Название | Non Chiamarli |
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Автор произведения | Carlos Ramos |
Жанр | Детская проза |
Серия | |
Издательство | Детская проза |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9788835425946 |
Avevano già bevuto diverse birre quando uno di loro si recò in bagno, erano solo pochi passi, trovò la luce accesa, segno che qualcuno fosse lì dentro, aspettò che uscisse sperando che si sbrigasse. Quando si spense la luce uscì un ragazzo magro con gli occhi grandi, i capelli corti ricci, di carnagione chiara, indossava una maglietta bianca e un paio di jeans, disse: buona notte. Impaziente di entrare rispose quasi meccanicamente, non ne poteva proprio più. La tavoletta del bagno sembrava fosse stata abbassata da poco, l’acqua ancora scorreva, tuttavia mentre stava aspettando non aveva sentito alcun rumore.
Quando uscì incontrò il ragazzo, se ne stava lì impalato, con quel viso pallido e magro come se non prendesse il sole da mesi. Non diceva nulla, si limitava ad osservarlo, sentendosi un po’ più tranquillo l’altro disse: “Ti va una birra?” Egli accettò. Entrarono in cucina, a voce alta disse a tutti del nuovo arrivato, gli chiesero come si chiamasse, anche se nessuno riuscì a sentire la sua risposta, per via del suo tono di voce molto basso, rispetto alla musica da cui tutti erano distratti, non gli importava molto.
La festa proseguì, la birra scorreva, i presenti non prestarono molta attenzione al nuovo arrivato, sembrava piuttosto spaventato. Quando finì la sua birra, si alzò, salutò tutti e se ne andò. Più tardi, gli amici della mia vicina le chiesero se lo conoscesse, ma lei non lo aveva mai visto prima, non sapeva se abitasse qui o fosse una persona di passaggio. La mia vicina finì di raccontarmi la sua storia e poi le dissi cosa fosse successo a Claudia, non mi rispose, ma impallidì.
Alcuni giorni dopo, mentre andavo in bagno, incontrai quel tipo, sembrava stesse parlando da solo, si poteva spiegare poiché era estremamente concentrato, forse era in preda alle allucinazioni e stava parlando con il suo amico immaginario. Gli altri miei vicini mi hanno detto che lo avevano visto più volte parlare da solo, nello stesso momento teneva in mano una stoffa imbevuta di solvente.
In quella occasione parlammo un po’ del clima, della pioggia recente e del caldo estremo, ma presto mi prese in contropiede domandandomi del suo amico… non sapevo in quale appartamento vivesse, ma avevo già parlato con lui diverse volte, avevamo già bevuto insieme. Estremamente sorpreso gli chiesi di chi stesse parlando, mi rispose che, era un ragazzo magro, con i capelli corti e ricci, di carnagione chiara e che indossava sempre una maglietta bianca con un paio di jeans. Iniziai a sudare freddo, mi si seccò la bocca, gli dissi che non sapevo chi fosse e me ne andai.
Non ci potevo credere, diverse persone lo avevano visto, eppure nessuno lo conosceva. Forse era qualcuno che veniva da qua vicino e che usciva senza che ce ne rendessimo conto, ma perché? La cosa sicura è che non viveva qui.
Di tutti i vicini io ero quella maggiormente colpito, perché mi chiedevo cosa sarebbe accaduto se lo avessi incontrato? Cosa avrei potuto fare? Avrei almeno potuto parlarci? Mi avevano raccontato le loro esperienze, ma come sarebbe stata la mia? Mi dava preoccupazione il fatto di entrarci in contatto, perché in fondo pensavo che non fosse reale.
Non sapevo come spiegare ciò che stava accadendo. Una notte in cui non riuscivo a dormire, mi sedetti su un vecchio sgabello nella mia cucina, a pensare, non so se fossi sveglia o stessi ancora dormendo, in seguito andai in bagno e lì lo incontrai, era in piedi in silenzio, con gli stessi abiti di sempre, con la stessa faccia priva di qualsiasi espressione, finalmente lo vedevo (o sognavo). Non mi disse nulla, era proprio come lo avevano descritto, non avevo alcun dubbio, si trattava di lui. Appena ebbi la possibilità entrai in bagno e dopo essere uscita non c’era più nessuno come ci si poteva aspettare.
Passò il tempo e iniziai ad indagare su chi fosse, la sola cosa che sapevo era che il terreno su cui venne costruito questo stabile prima era un campo, poi divenne la famosa tenuta Albarrada. Chiesi ai più vecchi, ma non mi dissero nulla di strano, finché non domandai al padrone di casa.
