Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8. Edward Gibbon

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Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8
Автор произведения Edward Gibbon
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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cancellare il sentimento dell'amore e della virtù, e quasi estinguere gl'istinti della natura. I Cristiani della Giorgia e della Mingrelia sono i più dissoluti fra gli uomini; ed i loro figliuoli, che in tenera età vengono venduti a schiavitù straniera, hanno già imparato ad imitare la rapina del padre e la prostituzione della madre. Nondimeno, in mezzo alla più crassa ignoranza, i nativi, senz'alcun ammaestramento, spiegano una singolar destrezza di mente e di mano; e benchè la mancanza di unione e di disciplina gli esponga ai colpi dei loro più potenti vicini, pure un audace ed intrepido spirito ha sempre animato i Colchi di qualsivoglia età. Nell'esercito di Serse, essi militavano a piedi, e le armi loro erano una daga od un giavellotto, un elmo di legno ed uno scudo di pelli non conciate. Ma, nella patria loro, predomina più generalmente l'uso della cavalleria: il più infimo dei contadini sdegna di andare a piedi; i marziali nobili spesso posseggono non meno di duecento cavalli; e le stalle del Principe di Mingrelia ne contengono cinquemila. Il governo della Colchide è sempre stato un regno puro ed ereditario, e l'autorità del Sovrano non vi è limitata che dalla turbolenta indole dei suoi sudditi. Ove gli rendessero obbedienza, egli potrebbe condurre in campo un esercito numeroso; ma si richiede qualche dose di fede per credere che la sola tribù dei Suani fosse composta di dugentomila soldati, o che la popolazione della Mingrelia monti presentemente a quattro milioni di abitatori75.

      Si vantavano i Colchi anticamente che i loro maggiori avevano posto argine alle vittorie di Sesostri; e la disfatta del Monarca egiziano è meno incredibile che i fortunati suoi progressi fino ai piedi del monte Caucaso. Soggiacquero i Colchi, senza alcun memorabile sforzo, alle armi di Ciro; seguitarono in lontane guerre il vessillo del Gran Re, e gli presentavano ogni cinque anni cento giovanette ed altrettante vergini, il più bello fra i prodotti della patria loro76, ed egli accettava questo dono come l'oro e l'ebano dell'India, l'incenso degli Arabi, od i Negri e l'avorio dell'Etiopia. I Colchi non eran soggetti alla dominazione di un Satrapa, ed essi continuavano a godere il nome, ugualmente che la sostanza dell'indipendenza nazionale77. Poscia che caduto fu l'Impero di Persia, Mitridate, Re del Ponto, aggiunse il Colco al vasto circolo dei suoi dominj sull'Eussino; ed allorquando i nativi ardirono di chiedere che il suo figlio regnasse sopra di loro, egli fece stringere l'ambizioso giovane in catene d'oro, e mandò un famiglio a governare in sua vece. Nell'inseguir Mitridate, i Romani s'innoltrarono sulle rive del Fasi, e le galee di Roma navigarono su pel fiume finchè raggiunsero il campo di Pompeo e le sue legioni78. Ma il Senato e poscia gl'Imperatori, sdegnarono di ridurre nella forma di una provincia quella distante ed inutil conquista. Si permise alla famiglia di un retore greco di regnare sopra la Colchide e gli adiacenti regni, dal tempo di Marc'Antonio sino a quel di Nerone; ed estinta che fu la stirpe di Polemone79, il Ponto orientale, che conservò il suo nome, non si estese oltre le vicinanze di Trebisonda. Al di là di questi limiti le fortificazioni di Isso, di Apsero, del Fasi, di Dioscurias o Sebastopoli e di Pizio, erano custodite da sufficienti presidj di cavalleria e di fanteria: e sei Principi della Colchide ricevevano i loro diademi dai Luogotenenti di Cesare. Uno di questi Luogotenenti, l'eloquente e filosofico Arriano, esaminò e descrisse la costa dell'Eussino, al tempo che Adriano regnava. La guernigione ch'egli passò in rassegna alla foce del Fasi, era composta di quattrocento scelti legionarj. Le mura e le torri, fabbricate di mattoni, il doppio fosso e le macchine militari sui bastioni, rendevano inaccessibile ai Barbari questa fortezza; ma i nuovi sobborghi edificati dai mercanti e dai veterani, richiedevano, secondo il giudizio di Arriano, alcune esteriori opere di difesa80. Come la forza dell'Impero andò a poco a poco scemando, i Romani, stanziati sul Fasi, furono o richiamati od espulsi; e la tribù dei Lazi81, la cui posterità parla un dialetto straniero, ed abita la costa marittima di Trebisonda, impose il suo nome e la sua denominazione all'antico regno di Colco. L'indipendenza loro fu tosto invasa da un formidabil vicino, il quale aveva acquistato, mercè delle armi e de' trattati, la sovranità dell'Iberia. Il dipendente Re di Lazica ricevè lo scettro dalle mani del Monarca persiano, ed i successori di Costantino acconsentirono a questa oltraggiosa pretensione, che alteramente fu allegata come un diritto d'immemorabile antichità. Al principio del sesto secolo rinacque l'influenza imperiale, mediante l'introduzione del Cristianesimo, che i Mingrelj tuttor professano con apparente zelo, ma senza intenderne le dottrine, od osservarne i precetti. Dopo la morte del padre, Zato salì alla dignità reale, pel favor del Gran Re: ma il pio garzone abborriva le cerimonie dei Magi, e cercò nel palazzo di Costantinopoli un battesimo ortodosso, una moglie nobile, e l'alleanza dell'Imperatore Giustino. Il Re di Lazica solennemente investito fu del diadema, ed il suo manto e la tunica di candida seta, orlata in oro, rappresentavano, con ricco trapunto l'immagine del nuovo suo protettore, il quale mitigò la gelosia della Corte persiana, e scusò la ribellione di Colco mediante i venerabili nomi di ospitalità e di religione. Il comune interesse dei due imperii impose ai Colchi il dovere di custodire i passi del monte Caucaso, dove una muraglia di sessanta miglia viene al presente difesa dal mensile servizio dei moschettieri della Mingrelia82.

