Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Название Jolanda, la figlia del Corsaro Nero
Автор произведения Emilio Salgari
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
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proposta, fatta ai filibustieri della squadra, gente ruvida e feroce se vogliamo, ma di gran cuore, era stata senz’altro accettata e le navi erano salpate, mettendo risolutamente la prora al sud.

      Disgraziatamente una fiera tempesta le aveva assalite, prima di avvistare le coste venezuelane, disperdendole in varie direzioni, e di quindici, solamente otto erano riuscite a rifugiarsi nella baia di Amnay. Di là Morgan aveva inviati Wan Stiller e Carmaux, i due marinai fidati del Corsaro Nero, a Maracaybo per avere notizie più precise sulla sorte toccata alla figlia del gentiluomo piemontese o perché gli portasse qualche prigioniero che gli fornisce più dettagliate informazioni…

      . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

      Uscito Carmaux, Morgan si era messo ad osservare con un certo interesse il piantatore, che si teneva appoggiato ad una parete, pallido come un cencio di bucato e tremante come se avesse la febbre terzana.

      «Voi siete?» gli chiese finalmente, con voce secca.

      «Don Raffaele Tocuyo, señor capitano».

      «È vero che la figlia del cavaliere di Ventimiglia, o meglio del Corsaro Nero, è prigioniera a Maracaybo?»

      «L’ho udito a raccontare».

      «Dove si trova?»

      «Nelle mani del governatore: l’ho già detto ai vostri uomini».

      «Narratemi quanto sapete».

      Il piantatore, con voce tremante, non si fece pregare e gli raccontò quanto aveva già detto ai due filibustieri che lo avevano fatto prigioniero.

      «È tutto?» chiese Morgan, piantandogli addosso uno sguardo scrutatore.

      «Lo giuro, capitano».

      «Non sapete dove si trova rinchiusa?»

      «No, ve lo assicuro» rispose don Raffaele, dopo un po’ di esitazione che non isfuggì al corsaro.

      «Eppure un uomo che frequenta la casa del governatore, dovrebbe saperne di più».

      «Non sono il suo confidente».

      «È giovane la figlia del Corsaro?»

      «Mi hanno detto che non deve avere più di sedici anni e che somiglia a suo padre».

      «Di quali forze dispone il governatore di Maracaybo?»

      «Ah!… Signore…»

      Morgan corrugò la fronte ed un lampo minaccioso brillò nei suoi occhi nerissimi.

      «Non sono abituato a ripetere la medesima domanda» disse con voce breve e tagliente come la lama d’una spada.

      Batté le mani e Carmaux e Wan Stiller, che dovevano essersi messi di guardia nella corsìa, furono pronti ad entrare.

      «Conducete sul ponte quest’uomo» disse Morgan.

      «Che cosa volete fare di me, signore?» chiese don Raffaele spaventato. «Io sono un povero uomo inoffensivo».

      «Lo saprete subito».

      I due filibustieri lo presero per le braccia e lo condussero in coperta. Morgan li aveva seguìti.

      Gli uomini di guardia vedendo comparire il comandante erano accorsi portando parecchie lanterne.

      «Un cappio dal pennone d’artimone» disse loro Morgan, a mezza voce.

      Un marinaio salì sulle griselle, scomparendo in mezzo alla velatura.

      «Parlerete ora?» chiese Morgan, volgendosi verso il prigioniero, che era stato collocato presso l’albero di mezzana.

      Don Raffaele non rispose. Il buon sangue spagnolo si era ridestato in lui e non si sentiva l’animo di commettere un tradimento.

      Ad un tratto vacillò e mandò un urlo terribile.

      Un gherlino era sceso silenziosamente dall’alto e Carmaux, ad un cenno di Morgan, aveva gettato al collo del piantatore il cappio, dandogli una stretta.

      «Issa!» gridò Morgan.

      «No… no… dirò tutto!» urlò il piantatore, portandosi le mani al collo.

