Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta. Massimo d' Azeglio

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Название Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta
Автор произведения Massimo d' Azeglio
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
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ricever cortesia da chi l'avea fatto prigione. Tuttavolta conoscendo quanta villania sarebbe stata il mostrarsi acerbo, rispose più lietamente che potè:

      – Se la vostra mano è leggiera nel porre una taglia come nel calare un fendente, il re cristianissimo pagherà della sua borsa se ci vuol riavere, o vi terrò compagnia il resto de' miei giorni.

      – Inigo – disse Paredes volgendosi ad un bel giovine di venticinque anni che, aspettando la cena, avea già posto mano al pane – se vogliamo parlare di colpi di spada, domanderemo al tuo cavallo, che sapore hanno le stoccate di questo barone. —

      Poi dirigendo il discorso a La Motta:

      – M'accorgo un po' tardi che siete disarmato: eccovi la mia spada (e scingendola, la pose al fianco del suo prigione) sarebbe gran torto se un braccio come il vostro non trovasse un'elsa dove appoggiarsi. Terrete Barletta per prigione sino a cambio o riscatto. La vostra parola, Cavaliere? —

      La Motta stese la destra a Paredes, che la prese e soggiunse:

      – Pei vostri compagni sia lo stesso patto. Non è vero? – E ciò disse volto a Correa e ad Azevedo, due uomini d'arme che avean fatti prigioni i compagni di La Motta. Risposero che eran contenti, ed ambedue colla medesima cortesia toltesi d'accanto le spade le cinsero ai baroni francesi.

      – In tavola signori – gridò in quella Veleno, ponendo in mezzo al desco un grave catino, ove giaceva la metà dell'agnello attorniato da cipolle e legumi, e due gran piatti alle estremità pieni d'insalata; e l'apparire della vivanda non fu meno possente della voce dell'oste a chiamare a sè l'affamata adunanza. Tutti con gran premura, spostando e rimettendo le panche, in un momento furono seduti, e all'opera; e per alcuni minuti non s'udì parola, ma solo uno strepito di piattelli, bicchieri e posate percosse.

      Solo, in capo tavola, sedeva Diego Garcia, e da' suoi lati avea fatto porre La Motta e de Guignes. Scalcando con una gran daga, in un lampo ebbe fatto in pezzi quell'animale, e divisolo fra i convitati. Il suo stomaco di ferro, servito ottimamente da due file di denti bianchissimi e forti da non temer paragone, si trovò dopo alcuni minuti racquetato se non satollo. Non gli rimase un sol osso sul piattello, poichè nessun mastino potea dirla seco per stritolarli e ridurli in polvere. Finita la pietanza, empiè i bicchieri de' suoi vicini ed il suo. Com'ebbe bevuto, e passata un poco quella prima furia di fame, s'avviarono a poco a poco i discorsi, mescolandosi le domande, le risposte ed i frizzi, che si raggiravano per lo più sui casi della guerra, sui cavalli, sui colpi dati o toccati, e sui varj accidenti del giorno. Nella parte inferiore del desco ove s'eran seduti i venti o ventitrè Spagnuoli, lasciando per cortesia al loro capo ed ai prigioni francesi ciò che essi chiamano la cabecera, ossia il sommo della tavola, si scorgeva negli atti e nelle parole quell'amorevole fratellanza che suol produrre il trovarsi avvolti insieme ogni giorno in grandissimi pericoli, ove si conosce quanto pregio abbia l'esser pronti ad ajutarsi l'un l'altro nell'occasione.

      Le facce ruvide e cotte dal sole di questi uomini d'arme, che il moto, la recente fatica ed il calor del cibo rendevano rosse ed infocate, producevano, al chiaror dei lumi che le percoteva dall'alto, un effetto di chiaro-scuro degno del pennello di Gherardo delle Notti.

      Avvicinandosi il termine della cena, il conversare, secondo il solito, era divenuto più generale, e le risa e il romore cresciuti in gente che avea riportato onore e profitto dalle guerresche fatiche del giorno. La fronte d'Inigo era la sola che più durava fatica a rasserenarsi. Stava egli col gomito appoggiato alla tavola, e si guardava d'intorno, poco o nulla rispondendo alle ciarle de' suoi compagni.

      – Inigo – gli disse, stendendo verso di lui la mano Azevedo, che aveva forse votato un bicchiere più del solito, ed essendo uomo sollazzevole, mal soffriva di veder uno della brigata star sopra di se malinconico – Inigo, si direbbe che sei innamorato, se le donne di Barletta meritassero le occhiate di un bel giovane par tuo. Ma qui, viva Dio, siamo al sicuro. Non vorrei che avessi lasciato il cuore in Ispagna, o a Napoli.