      Ma questa onorevole colleganza fu ben presto corrotta dall'avarizia e dall'ambizione de' Romani. Deposti dal grado di alleati, i Lazi si vedevano e sentivano del continuo rammentare, in parole ed in fatti, il loro dipendente stato. In distanza di una giornata di là dall'Apsaro, essi mirarono a sorgere la fortezza di Petra83, che dominava il paese marittimo a levante del Fasi. In luogo di esser protetti dal valore, i Colchi erano insultati dalla licenza di mercenarj stranieri. Un vile e vessante monopolio ingojò i profitti del commercio; e Gubaze, Principe del paese, fu ridotto ad un simulacro di real potere, dal superiore influsso degli ufficiali di Giustiniano. Disingannati dall'aspettazione in cui erano della cristiana virtù, gli indispettiti Lazi riposero qualche fiducia nella giustizia di un Infedele. Dopo di essersi privatamente accertati che i loro Ambasciatori non verrebbero consegnati ai Romani, essi pubblicamente richiesero l'amicizia e l'ajuto di Cosroe. Il sagace monarca subitamente conobbe l'uso e l'importanza della Colchide; e meditò un disegno di conquista, che fu rinnovato, in capo a mille anni dal Shà Abbas, il più saggio ed il più potente de' suoi successori84. Accesa era l'ambizion di Cosroe dalla speranza di tenere una flotta persiana alla foce del Fasi, di dominare il traffico e la navigazione dell'Eussino, di dare il guasto alla costa del Ponto e della Bitinia, di tribolare, e forse di attaccare Costantinopoli, e di trarre i Barbari dall'Europa a secondare le sue armi ed i suoi consiglj contro il comune avversario del genere umano. Col pretesto di una guerra scitica, tacitamente egli mandò le sue truppe alle frontiere dell'Iberia: stavano in pronto alcune guide Colchiche per condurle in mezzo alle selve e lungo i precipizj del Monte Caucaso: e, di un angusto sentiero, si fece, a forza di fatica, una sicura e spaziosa strada pel passaggio dei cavalli ed anche degli elefanti. Gubaze pose se stesso ed il suo diadema ai piedi del re di Persia, i suoi Colleghi imitarono la sommissione del Principe loro, e la guarnigione romana di Petra, vedendone scosse le mura, si sottrasse mercè di una capitolazione, al sovrastante furore di un ultimo assalto. Ma i Lazi ben presto scoprirono che l'impazienza gli avea tratti a scegliere un male più intollerabile che le calamità da cui cercavano di fuggire. Tolto fu in vero il monopolio del sale e del grano, ma mediante la perdita di queste preziose derrate. All'autorità di un legislatore romano succedette l'orgoglio di un despota orientale, il qual rimirava, con ugual disdegno, gli schiavi che aveva innalzati, ed i Re che aveva umiliati innanzi allo sgabello del suo trono. Fu introdotta nella Colchide l'adorazione del fuoco dallo zelo dei Magi: l'intollerante loro spirito provocò il fervore di un popolo cristiano; ed i pregiudizi della natura o dell'educazione si trovarono feriti dall'empia usanza di esporre i corpi morti dei loro parenti, sulla cima di un'alta torre, ai corvi ed agli avoltoi85. Consapevole di quest'odio crescente, che ritardava l'esecuzione dei suoi vasti disegni, il giusto Nushirvan avea segretamente dato ordine che si uccidesse il Re dei Lazi, si trapiantasse quel popolo in qualche lontana contrada, e si stabilisse una fedele e guerriera colonia sopra le rive dei Fasi. La vigilante gelosia dei Colchi antevide ed allontanò la rovina, vicina a piombare. La prudenza, anzi che la clemenza di Giustiniano accettò in Costantinopoli il lor pentimento,



<p>75</p>

Strabone, l. XI p. 765. Lamberti, Relation de la Mingrelie. Non conviene però cadere nell'altro estremo di Chardin, che non dà alla Mingrelia più di 20,000 abitanti per supplire ad un'annua esportazione di 12,000 schiavi: assurdità indegna di quel giudizioso viaggiatore.

