Название | Il tesoro della montagna azzurra |
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Автор произведения | Emilio Salgari |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
– La costa? – chiese, vedendosi davanti il bosmano.
– Non ancora, comandante, per nostra disgrazia, – rispose Reton. – Comincio però a sperare che non sia molto lontana… Guardate che cosa ho raccolto poco fa.
Il capitano afferrò la tavoletta di sughero, guardandola attentamente da una parte e dell’altra. A un tratto un grido li sfuggì dalle labbra e così alto da svegliare anche don Pedro e Mina.
– Che cosa succede, comandante? – chiese il giovane alzandosi prontamente – È forse in vista la Nuova Caledonia?
– Ancora un tradimento, – rispose don Josè, che appariva in preda a una grande agitazione.
Il bosmano imprecando, si batteva la testa con i pugni poderosi.
– Che cosa dite, capitano? – chiese poi con ansia.
– Che quel traditore continua la sua opera infame.
– Quel pezzo di sughero…
– È un segnale affidato alle onde e alle correnti.
– A quale scopo? – domandò don Pedro.
– Guardate anche voi dunque, – rispose il capitano che sembrava dovesse scoppiare dalla collera.
Don Pedro, a sua volta, si impadronì del sughero e poté distinguere tre strani geroglifici sormontati da un uccello, una specie di colombo, probabilmente un notù, incisi con qualche chiodo o con la punta di un coltello.
– Il segnale misterioso del documento! – esclamò.
– Guardate più sotto, don Pedro.
– Vedo un A
– Che vorrà significare Andalusia, suppongo, – disse il capitano.
– E che cosa volete concludere? – chiese Mina.
Il capitano stette un momento raccolto, poi chiese a don Pedro:
– Voi non avete mostrato a nessuno quel pezzo di corteccia di niauli?
– No, capitano.
– Ne siete ben certo?
– L’ho sempre tenuto nascosto sotto la mia camicia, dopo il naufragio dell’Andalusia.
– E prima?
– L’ho tenuto nella mia cassetta, chiusa a doppio giro di chiave.
– Come può allora uno dei nostri marinai conoscere il segreto? – si chiese don Josè. – Ecco un mistero assolutamente inesplicabile.
– E che cosa volete concludere? – chiese per la seconda volta Mina.
– Che qui sotto c’è la mano del capitano Ramirez, – rispose don Josè. – Quel miserabile deve aver corrotto qualcuno dei miei uomini. Quella doga è un segnale affidato alle onde e probabilmente non sarà stato il solo. Chissà quanti ne sono stati gettati dal traditore, a nostra insaputa con la speranza che qualcuno venga raccolto dall’equipaggio dell’Esmeralda… Tu Reton, hai mai veduto di questi sugheri a bordo dell’Andalusia?
– Mai, – rispose il bosmano. – Solo i pescatori ne usano e noi avevamo ben altro da fare che prendere pesci.
– Ah! – esclamò in quel momento don Pedro che continuava ad osservare la doga. – Ci sono dei segni anche sui margini.
– Quali segni?
– Sette punti e quattro lineette, più cinque numeri: un due, un dieci e un ventiquattro.
– Dei segni convenzionali che avranno il loro significato, – disse il capitano, dopo averli osservati. – Canaglie!
– Voi dunque credete, capitano, che questo sughero sia stato lanciato per segnalare qualche cosa a quel bandito di Ramirez? – chiese il bosmano.
– Solo quel furfante possiede una copia del talismano che ci permetterà di farci consegnare dai krahoa il tesoro raccolto da don Belgrano.
– È vero! – esclamò don Pedro. – E come dovremo regolarci ora?
– Non ci rimane che di raddoppiare la sorveglianza per sorprendere quel traditore, – disse il capitano.
– Ah, se potessi mettergli le mani addosso! – borbottò Reton, digrignando i denti. – Che bella colazione per il pescecane che si nasconde sotto la zattera!
A un tratto si batté la fronte, poi disse:
– Tò… Una sera ho visto Emanuel gettare un pezzo di sughero, per attirare i pesci, come mi disse.
– Vorresti incolpare quel ragazzo? – chiese il capitano, alzando le spalle. – Tu hai la mania di vedere sempre un nemico in quel povero diavolo. Chi ha gettato questo non può essere che un marinaio e molto furbo. Conserviamo il segreto e non dite nulla a nessuno. Non bisogna insospettire il traditore.
– E occhi aperti, aggiunse il bosmano. – Invece di quattro farò otto ore di guardia notturna.
Uscirono tutti insieme, simulando un’aria tranquilla e si spinsero verso prora per osservare l’orizzonte. Quasi tutti i marinai vi si erano già radunati, spingendo lontano, su quella sterminata pianura liquida, di un bell’azzurro profondo costellato di scintillii d’oro, il loro sguardo acutissimo. Nulla: sempre nulla. L’orizzonte era purissimo, senza la più piccola nube e senza il profilo di una montagna. Una calma immensa regnava sul Pacifico.
– Si direbbe che siamo maledetti – disse il capitano, dopo aver guardato in tutte le direzioni. – Anche il vento congiura contro di noi. A questa calma preferirei la tempesta, qualunque cosa dovesse succedere.
Alla notte il capitano, don Pedro e il bosmano raddoppiarono la sorveglianza ma non notarono nulla di insolito. I marinai, stanchi, affamati e assetati, poiché il previdente capitano continuava a diminuire le razioni, non avevano lasciati i loro posti, anzi non avevano smesso di russare, essendosi tutti rifiutati di fare i loro turni, giudicandoli inutili. Nessuno aveva fiducia nell’incontro di una nave, trovandosi