Il tesoro della montagna azzurra. Emilio Salgari

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Название Il tesoro della montagna azzurra
Автор произведения Emilio Salgari
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
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notte fu tutt’altro che buona, appunto a causa dei cavalloni che arrivavano con un certo impeto. Qualche burrasca doveva essere scoppiata molto lontano e i poveri naufraghi ne subivano le conseguenze. Quantunque ci fosse una grande agitazione fra l’equipaggio che non riusciva a chiudere occhio, poiché il rollio li faceva rotolare ora avanti e ora indietro, il bosmano, don Josè e don Pedro non dimenticarono di esercitare, a turno, una rigorosa sorveglianza con la speranza di sorprendere il traditore. Ma sia che il miserabile si fosse accorto che vigilavano attentamente sulla cassa contenente gli strumenti o che si fosse accontentato dei gravissimi danni commessi, non si lasciò prendere. Nessun marinaio si era avvicinato alla piccola tenda. Solo Emanuel, il giovane mozzo che godeva la simpatia di tutti, eccettuata quella del bosmano, e che era il meno sospettabile, durante il suo turno di guardia si era fermato qualche istante dietro la tenda per cercare un pezzo di fune e un chiodo per prepararsi un amo da pesca. Quando il sole tornò a mostrarsi all’orizzonte, la situazione non era cambiata. L’ondata pesante che veniva da est, non era cessata e nessuna terra era in vista.

      – Nulla, sempre nulla! – esclamò il capitano facendo un gesto di disperazione. Poi soggiunse sottovoce: – E non poter sapere dove ci troviamo, per colpa di un miserabile!

      I marinai erano divenuti cupi, tristi, con la disperazione più profonda dipinta sul viso. Lo avevano circondato interrogandolo con lo sguardo.

      – Coraggio, amici, – disse don Josè, riacquistando prontamente tutta la sua energia. – La Nuova Caledonia non può essere lontana. Se il vento si alza, in poche ore potremo raggiungerla.

      – I viveri quest’oggi saranno finiti, signore, – osservò un marinaio.

      – Che cosa accadrà di noi domani se non riusciremo a catturare nessun pesce? – osservò un altro.

      – Non si muore di fame per un digiuno di ventiquattro o quarantott’ore, – rispose il capitano. – La mancanza d’acqua sarebbe ben più terribile.

      – E se il digiuno dovesse prolungarsi per delle settimane? – chiese un altro. – Sono tre giorni che viviamo con una razione infima.

      – Io non ne mangio più di te…

      – È vero, capitano Ulloa, – risposero tutti gli altri in coro.

      Si sciolsero, disponendosi sui bordi della zattera con la speranza di poter catturare qualche pesce o di sorprendere quel maledetto squalo che si teneva ostinatamente nascosto sotto il galleggiante, mettendo in fuga con la sua presenza tutti gli altri pesci. A mezzogiorno, non avendo preso assolutamente nulla, sebbene possedessero tre o quattro buone canne da pesca, il capitano divise l’altra metà dello sword-fish, che fu immediatamente divorata. Perfino Mina, dopo molte esitazioni, fu costretta a seguire l’esempio degli altri, avendo ormai terminata la sua magrissima provvista di prosciutto salato e il suo ultimo biscotto. Un senso di vero terrore colse i marinai, quando rivolsero il loro sguardo verso la cassa vuota che aveva contenuta la loro ultima risorsa. Fortunatamente parve che Dio avesse compassione di quei disgraziati, poiché qualche ora dopo, Emanuel, che stava sempre in vedetta, non prendendo che dei brevissimi riposi, segnalò uno stormo di giganteschi pesci-volanti che avanzavano da ponente, descrivendo fulminee parabole, perseguitati accanitamente da una sciame di quei grossi uccellacci, dal becco robustissimo, chiamati rompitori d’ossa. Dovevano avere degli altri nemici sott’acqua, delle dorate o dei pesci-spada, perché se non sono minacciati, i pesci-volanti non si abbandonano troppo spesso a quella ginnastica indiavolata. Un grido di gioia si era alzato fra l’equipaggio a cui aveva subito risposto una voce:

      – A me una canna! Lasciate fare! Li prenderò al volo!

      Un marinaio, barbuto e dalla muscolatura potente, era balzato in piedi fissando lo sguardo sui peschi che si dirigevano verso la zattera.

      – Datemi un avanzo qualsiasi dello sword-fish! – aveva subito aggiunto. – Mi incarico io di catturarne qualcuno.

      – Ci sono ancora delle budella, – aveva risposto un altro marinaio.

      – Presto tagliamone un pezzo.