      «Vedete che ho degli argomenti irresistibili» disse il corsaro, ridendo ironicamente.

      «Vi sono seicento soldati» disse don Raffaele, precipitosamente.

      «È vero che il forte della Barra lo si giudica imprendibile?»

      «Così si dice».

      Morgan alzò le spalle.

      «Anche quelli di Portobello si ritenevano inespugnabili, eppure li abbiamo presi» disse. «Voi mi assicurate che la figlia del cavalier di Ventimiglia è la?»

      «Lo ripeto».

      «Voi tornerete questa notte istessa a Maracaybo con una lettera per il governatore. Badate che io saprò trovarvi e punirvi se non eseguirete ciò che vi dico. Qui una lanterna».

      Strappò da un libbriccino una pagina, si levò da una tasca una matita, s’appoggiò alla murata e scrisse alcune righe.

      «Cacciatevi bene queste parole nel vostro cervello onde possiate ripeterle al governatore, nel caso che smarriste il biglietto» disse poi, rivolgendosi a don Raffaele.

      «Al signor Governatore di Maracaybo.

      «Vi accordo ventiquattr’ore per mettere in libertà ed inviarmi la figlia del cavaliere di Ventimiglia e della duchessa di Wan Guld, il cui padre fu un tempo governatore di Maracaybo e suddito spagnolo.

      «Se non obbedite, spianerò la città e se occorre anche quella di Gibraltar.

      «Rammentatevi di ciò che hanno saputo fare i filibustieri guidati dal Corsaro Nero, da Pietro l’Olonese e da Michele il Basco, diciott’anni or sono.

      Morgan

      «Almirante della squadra della Tortue».

      «Carmaux, fa preparare una scialuppa montata da otto uomini ed inalberare la bandiera bianca. Condurranno questo señor a Maracaybo».

      «Dobbiamo accompagnarli io e Wan Stiller?»

      «Avete bisogno di riposo: restate a bordo. Andate señor e badate che la vostra pelle è ormai segnata. Sta in voi a salvarla».

      Ciò detto tornò nella sua cabina, mentre il povero piantatore scendeva nella scialuppa che era stata già calata in acqua.

      Capitolo quinto. La presa di Maracaybo

      Le ventiquattro ore erano trascorse senza che notizia alcuna fosse giunta alla flotta filibustiera, che non aveva lasciato il suo ancoraggio; peggio ancora, nemmeno la scialuppa aveva fatto ritorno, quantunque il mare si fosse mantenuto sempre calmo e il vento non avesse cessato di soffiare.

      Una profonda commozione si era impadronita dei cinquecento corsari che equipaggiavano la flotta, temevano che gli spagnoli di Maracaybo non avessero rispettata la bandiera bianca inalberata sulla scialuppa, ciò che altre volte era accaduto.

      Anche Morgan, di solito così calmo, cominciava a dar segni non dubbi d’una viva irritazione, passeggiando sulla coperta con passo agitato e la fronte corrugata.

      Carmaux e Wan Stiller erano addirittura furiosi. «Sono stati presi ed impiccati» ripeteva il primo. «Non rispettano nemmeno i nostri parlamentari. Eppure siamo belligeranti patentati, essendo la Spagna in guerra colla Francia e coll’Inghilterra».

      «Il capitano li vendicherà, amico Carmaux» rispondeva l’amburghese.

      «Raderemo Maracaybo al suolo. Questa volta non la risparmieremo, come quando ci siamo andati col Corsaro Nero e coll’Olonese».

      Altre dodici ore trascorsero in continue impazienze ed in attese vane. Già Morgan, d’accordo con Pierre le Picard, suo secondo nel comando della squadra, si accingeva a dare il comando di salpare le àncore, quando agli ultimi raggi del sole fu scorto un piccolo canotto indiano montato da un solo uomo e che arrancava faticosamente, cercando d’imboccare la piccola baia.

      Gli fu mandata incontro una scialuppa montata da dodici uomini, e venti minuti dopo quell’uomo