Название | Per Sempre È Tanto Tempo |
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Автор произведения | Morenz Patricia |
Жанр | Детская проза |
Серия | |
Издательство | Детская проза |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9788835403616 |
«Possiamo fermarci un momento a casa di Jake?» avevo un’idea.
«Tesoro, non è un buon momento per le visite» mi rimproverò mentre si asciugava le lacrime con un Kleenex stropicciato.
«Solo cinque minuti per favore, voglio salutarlo» rimase incerta per un attimo, ma alla fine annuì.
L’auto iniziò a muoversi in retromarcia, mentre io dicevo addio a papà con la mano e con gli occhi annebbiati dalle lacrime. Lo vidi diventare sempre più piccolo in lontananza ed io mi sentivo più piccola e anche fragile.
«Cinque minuti» mi avvertì mamma fermando l’auto di fronte alla casa di Jake e mettendo in chiaro che avrebbe spettando lì.
Scesi con la chitarra tra le mani, attraversai la strada con le gambe che mi tremavano e invece di dirigermi alla porta principale costeggiai la casa. Quando arrivai in fondo mi accertai che lì intorno non ci fosse nessuno e salii rapidamente sulla casa sull’albero, lasciai la chitarra in un angolo e fui quasi grata che nessuno di noi avesse un cane. Scesi da lì tentando di non fare rumore e quando arrivai di nuovo al marciapiede mi misi a correre verso l’auto di mamma.
«E la chitarra? L’hai dimenticata?» chiese mamma un po’ stanca perché pensava che ora sarei dovuta andare a cercarla e avremmo perso altro tempo.
«No, l’ho lasciata a Jake. Lui se ne prenderà cura» sapevo di sorprenderla quando mi osservò troppo a lungo.
«Sei sicura? Era di tuo nonno.»
«Sono sicura» affermai osservando per l’ultima volta la facciata di mattoni rossi che non avrei più visto, fino a molto tempo dopo.
Non avrei mai potuto dire addio a Jake. Pensavo che se non lo facevo mi avrebbe fatto meno male, ma non fu così.
«Questo me lo ricordavo proprio più grande» penso a voce alta mentre entrambi ci sediamo sul pavimento in legno.
«La casa è la stessa, ma noi siamo cresciuti» ammette Jake e per come mi guarda so che non si riferisce soltanto alla crescita fisica.
Mi sento le parole in gola, e se non le dico soffocherò e moriranno senza arrivare alla loro destinazione.
«Mi dispiace» mi esce all’improvviso e ci osserviamo, vedo che lui apre la bocca per rispondere, ma non lo lascio parlare.
«Mi dispiace di essere andata via senza salutarti, in verità non sapevo che me ne sarei andata quella sera, mi dispiace non averti chiamato o scritto per tutto questo tempo, mi dispiace di non essere stata abbastanza coraggiosa da ascoltare la tua voce senza crollare, mi dispiace di non aver lottato per la nostra amicizia e mi dispiace di non essere tornata prima. Mi dispiace, Jake. Mi dispiace per tutto.»
Ho appena il tempo di finire quando mi avvolge tra le sue braccia mentre le lacrime traboccano dai miei occhi. Profuma di menta, ma il suo corpo è così caldo e confortante che potrei restare così per anni senza accorgermi del passare del tempo.
Questa volta sì mi dispiace davvero, non come quando l’ho detto questa mattina uscendo di casa.
«Non devi scusarti» dice alla fine quando le mie lacrime diminuiscono. «Nemmeno io avrei potuto dirti addio.»
«Mi sei mancato ogni giorno» ammetto.
«Sono sicuro che non così tanto quanto tu sei mancata a me» prova a scherzare.
«So che non ho il diritto di chiedertelo, ma mi piacerebbe che tornassimo a essere amici.»
«Non abbiamo mai smesso di esserlo» mi assicura seriamente senza lasciare spazio al dubbio.
Ci appoggiamo a una delle pareti della casa e metto la testa sulla sua spalla, noto il suo respiro un po’accelerato, sono sicura che anche il suo cuore sta battendo più forte. Riesco quasi a sentirlo. All’improvviso voglio condividere tutto con lui, come prima.