      – Non penso a donne, Azevedo – rispose il giovane – ma penso al buon cavallo che quel barone m'ha quasi ammazzato seguitando a menar le mani da pazzo, quando già vedeva di non poterci fuggire. Povero Castagno! la sua spalla è perduta; ho paura, e non penso d'averne mai più sotto un altro che lo valga. Ti ricordi a Taranto che cosa seppe fare questo demonio? e quando si guazzò quel fiume… non mi ricordo il nome… là dove fu ammazzato Quignones… che l'acqua era più alta che non si pensava; chi arrivò il primo alla riva? E dopo tante prove e tanti pericoli doveva finire alle mani di questo nemico di Dio!

      – Non alzar tanto la voce – disse Correa – quel che è stato è stato a buona guerra: e non si deve dar carico ai prigionieri, nè conviene che odano questi discorsi.

      – Ed io ti giuro – rispose Inigo – che vorrei essere in terra con una buona ferita, e veder sano il mio povero Castagno: e perdonerei al Francese se avesse rotto la spada sul capo a me, invece di pigliarla col cavallo. All'uomo si tira: almeno chi sa tener la spada in mano fa così; e non di qua, di là, all'impazzata. Maledetto! pareva che si cacciasse le mosche.

      – Hai ragione, perdio – gridò Segredo, vecchio soldato con baffi e barba che mostravano aver veduto più d'una zuffa. – Quand'ero giovane pensavo come te: vedi la mia fronte (e battendo sovr'essa leggermente con una mano incallita dal guanto di ferro, indicava una cicatrice che orizzontalmente gli tagliava il sopracciglio) questa me l'ha fatta el Rey Chico per amor d'un cavallo, il più bel bajo che vi fosse in campo. Quello si chiamava cavallo! Quando fra uomini d'arme si veniva alle spade, bastava scuotergli così un poco la briglia, e un'ombra di sperone; che volevate vedere! S'alzava sulle zampe, e poi volate e sparate avanti, chè a non volere uscir per gli orecchi, vi dico io, mi toccava a stringer le cosce: quando ricadeva venivo giù insieme col mio colpo di spada, che pareva la saetta di Dio, e in questa maniera più d'un Moro è andato a cena con Satanas. E la siesta! Dormivo fra le sue gambe all'ombra, povero zamoreno de mi alma, che nemmeno ardiva cacciarsi le mosche, per non disturbarmi. All'assedio di Cartagena dove pochi di voi si son potuti trovare, e dove cominciò a farsi conoscere il gran Capitano… e vi dice Segredo che era un bel far la guerra allora: un po'meglio d'adesso: sotto gli occhi del re Don Fernando e della regina Isabella, che era una bellezza, e di tutta la corte, ben pagati e mantenuti noi e i cavalli, come in casa d'un principe… ma per dir del mio cavallo, in una sortita dove el Rey Chico alla testa de' suoi combatteva come un leone (ed era un uomo che m'arrivava al petto, ma aveva un braccio che dove toccava lasciava il segno) quel povero animale ebbe passato il collo fuor fuori da una zagaglia moresca, e la prima volta in vita sua cadde sulle ginocchia. Mi gettai a terra e vidi che non c'era rimedio. Pure speravo di ricondurlo al campo a mano, chè per tutto il mondo non avrei voluto abbandonarlo: mi seguitava che appena poteva reggersi, e non ho vergogna a dirlo, le lagrime calde calde mi scendevano per la gorgiera dell'elmo, e mi bagnavano il collo: io che non sapevo che cos'era piangere! In quella tornò addietro una furia di Mori stretta da molti uomini di arme, e quel re era obbligato a fuggire, e veniva mugghiando come un toro. Io preso in mezzo da questi, solo, a piedi mi vidi morto. Tenni lontano più d'uno girando la spada; ma mi cadde sul capo quella del re che m'aperse l'elmo e rimasi per morto un pezzo. Quando mi riscossi e mi potetti alzar da terra, mi trovai il povero Zamoreno steso morto accanto. —

      I casi del cavallo di Segredo erano stati uditi con affetto da tutta la tavola, ed il vecchio soldato al fine del suo racconto non avea potuto a meno di non mostrare sul viso solcato dall'età e dai travagli, che la memoria dell'antico compagno gli durava molto viva nel cuore. Qui ebbe vergogna di farlo troppo scorgere, e si versò da bere per distrarre gli sguardi che ancora lo fissavano.

      Jacques de Guignes che, non meno degli altri prigioni, era andato riprendendo animo a misura che s'era pieno lo stomaco, udita la storia di Zamoreno cominciò:

      – Chez-nous, messer cavaliere, questo non vi sarebbe accaduto tanto facilmente (quantunque è pur troppo vero che les bonnes coutumes de chevalerie si vanno perdendo ogni giorno). Pure un uomo d'arme si crederebbe disonorato se ad armi e a numero pari la sua spada cadesse sul cavallo del nemico. Ma dai Mori, come tutti sanno, non si può aspettare questa cortesia.

      – Eppure – disse Inigo, rispondendo ad una proposta che non gli era diretta – si potrebbe provare che non è usanza solamente de' Mori