Quando eravamo soli, con molta calma mi raccontò il grande mistero, ma nemmeno lui era totalmente in grado di dar prova delle sue convinzioni. Mi chiese di non rivelare ai miei vicini quello che mi avrebbe raccontato perché non voleva che qualcuno si potesse spaventare. Con un sospiro profondo disse qui non succede niente.
Il padrone di casa convocò una riunione urgente perché avevano rubato un regolatore di luce, non si può rubare roba di uso comune. Quella sera andammo tutti dalla vecchietta. Dopo aver ascoltato il punto fondamentale della riunione, parlai con lei, segretamente le raccontai ciò che era accaduto ai miei vicini e lei senza nemmeno guardarmi mi disse: “Bene, andiamo a vedere dove sta”. Si diresse verso la lavanderia e il fico, io la seguì, chiesi ad alcuni vicini di accompagnarci. Arrivati, la vecchietta indicò da una parte e con voce tremante gridò: “Eccolo!” Ci girammo tutti, ma non riuscivamo a vederlo. “Si, sta lì” ―continuò ― “Si chiama Carlos, è morto tanti anni fa.” Questa non fu la cosa più strana, quello che mi dissero i miei vicini fu peggio…
Claudia disse che non me ne aveva mai parlato ma era sicura di aver visto qualcuno nascosto proprio tra la lavanderia e il fico. Qualcun altro aggiunse, che non era mai esistito. Dissero che nessuno era andato a quella riunione, e che nemmeno la vecchia esisteva. Tutti mi dissero che io stavo parlando da sola, che stavo in mezzo alla stanza gesticolando verso la lavanderia e il fico e che lì non c’era nessun altro.
Iztapalapa, Città del Messico.
08/febbraio/2009
Solo mia nonna
Per Alvara Prado, grazie per essere mia nonna
Per molti anni mia nonna si è occupata di curare le altre persone. Tuttavia non era una dottoressa, né voleva studiare per diventarlo, diceva di curare l’anima. A casa sua aveva diverse immagini, erbe e segni. Era una specie di guaritrice, alcuni dicevano che fosse una strega, ma non ne erano sicuri.
Un giorno venne un signore che sembrava essere sotto il potere di un incantesimo, gli fecero prendere un’erba particolare che nasce solo nel deserto e sembrava averlo ipnotizzato. Faceva tutto ciò che le chiedeva sua moglie, la sua stessa vita era stata messa in serio pericolo, perché era completamente assente a sé stesso. Fu suo fratello a trascinarlo da mia nonna, quasi sotto minaccia perché si rifiutava. Quando arrivarono, sentì il trambusto e mi nascosi per poterli spiare. Mia nonna quando lo vide gli disse: figliolo, sei sotto il potere di un incantesimo, ma io ti guarirò.
Lo fece accomodare al centro della stanza e gli cosparse tutto il corpo con alcune uova di gallina, poi prese un rametto di pepe e lo bruciò con dell’alcool. Mentre eseguiva questa procedura si poteva sentire il rumore. Quando finì, prese il braciere, il carbone bruciava e scoppiettava, gli passò un bicchiere con un liquido nero e gli disse di finirlo tutto d’un fiato. Dopo qualche minuto iniziò a vomitare, gli avvicinò il braciere dicendo di farlo lì, quello che vidi mi lasciò senza parole… il signore vomitò un ragno vivo. Immediatamente mia nonna lo gettò nel fuoco, era questo che ti stava causando tanto dolore. Il signore fu sollevato, il sole prese a brillare per lui, fece estremamente piacere a mia nonna.
Con il passare del tempo vidi tante cose strane, ad un certo punto era diventata la nostra routine quotidiana. Io stavo imparando molto da lei perché la nonna mi spiegava cosa stesse facendo e come. Mi disse i nomi delle varie erbe e come usarle, quali preghiere dire e quali animali uccidere. Lo disse soltanto a me, per questo tutti pensavano che fosse pazza. Credo che a volte il male che curava negli altri restava un po’ dentro di lei, per questo spesso era di cattivo umore, si vedeva che non stava bene. Fino a che non si preparava un miscuglio a base di radici, cortecce e tornava quella di sempre.
Un giorno venne a trovarla una signora che disse che le stavano facendo del male, aveva un’emicrania insopportabile e le usciva molto sangue dal naso. Aveva parlato con diversi medici, ma nessuno di essi era riuscito a curarla. Fece come al solito, tuttavia sta volta non uccise alcun animale, disse che era un lavoro ben fatto, avrebbe dovuto bere un intruglio per quattordici giorni di fila e l’ultimo avrebbe defecato un serpente. Avrebbe dovuto ucciderlo immediatamente se fosse voluta guarire. Sul volto della donna apparse un’espressione del tutto incredula, nonostante ciò