Название | Per Sempre È Tanto Tempo |
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Автор произведения | Morenz Patricia |
Жанр | Детская проза |
Серия | |
Издательство | Детская проза |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9788835403616 |
«Non sto dicendo questo» esclama papà alzando anche lui un po’ la voce, «voglio solo che tu dia un’opportunità ad Elena e che troviamo il modo per andare avanti tutti insieme.»
«Questa non è la mia vita, papà …» sussurro atterrita. «Non è la vita che voglio!!! Non voglio alzarmi e vedere ogni giorno la puttana che hai sposato che porta in grembo tuo figlio!»
«Scusati subito con Elena» papà sembra sul punto di picchiarmi, ma io non desisto.
«Non ci penso proprio! Non penso di scusarmi a dire la verità!» corro nella mia stanza e chiudo la porta con tutte le mie forze.
Posso sentire i passi di mio padre che salgono le scale e quelli di Elena dietro di lui.
«Jocelyn! Apri questa maledetta porta!» urla fuori di sé, mentre io affondo il viso nel cuscino per soffocare i miei singhiozzi.
«Lasciala stare, Charles. Lascia che si calmi» lei dice a papà tentando di tranquillizzarlo ed è quello che mi dà più fastidio, il ruolo di mediatrice che vuole adottare, so che è falso, deve esserlo.
«Va bene … ma domattina mi aspetto queste scuse» sentenzia mio padre prima di allontanarsi dalla porta.
«Aspetta e spera,» penso.
Perché c’è così poco ossigeno in questa maledetta stanza? Mi sto asfissiando. Sento la necessità di uscire, ma non so dove andare, non ho nessuno a cui rivolgermi. Penso di scappare e andare a trovare Jake, ma ancora non è il momento giusto. Poi ricordo le parole di mia zia.
«Chiamami se hai bisogno di me, non importa l’ora», ma la verità e che non riesco a parlare e la farei solo preoccupare.
Decido di affrontare da sola tutto questo, così tiro fuori il mio quaderno giallo dallo zaino e mi metto a scrivere, non so nemmeno cosa, so solo che le parole che non riesco a esprimere a voce alta si riversano dalle mie dita sulla carta, come le lacrime dai miei occhi.
Con gli auricolari a volume massimo mi addormento ascoltando “Unsteady” degli X Ambassadors. Quanto mi manchi mamma.
***
Sento un movimento nel corridoio anche prima di poter aprire gli occhi. Sicuramente mio padre si sta preparando per andare al lavoro, con Elena che gli ronza intorno come un’ape nel suo alveare, l’immagine mi fa venire i brividi.
So che devo alzarmi, ma non trovo alcuna motivazione per farlo.
Davvero so che non posso rimandare ancora questo momento, devo scendere al piano di sotto e affrontare la mia nuova vita. Quando faccio la mia comparsa in cucina, entrambi stanno facendo colazione in silenzio. Non dico una parola e mi siedo a tavola, aspettando che qualcuno parli.
«E quindi …?» grugnisce papà «Stiamo aspettando.»
«Cosa?» faccio finta di non capire.
«Le tue scuse. Suppongo che tu abbia riflettuto durante la notte, quindi non uscirai da qui finché non le avremo ascoltate.»
Solo l’idea di passare tutta la giornata rinchiusa con questa imitazione di matrigna, mi provoca l’emicrania, non devo sentirlo davvero per dirlo, giusto? Se così posso uscire da questo mondo parallelo dove tutto fa schifo lo farò, che importa. Mi schiarisco la gola prima di scagliare le parole che bruceranno appena pronunciate.
«Io … mi dispiace.»
«Di cosa ti dispiace?» vuole sapere mio padre, mentre Elena gli afferra il braccio come volendo chiudere la questione.
«Mi dispiace per ieri sera» chiarisco senza guardare nessuno dei due e senza molta convinzione nella voce. Mio padre mi osserva per un attimo.
«Va bene … per ora accetteremo le scuse, anche se so che in realtà non ti dispiace» inizia ad alzarsi in piedi «sbrigati, non voglio che arrivi tardi, buona giornata, ci vediamo a cena.»
Termino di fare colazione e ho appena il tempo per qualche respiro profondo e prendere il mio zaino, voglio davvero uscire da qui. Non saluto nemmeno Elena quando le passo accanto e corro in strada, ma mi fermo di colpo quando vedo Jake vicino casa mia. Mi sta aspettando?
Riesco quasi a sentire un sorriso che si affaccia sulle mie labbra, ma prima devo essere sicura che non è un sogno. I nostri occhi s'incrociano e lo vedo raddrizzare la postura. Si ravvia i capelli con un gesto nervoso della mano. Mi avvicino lentamente, non smette di osservarmi. Mi pento di non essermi truccata per nascondere le occhiaie e la mia faccia insonne. Avrei dovuto rubare il correttore a Elena, che sicuramente ne usa molto.
«Puoi fare con calma un altro giorno, perché credo che oggi siamo un po’ in ritardo» commenta serio, ma nascondendo un sorriso.
«Possiamo arrivare in tempo» lo sfido.
«Ah, sì? Come?»
«Propongo una corsa, a partire da adesso!» parto sparata mentre lui impiega un paio di secondi per capire cosa ho appena fatto.
Da bambini lo facevamo sempre quando eravamo in ritardo o quando semplicemente ci annoiavamo. Mi sento così viva di nuovo, ho di nuovo nove anni e la mia unica preoccupazione è prendere buoni voti a scuola e avere tempo per stare con il mio migliore amico.
Sento le sue lunghe gambe dietro di me, le sue scarpe contro il marciapiede quando mi raggiunge e alla fine mi sorpassa.
«Mi dispiace … forse un altro giorno ti lascerò vincere» ripete le parole che diceva sempre da bambino.
Per niente seccata di avere perso, voglio solo lanciarmi su di lui e abbracciarlo affinché tutto torni a essere come prima. Entrambi sorridiamo mentre riprendiamo fiato, quando vediamo avvicinarsi l’autobus giallo. Cerchiamo di respirare normalmente, ma ogni volta che ci guardiamo, sorridiamo come stupidi e in quel momento mi rendo conto di quanto mi è mancato tutto questo. Non so se lui prova le stesse cose, finché mi lascia salire per prima sul bus e quando gli passo accanto, mi sussurra: mi sei mancata molto.
«Se sapessi, quanto tu sei mancato a me» penso, e prego che il mio sorriso per lui rifletta meglio ciò che sento in questo momento.
CAPITOLO 3
«Vuoi stare un po’ a casa mia?» mi chiede appena scendiamo dall’autobus nel viaggio di ritorno.
È l’idea migliore che potesse venirgli in mente, ma sicuramente Elena spettegolerà con mio padre. Ma penso, dopotutto non ha detto che sono in castigo, quindi perché no.
«Va bene» rispondo timidamente. «Possiamo fermarci un attimo a casa mia? Lascio giù solo lo zaino e vedo se tutto è a posto.»
«Sì, certo.»
Posso andarmene senza dire nulla, ma so che mio padre ne farebbe un nuovo scandalo. Arriviamo a casa mia, o meglio, alla mia ex casa, e lo faccio entrare.
«Vado con Jake a casa sua, tornerò prima di cena» grido a Elena e mi sto dirigendo al piano di sopra per mettere giù il mio zaino quando lei m'interrompe.
«Jocelyn, non credo che tuo padre sia d’accordo, inoltre lui non so chi è.»
«Ah, scusa!» mi do un finto colpo in testa «Elena, lui è Jake, un mio compagno di scuola, inoltre è il nostro vicino. Jake, lei è Elena. Non preoccuparti per mio padre, lui conosce Jake da quando è nato.»
Non le do altre spiegazioni.
«Sì, mi sembra di averti visto da qualche parte» dice la mia matrigna.
«Piacere di conoscerla, signora» saluta Jake ed io sbuffo per la parola “signora”. «Sì, vivo a due isolati da qui, non si preoccupi per Jocelyn, io la riaccompagnerò a casa.»
La vedo dubbiosa e quando si rende conto che non può vincere, perché in ogni caso me ne andrò, desiste.
«Va bene, ma torna prima che arrivi tuo padre, per favore.»
Quasi mi scappa un “grazie”,