<p>76</p>

Erodoto, l. III c. 97. Vedi nel libro VII c. 79 le armi ed il servizio loro nella spedizione di Serse contro la Grecia.

<p>77</p>

Senofonte che s'era azzuffato co' Colchi nella sua ritirata (Anabasis, l. IV p. 130, 343, ed. Hutchinson; e la Dissertazione di Forster, p. LIII-LVIII nella versione inglese di Spelmann, vol. II) li chiama αυτονομοι; prima della conquista di Mitridate, sono denominati da Appiano αρειμανες (de bello Mithrid. c. 15 t. 1 p. 661 dell'ultima e miglior edizione di Gio. Schweighaeuser, Lipsia, 1785, 3 vol. in 8 gr.).

<p>78</p>

Appiano (de bello Mithrid.) e Plutarco (in vita Pomp.) parlano della conquista della Colchide, fatta da Mitridate e da Pompeo.

<p>79</p>

Possiamo rintracciare l'origine e la caduta della famiglia di Polemone in Strabone (l. XI p. 755, l. XII p. 867), in Dion Cassio o Zifilino (p. 588, 593, 601, 719, 754, 915, 946, ed. Reimar), in Svetonio (in Ner. c. 18, in Vespas. c. 8), in Eutropio (VII, 14), in Gioseffo (antiq. Judaic. l. XX c. 7 p. 970, ediz. Havercamp) ed in Eusebio (Chron. colle Animadv. di Scaligero).

<p>80</p>

Al tempo di Procopio non v'erano Fortezze romane sul Fasi. Pizio e Sebastopoli furono sgombrate al sentire che i Persiani si avvicinavano (Goth. l. IV c. 4); ma l'ultima di queste piazze fu restaurata da Giustiniano (de Edif. l. IV c. 7).

<p>81</p>

A' giorni di Plinio, di Arriano e di Tolomeo, i Lazi formavano una particolare tribù sul confine settentrionale della Colchide (Cellario, Geograph. ant. t. 11 p. 222.) Nell'età di Giustiniano, si sparsero, od almeno regnarono su tutto il paese. Al presente, hanno trasmigrato lungo la costa verso Trebisonda, e compongono un rozzo popolo, dedito alla pescagione, che parla un linguaggio particolare (Chardin, p. 149. Peyssonel. p. 64).

<p>82</p>

Gio. Malala, Cron. t. 11 p. 134-137. Teofane, p. 144 Hist. Miscel. l. XV p. 103. Autentico è il fatto, ma la data par troppo recente. Nel parlare della loro alleanza persiana, i Lazi contemporanei di Giustiniano usano obsolete parole: εν γραμμασι μινιμεια, προγονοι. – Potevano queste parole appartenere ad un'alleanza che da soli vent'anni era sciolta?

<p>83</p>

Non rimane altro vestigio di Petra che negli scritti di Procopio e di Agatia. La maggior parte delle città e castella della Lamica si può ritrovare col paragonare i nomi, e la posizione loro colla carta della Mingrelia, in Lamberti.

<p>84</p>

Vedi le piacevoli lettere di Pietro della Valle, viaggiatore romano (Viaggi, t. 2 p. 207, 209, 213, 215, 266, 286, 300, t. III p. 54, 127). Negli anni 1618, 1619 e 1620, egli conversò con Shà Abbas e vivamente incoraggiò un disegno che avrebbe unito la Persia e l'Europa contro il Turco, loro comune inimico.

<p>85</p>

Vedi Erodoto (l. 1 c. 140 p. 69), il qual parla con diffidenza (Larcher, t. 1 p. 399-401. Notes sur Herodote), Procopio (Persic. l. 1 c. 11), e Agatia (l. 2 p. 61, 62). Questa pratica, conforme al Zendavesta (Hide, de Relig. Pers. c. 34 p. 414-421); dimostra che la sepoltura dei Re persiani (Senofonte, Cirop. l. 8 p. 658, Τι γαρ τουτου μακαριωτερον του τῃ γῃ μιχθηναι), è una finzione greca, e che le tombe loro non potevano essere che cenotafi.