinaia m’immagino.

      – Ma ora eravamo alle prese con la fame, poiché i rosicchianti, spaventati, ci hanno vigliaccamente abbandonato.

      – Non avevano poi torto – disse Sandokan, sorridendo. – A nessuno piace finire nello spiedo.

      In quel momento verso l’entrata della grande cloaca si udirono rimbombare sinistramente parecchi colpi d’arma da fuoco i quali si erano ripercossi lungamente attraverso alle innumerevoli gallerie, rumoreggiando.

      Sandokan aveva fatto un gesto di collera.

      – Ah!… – esclamò. – Quei banditi, o sciacalli che siano, osano assalirci anche qui? Adagio, miei cari. Avrete altre terribili lezioni!…

      Poi alzando la voce e volgendosi verso i suoi uomini che si tenevano ancora in sella, e che avevano accese parecchie torce, disse loro:

      – Togliete le mitragliatrici dalle houdah e portatele, con una scorta di cinquanta persone, verso l’uscita di questa immensa cloaca. Gli elefanti rimangano per ora qui. Potrebbero diventare, piú tardi, straordinariamente preziosi. Non fate risparmio di munizioni: ne abbiamo in abbondanza.

      Venticinque dayaki ed altrettanti malesi saltarono a terra affidando i cavalli ai loro compagni, si strinsero intorno agli elefanti che i cornac avevano fatti inginocchiare, tolsero le cinque terribili bocche da fuoco e si allontanarono a gran corsa, seguendo la banchina.

      – Sempre lesti come scimmie e mai esitanti i tuoi uomini! – disse Yanez con un sospiro.

      – Puoi dire i nostri uomini, poiché per lunghi anni hanno combattuto con te. Se io sono la Tigre della Malesia, tu sei sempre la Tigre bianca di Mompracem, e ti rimpiangono quei valorosi che tu hai guidato a tante vittorie sulle terre malesi.

      «Già, questo maledetto impero dell’Assam non ci voleva proprio e non era necessario.»

      – E mia moglie?

      – È vero, è la rhani, ed ha il diritto di conservarsi lo Stato e di contrastarlo a quel furfante di Sindhia già detronizzato.

      Ci sarà un gran lavoro da fare, mio caro Yanez, tuttavia io non mi spavento affatto. Mi piace combattere in India e noi, che abbiamo vinto e ucciso Suyodhana, il famoso capo dei thugs della Jungla nera, per la seconda volta sapremo mettere a posto l’ex rajah ubriacone e…

      Si era interrotto e si era voltato verso l’immensa entrata della grande cloaca, dove brillavano in lontananza dei punti rossastri che talvolta si oscuravano per diventare invece giallastri. Erano le torce a vento che fiammeggiavano alla foce del fiume fangoso.

      Si udirono alcuni colpi di fucile, poi delle scariche fitte, serrate, spaventevoli, dinanzi alle quali non potevano certamente resistere gli sciacalli di Sindhia.

      – Odi come cantano le mie mitragliatrici? – disse il formidabile pirata, volgendosi nuovamente verso i due suoi amici. – Senza quelle forse non sarei mai riuscito a giungere fino qui, poiché quegli sciacalli, animati dalla presenza dei rajaputi, ci hanno dato dei brillanti attacchi. È vero bensí che resistevano soltanto qualche minuto.

      – Armi da marina? – chiese il portoghese. – Non ho ancora avuto il tempo di osservarle. Somigliano a quelle che avevamo a bordo del Re del Mare?

      – Molto piú potenti – rispose Sandokan. – Le ho tolte dalla mia Perla di Labuan che ora è la nave piú rapida e meglio armata che io possegga. Oh, gli inglesi di Labuan la conoscono e sanno che è in grado di tener testa ai loro incrociatori già troppo antiquati, ed alle cannoniere olandesi.

      – Ah!… – fece Yanez, battendosi con una mano la fronte. – E la tua amica olandese?

      – È sempre la mia fedele amica – rispose il pirata di Mompracem con un leggero sorriso. – To’, io mi dimenticavo di presentarti un suo parente, un professore, che si dice goda molta fama in Europa, e che ci aiuterà validamente a distruggere le bande di Sindhia.

      – Qual professore? – chiese Yanez, con tono un po’ ironico, alzando la voce poiché le mitragliatrici facevano un chiasso infernale.

      – Ti rammenti quel Demonio della guerra che con una certa macchina elettrica poteva far esplodere, a distanza, i depositi di polvere delle navi?

      – Per Giove, se me lo rammento!… E sono quasi certo che se quella granata, caduta proprio nel momento in cui stava per lanciare la terribile scintilla elettrica, non avesse ucciso lui distruggendo nel medesimo istante il suo misterioso apparecchio, molte navi di Sir Moreland sarebbero saltate.

      – Ed allora Sir Moreland non sarebbe diventato mio genero – disse Tremal-Naik. – Se tutto saltava, doveva ben andare in aria anche lui coi suoi marinai.

      – Tu hai ragione – disse Sandokan. – La tua Darma non si sarebbe sposata col figlio di Suyodhana.

      – Ma dov’è questo professore? – chiese Yanez.

      – Sul secondo elefante. È probabile che si sia addormentato poiché soffre di sonno.

      – Ha anche lui qualche scintilla elettrica per fare esplodere le polveri? – chiese Yanez.

      – No, ha una cassa piena di bottiglie ben sigillate.

      – E crederebbe, quel pacifico professore che viene dalla brumosa Olanda, di sterminare…

      – Sterminare, hai detto? Pretende e si tien sicuro di distruggere tutti gli sciacalli di Sindhia con quelle misteriose bottiglie.

      – Che cosa contengono dunque?

      – Io non ho capito gran cosa, e poi non sono un europeo per sapere che cosa sono i microbi.

      – I microbi?… Che diavolo!… Ha la peste ed il colera rinchiusi dentro quelle bottiglie?

      – Che cosa vuoi che ne sappia io? – rispose Sandokan. – Io non mi intendo che di prahos, di carabine, di parangs e di kampilangs. Lui ti spiegherà meglio.

      Prese ad un malese una torcia, la sbatté per terra, ed essendo in quel momento cessate le scariche delle mitragliatrici e delle grosse carabine da mare, s’avvicinò al secondo elefante, il quale stava vuotando avidamente un mastello che il cacciatore di topi aveva riempito alla sorgente e gridò:

      – Signor Wan Horn, vi presento il Maharajah dell’Assam!

      CAPITOLO II. IL PARLAMENTARIO

      L’europeo dalla pelle rosea, i capelli biondi e gli occhi azzurri difesi da un paio di occhiali montati in oro, a quella chiamata fu pronto a svegliarsi ed a discendere dall’houdah.

      – Altezza, – disse levandosi l’elmo di tela bianca e facendo un profondo inchino. – Vi conosco già assai per fama, e sospiravo il momento di vedervi.

      – Voi siete olandese? – chiese Yanez, dopo avergli dato una stretta di mano.

      – Sí, Altezza.

      – Un professore forse?

      – Un medico che ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio