I Puritani di Scozia, vol. 2. Вальтер Скотт

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Название I Puritani di Scozia, vol. 2
Автор произведения Вальтер Скотт
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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Pressochè fortuita fu quella loro confederazione; niun de' capi che li comandava era stato nominato o riconosciuto legalmente; e questo stato medesimo di disordine li collegò, e fu cagione che tutto l'esercito s'ergesse per così dire a consiglio di guerra onde risolvere sul partito da abbracciarsi. Nè vi fu genere di stravagante opinione che non trovasse sostenitori in quella congrega. Si volea nel tempo stesso marciare alla volta di Glascow, d'Edimburgo, e persino di Londra. Chi poneva il partito di mandare una deputazione a Carlo II per dettargli i patti della pace, e chi meno caritatevole domandava che un nuovo re fosse acclamato. Non mancarono altri che pretendevano instituire la Scozia in repubblica. I più gridavano sulla penuria delle vettovaglie, e nessuno pensava agli espedienti opportuni per procurarne. In una parola il campo de' Puritani nel momento il più bel del trionfo stava in atto di sciogliersi per mancanza d'unione fra gli elementi che il componevano, ed era come i caratteri segnati nell'arena, che il primo soffio di vento disperde.

      In tale stato trovò i suoi Balfour di Burley quando tornava dall'inseguire i Reali. Con quella maestria di uomo avvezzo a trarsi dai difficili passi, incominciò ordinando che cento uomini fra' meno stanchi, si assumessero la fazione di far la sentinella attorno del campo; poi di coloro che sostennero le parti di capi nel durar del conflitto compose una commissione direttrice, che dovea rimanere in tale ministero sintantochè gli ufiziali fossero scelti regolarmente. Per ultimo a coronare la vittoria volle che il reverendo Kettledrumle improvvisasse un discorso di rendimento di grazie al cielo, provvisione, su i vantaggi della quale molto fondavasi, nè a torto come stiamo per vederlo. Ei ben sapea che con tale espediente avrebbe dato pascolo all'attenzione della massa de' confederati, avidissimi delle dicerie de' loro predicatori; e in questo mezzo divisava tenere vero consiglio di guerra con due o tre capi, senza che dal risolvere il meglio lo distornassero o insensati clamori o partiti ridicoli.

      Kettledrumle corrispose magistralmente alla espettativa di Burley, predicando senza prender fiato due lunghe ore, capaci d'ammazzare di noia tutt'uomo non Puritano; ma egli forse in quel momento era il solo che potesse sì a lungo cattivarsi l'attenzione di un tale uditorio. Ei possedeva perfettamente quel genere d'eloquenza adatta al volgo, che era il caratteristico de' predicatori di que' giorni, e comunque il cibo spirituale che da costui dispensavasi sarebbe stato efficacissimo a movere nausea in persona di un gusto alquanto dilicato; era il più opportuno a vellicar gratamente que' palati pei quali manipolavasi.

      Il testo del costui sermone era tolto dal capitolo XLIX del profeta Isaia; »Anche gli schiavi de' potenti saran liberati: farò guerra a chi ti fa guerra e i figli tuoi saran salvi.»

      L'orazione pronunziata su tale argomento venne divisa in quindici punti, ognun dei quali non andava privo di molte suddivisioni. Consacrò il primo punto a favellare della liberazione propria e de' compagni, additando il giovane di Milnwood come un campione inviato dallo stesso Dio a trionfo della buona causa. Negli altri punti si passavano in rassegna i moltiplici flagelli, che il cielo dovea far piovere sopra un governo persecutore. Gonfio e familiare a vicenda, or si elevava a quanto aveasi per sublime, or discendeva al di sotto dello scurrile.

      Terminata che ebbe la predica, e dopo essere sceso da una punta di roccia, suo pulpito, venne in luogo di lui un secondo predicatore, che per nulla somigliavasi al precedente. Il reverendo Kettledrumle era già pervenuto assai avanti negli anni, corpulento a dismisura, e i lineamenti medesimi del suo volto, stupidi e privi d'espressione, sembravano annunziare, come nella formazione del suo essere entrasse molta più materia che spirito. Il successore di lui era un giovane che certamente il quinto lustro non oltrepassava. Scarne guance e incavate ne attestavano le vigilie e i digiuni, e le fatiche d'un apostolato, che spesse fiate avventurò l'apostolo alle vendette de' Reali, e a quella palma che i settarj della sua specie chiamarono del martirio. Egli era uno de' più fanatici Puritani di tutta la Scozia, e grande fama gli avea presso costoro acquistata il suo stile enfatico e figurato. Primieramente volse in giro gli occhi attorno a quell'assemblea e al campo della battaglia: e l'ilarità del trionfo gli si pinse tanto nel volto, che il pallor d'esso sembrò parimente dar campo al fuoco del contento e dell'entusiasmo. Giunte entrambe le mani, levò le pupille al cielo, rimanendo alcuni istanti, come assorto in morale contemplazione. All'atto di schiuder le labbra, una voce debole e un organo difettoso per tramandarla pareano vietar persino che le parole ne fossero intese; ma profondissimo silenzio regnava e quegli uditori stavano per ricevere i costui detti con quella sollecitudine che narrossi degli Israeliti nel raccorre la manna in mezzo al deserto. Scaldatosi a poco a poco, ne divenne più chiaro il tuono, più espressivi i gesti, e parve che lo zelo di religione trionfasse in lui de' difetti della natura; dipinse con colori vivissimi lo squallore in cui giacea la Chiesa presbiteriana, ch'ei paragonò ad Agar, studiosa di rianimare la vita del suo fanciullo moriente fra le arsure delle vaste sabbie ove peregrinava. Congratulatosi indi cogli ascoltanti della riportata vittoria, gli esortò a non dimenticare giammai, come questa fosse il frutto della protezione celeste, ed a continuare con passo franco e sicuro nella carriera che Dio stesso aveva ad essi dischiusa.

      Intantochè i due predicatori intertenevano di tal maniera l'esercito, non si stava neghittoso Burley. Egli avea fatto accendere fuochi, collocate scolte per ogni dove, ordinate scoperte, e s'era procacciato vettovaglie dai villaggi i meno lontani. Spedì messi da diverse bande affinchè divulgassero gli ottenuti buoni successi, e al fulgor di essi inducessero tutti i partigiani di quella causa a chiarirsi; finalmente inviò bande ne' dintorni, le quali o per amore o per forza s'impadronissero di quanto poteva essere necessario al sostentamento dell'esercito. La qual cosa gli tornò oltre ogni concetta speranza, perchè la gente messa da lui s'appropriò nel più vicino villaggio d'un magazzino ricco e di vittuaria e di foraggio e di munizioni da guerra che posto vi aveano le truppe reali; nuovo incoraggiamento ai Puritani: talchè mentre poche ore dianzi alcuni d'essi sentiano affievolire l'ardore del loro zelo, non eravi ora un sol combattente che non giurasse di non dimettere le armi prima d'avere riportato un compiuto trionfo.

      Enrico Morton seduto presso un dei fuochi accesi all'intorno, si nudriva intanto della parte toccatagli nella distribuzione di cibo fatta all'esercito, e pensava al partito cui avrebbe dovuto attenersi, allorquando gli giunse a fianco Burley seguito dal giovine ministro, che avea pronunziato il secondo sermone.

      »Enrico Morton! con tuon risoluto il puritano duce gli disse, il Consiglio di guerra, persuaso e convinto che il figlio di Silas Morton non può mai essere o tepido o indifferente per riguardo alla buona causa, vi ha nominato uno fra i capitani del suo esercito, e vi conferisce il diritto di sedervi in consiglio, e quanta autorità è addicevole ad un ufiziale scelto a comandare milizie cristiane.»

      »Sig. Burley, Morton rispose, son grato, qual debbo esserlo, a questa prova di fiducia che in me vien riposta. Niuno certamente potrebbe a buon diritto maravigliare, se le ingiustizie cui soggiace il mio sfortunato paese, quelle alle quali ho soggiaciuto io medesimo, mi commovessero a prender l'armi in difesa della libertà civile e della libertà religiosa, ma prima di accettare in mezzo a voi un comando, desidero mi facciate conoscere alquanto meglio con quai dettami vi comportiate.»

      »Con quai dettami? E potete sol chiederlo? Non vi è noto che è nostra mente rifabbricare il tempio, dar ricovero ai santi, annichilare gli schiavi del peccato?»

      »Permettetemi confessarlo francamente, sig. Burley: questo genere di linguaggio, che può tanto sopra molte persone, è perduto affatto per me: egli è bene lo sappiate, prima che segua fra noi una più stretta alleanza.»

      All'udir tal risposta il giovane ministro mandò un sospiro, che s'accostava molto ad un gemito.

      »Vedo, o signore, che non vi va a genio la mia risposta. Ma forse ancora non l'avete bene intesa. Io rispetto la Santa Scrittura al pari di chicchessia, ed è anzi per una conseguenza di tale rispetto, che mentre son premuroso di conformare ad essa la mia condotta, non credo mi aspetti il citarne i testi ad ogni momento, correndo anche rischio di snaturarne il vero significato.»

      Quel ministro di nome Efraim, parve scandalezzato grandemente della protesta fatta da Morton, e s'apprestava a confutarla, allorchè Burley gli tolse la parola.

      »Chetatevi, Efraim, e pensate che questi è un fanciullo avvolto ancora ne' suoi pannilini. – Ascoltami, o Morton. Ti parlerò il linguaggio della saggezza umana, poichè non sei ancora forte abbastanza per intendere linguaggio migliore. Quai sono i motivi, pei quali t'indurresti a sguainar la spada? Non sarebber forse la brama