«Mia madre è morta …» è la prima volta che dico questa frase a voce alta. È una tale amarezza.
Lo vedo deglutire con difficoltà senza sapere cosa dire.
«È morta in un incidente d’auto insieme a mia nonna, più di due mesi fa.»
«So che è inutile dirlo, ma davvero, mi dispiace.»
«Lo so … grazie. Sai? Dovevo esserci anch’io in quell’auto. Ma mi sembrava più divertente andare alla casa al mare di mia zia che andare al supermercato. Volevo solo finire il mio romanzo.»
«Non pensarci» mi abbraccia più forte mentre io circondo il suo busto con le braccia e affondo il viso nello spazio tra il suo collo e la spalla.
«Ci penso ogni giorno, io dovevo andarmene con loro, non ho nulla da fare qui.»
«Solo perché ancora non sai il motivo perché sei qui, non significa che non hai un motivo per vivere. Sono sicuro che tua madre vuole che cerchi di essere felice.»
«Come posso essere felice, Jake? … Più di cinque anni fa la mia famiglia è stata distrutta perché mio padre preferì spassarsela con un'infermiera piuttosto che arrivare presto a casa per cenare con la sua famiglia. Dovetti trasferirmi a Tampa, in Florida, con mia nonna e mia zia per iniziare la scuola dove non mi conosceva nessuno. Persi il buon rapporto che avevo con mio padre, mi obbligarono ad abbandonare il mio migliore amico e ci siamo persi tanti anni che temo sia troppo tardi per ritrovarci. Mentre in Florida l’orizzonte si tingeva del colore più bello, il mio mondo veniva distrutto, stavolta per sempre. Mio padre mi obbligò a tornare con lui e la sua nuova moglie, che ho appena saputo essere incinta, e dovetti allontanarmi da mia zia e da mio cugino, che è la persona per me più vicina a mia madre e a mia nonna. Come faccio Jake? Come sarò felice di nuovo?» è una domanda retorica, ovviamente lui non può rispondere, ma ci prova.
«Non lo so … ma posso farti compagnia mentre lo scopriamo.»
E in quel preciso momento ho visto un raggio di luce, filtrare tra le nere nubi di tempesta. E so che così la sua luce illuminerà il mio cammino. Non merito la sua amicizia, ma mi aggrapperò ad essa come se fosse l’unico pezzo di legno dopo un naufragio.
«A proposito … grazie per la chitarra» dice e subito sollevo la testa, me ne ero dimenticata. «Non so se è stato un prestito o un regalo, ma ora non te la posso restituire.»
«Era un regalo» gli sorrido «Dovevo dartela per il tuo compleanno. Ti è servita a qualcosa?»
«A qualcosa, no. A molto. Aspettami qui.»
Va di corsa verso casa sua, suppongo in cerca della chitarra di mio nonno – o meglio – della sua chitarra.
Ancora non riesco a crederci, sono di nuovo nella casa sull’albero con Jake, a parlare, come prima. Siamo di nuovo amici e per la prima volta dopo settimane mi sento le spalle più leggere.
Sentire la chiusura della custodia nera che si apre, è già musica per me. Jake prende la chitarra con molta attenzione e si accomoda con le gambe incrociate e raccolte davanti a me. Osservo assorta mentre le sue dita accarezzano le corde.
«Sai suonarla?» chiedo senza riuscire a crederci.
«Certamente, non ho sprecato questo regalo» continuo a guardarlo imbambolata. «Qualche suggerimento?»
«Cosa?»
«Accetto richieste … di canzoni» mi chiarisce.
«Seriamente?» suona un paio di note per farsi valere. «Va bene, confido nel tuo gusto musicale, sorprendimi.»
Sorride mentre osservo nei suoi occhi come la sua mente si sforza di trovare la canzone giusta per questo momento, e quando suona i primi accordi di “Hey Jude” dei Beatles voglio buttarmi tra le sue braccia e non separarmi da lui mai più. Mamma mi cantava questa canzone quando mi vedeva triste, cambiava Jude con Joce e alla fine riusciva sempre a strapparmi un sorriso. Ascoltare Jake che canta la stessa cosa è magia che accade proprio qui, davanti ai miei occhi.
Davvero