      – Che cosa vuoi fare, John? – chiese il capitano al pescatore improvvisato. – Vuoi cogliere al volo quei pesci che se non m’inganno, sono lunghi quasi come te?

      – Sì, capitano, e con l›amo, – rispose il marinaio che era un nordamericano. – Quando ero in California non tornavo mai alla spiaggia senza rimorchiarmi dietro quattro o cinque di quelle bestie.

      – E tu vuoi catturare un pesce che pesa almeno duecento libbre? Sono dei giganti, quelli!

      – Li conosco capitano: aspettate e vi mostrerò come noi americani peschiamo al volo…Camerati, vi assicuro un’abbondante cena!

      Quantunque nessuno avesse molta fiducia nel marinaio che si proponeva, con una semplice canna, di arrestare di colpo quei volatili di mare, si erano tutti ritirati verso poppa per lasciarlo libero di eseguire il suo colpo maestro. Mina, avvertita da suo fratello di quella pesca straordinaria, si era unita a loro. I pesci-volanti, che erano quattro o cinquecento per lo meno, continuavano a fuggire, avanzando verso la zattera. Stretti da vicino dai loro nemici acquatici e perseguitati non meno accanitamente dai feroci rompitori di ossa che li afferravano al volo, descrivevano dei fulminei zig-zag, vibrando disperatamente le loro natatoie, poi si lasciavano cadere a piombo sollevando enormi spruzzi d’acqua. L’americano, ritto a qualche passo dal margine della zattera, con le gambe ben allargate, faceva fischiare la sua lunga funicella alla quale era attaccato un solido amo, imprimendole un rapidissimo movimento circolare. Aspettava il momento buono per fare il colpo che doveva stupire i naufraghi. John, vigile, attentissimo, aspettava, senza cessare di far circolare la sua funicella. Di quando in quando, con un colpo improvviso, la lanciava in alto per provare l’elasticità delle sue braccia.

      A un tratto la sua voce si fece udire:

      – Che nessun parli!

      Venti o trenta pesci-volanti si erano bruscamente alzati, mentre sotto di loro apparivano delle lunghe e acutissime lame nerastre: erano le armi terribili degli sword-fish. Quei voraci pesci inseguivano accanitamente le prede e quando cadevano, da bravi spadaccini, le infilzavano senza quasi mai sbagliare il colpo. Lo sword, la dorata e le sfirene sono i più tremendi nemici dei pesci volanti. Quando ne incontrano un branco li perseguitano con ferocia e non la smettono finché non li hanno completamente distrutti. John era pronto. La sua funicella s’innalzò quasi verticalmente descrivendo poi una rapidissima curva che avvolse completamente il primo pesce-volante che passava sopra la zattera. L’amo si era infisso profondamente in un fianco del povero animale, facendolo precipitare di colpo.

      – Impadronitevi di questo! – urlò l’americano, prendendo una seconda canna. – Lesti! Staccatelo prima, poi issatelo a bordo.

      Un altro colpo maestro, più preciso e fulmineo del primo e un altro dittalottero sprofondò, dibattendosi disordinatamente. Poi un terzo fu catturato. Gli altri pesci-volanti, pur essendo perseguitati dai rompitori di ossa, si guardarono bene dal passare sopra il galleggiante, dove trovavano altri nemici non meno affamati. I tre pesci, imbrigliati dai colpi maestri dell’americano, si dibattevano con furore, opponendo una resistenza straordinaria. Ora si lanciavano quasi verticalmente fuori dall’acqua, roteando su se stessi; ora descrivevano dei bruschi angoli, cercando di liberarsi degli ami che straziavano le loro carni. La lotta durò una buona mezz’ora, poi furono tirati a bordo e uccisi a colpi di coltello. Quella sera i naufraghi ebbero una cena abbondante, se non eccellente, e la cassa delle provviste si riempì.

      VI. LA RIVOLTA

      Altri due giorni erano trascorsi, senza che la situazione dei disgraziati naufraghi fosse in alcun modo migliorata. La inafferrabile terra dei Kanaki pareva fuggisse sempre davanti alla zattera, che pure aveva percorso una trentina di miglia mantenendo sempre la sua rotta. Nessuna nave si era mostrata, né vicina, né lontana. Solo qualche uccello marino si era avvicinato alla zattera, attratto più che altro dalla curiosità, ma si era subito allontanato, prima ancora che il capitano e don Pedro, che erano entrambi abilissimi tiratori, avessero avuto il tempo di prendere i fucili. Le provviste, fornite dall’abilità del nordamericano, diminuivano a vista d’occhio,