Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV. Botta Carlo

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Название Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV
Автор произведения Botta Carlo
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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nè generoso, nè consentaneo alle belle parole, nè conducente a indipendenza. Perciò Visconti non istette ad aspettar altro, e sottoscrisse il trattato.

      Arrivato quest'accordo in Cisalpina, vi sorse uno sdegno grandissimo: i consigli legislativi nol volevano ratificare. Scriveva pubblicamente Berthier, che da Roma se n'era venuto a Genova per andarsene alla spedizione d'Egitto, che quel trattato era la salute della Cisalpina, se ella il ratificasse. Altri sottomano insinuavano, che se ratificasse, sarebbe ingrandita, se ricusasse, spenta.

      Queste promesse e queste minacce operarono di modo che i consigli ratificarono, non senza però molti discorsi contrari, e molta discordia. Gli amatori dell'indipendenza se ne sgomentarono, molti mali umori nascevano nella repubblica. S'aggiunse che i due quinqueviri Moscati e Paradisi, e nove dei consigli legislativi, che più vivamente degli altri si erano versati al trattato, avevano ricevuto sforzata licenza dal direttorio di Francia. Di più si fe' dire e stampare, che fossero fautori dell'Austria, e nemici della Francia; delle quali allegazioni si può dire, che è dubbio, se siano o più ridicole, o più false. Ma la persecuzione non si rimase alle parole; perchè alcuni degli oppositori furono anche carcerati. Si conturbavano le menti a questi eccessi; si temevano cose peggiori.

      In mezzo a questi mali umori arrivava in Cisalpina mandato dal direttorio in qualità di ambasciatore di Francia, Trouvé, giovane di spirito, e che faceva professione di amare la libertà. Si sollevarono gli animi al suo arrivo, comparendo per la prima volta un ministro di Francia presso quello stato nuovo, ed ognuno si stava ansiosamente aspettando, che cosa portasse. Gl'indipendenti ne auguravano bene pel fatto stesso; gli aristocrati quieti si rallegravano ancor essi, perchè speravano, che un reggimento più regolato gli preserverebbe dalle improntitudini dei libertini. Fu l'ingresso di Trouvé al direttorio Cisalpino molto pomposo. Parlò nel suo discorso della Francia magnificamente, della Cisalpina amorevolmente. Piacque soprattutto agl'indipendenti il principio del suo favellare, che fu con queste parole: che veniva in nome della grande nazione a salutare l'indipendenza della repubblica Cisalpina. Poi continuando affermava, che era venuto per adempire presso a lei un carico onorevole, e caro all'anima sua, quello cioè di giungere all'ammirazione verso gli eroici fatti, l'amore che inspira la pratica delle virtù; che tal era il desiderio, tale il bisogno del governo Francese, che a questo generoso fine per comandamento di lui, ed in adempimento della sua tenerezza paterna indirizzerebbe egli tutti gli sforzi, tutti i pensieri suoi. Allontanassero pertanto da loro, come egli allontanava da se, le dimostrazioni vane di un'astuta politica, che adula per corrompere, che accarezza per uccidere: allontanassero le sottigliezze, allontanassero le ingannatrici promesse, le seduzioni, la duplicità; animi aperti e leali, confidenza vicendevole, giustizia sincera, probità incorrotta, unione inalterabile fra i magistrati le due repubbliche congiungessero; congiunzione, continuava vieppiù nella sua poesia infuocandosi il giovane ambasciatore, congiunzione gloriosa e toccante; congiunzione giurata sull'ara della patria per difendere i principj della ragione, e per dilatare il culto della libertà. Queste belle poesie, che coprivano brutti fatti, giravano a quei tempi. Rispondeva all'ambasciatore di Francia con pensieri adulatorj, e lingua Italiana sucidissima il presidente del direttorio Constabili: il linguaggio stesso disvelava la debolezza degli animi, la servitù dello stato.

      Scriveva sulle prime, cioè il dì trenta maggio, Trouvé a Birago, ministro degli affari esteri della Cisalpina, invitandolo ad operar per modo che il governo Cisalpino facesse risoluzioni vigorose contro i fuorusciti Francesi, che si erano ricoverati sul territorio Cisalpino: gli mandava indizi sopra alcuni di loro: voleva, che a termine del capitolo decimoquinto del trattato d'alleanza fra le due repubbliche, essi fuorusciti fossero arrestati, onde il direttorio di Francia gli potesse bandire, e confinar ne' luoghi, che stimerebbe; accusava, quelli di aver combattuto contro la loro patria nelle legioni parricide, come le chiamava, di Condè, questi, di spandere fra i Cisalpini novellamente liberi le dottrine della schiavitù, di calunniare i repubblicani Francesi, e di far sorgere contro di loro il fanatismo, il pregiudizio, e tutti gli odj possibili: voleva finalmente, che il ministro della Cisalpina pubblicasse la sua lettera, affinchè tutti i fuorusciti sapessero, che la legazione Francese dichiarava loro una guerra, la quale non avrebbe termine, se non quando i medesimi cessassero di contaminare la terra della libertà. Rispose il Cisalpino ministro all'ambasciadore di Francia, che il direttorio Cisalpino purgherebbe la terra della libertà da quegli uomini immorali, come gli qualificava, contaminati, ed ipocriti. Brutto principio di legazione era certamente quello, che s'annunziava con un'opera inumana, e brutto principio ancora di governo libero era quello che la secondava.

      Ma ben altri pensieri che questi nodriva l'ambasciadore nella sua mente e per se, e per comandamento di chi il mandava. Aveva il direttorio osservato, che la vivezza dei libertini era stata cagione, che i popoli Cisalpini, che sono generalmente di natura quieta e savia, si fossero messi in mal umore. I medesimi libertini, siccome quelli, dico i sinceri, che senza freno parlando accusavano continuamente di prepotenza e di ladroneccio gli agenti del direttorio di Francia, operavano, che l'odio contro i Francesi moltiplicasse ogni giorno. Tenevano nei due consigli, massimamente in quello dei giovani, il predominio, e le proposte che vi si facevano, ed i decreti che vi si pigliavano, indicavano molta ardenza negli animi. Già insospettiva la Francia, che sapeva, che la smoderatezza può dare contro ogni cosa, ed ella non voleva che si desse contro di lei. L'opposizione tanto gagliarda, che era sorta nei consigli contro il trattato d'alleanza, accresceva ancora maggior colore a questi pensieri e sospetti, dimodochè divenne certo pel direttorio, che se non domava quei partigiani tanto risentiti di libertà e d'independenza, la sua superiorità in Cisalpina sarebbe sempre stata incerta e vacillante. Infatti si vedeva, che il medesimo spirito d'opposizione, che nei consigli ed in una parte del direttorio si era manifestato, si radicava anche nei magistrati subalterni, ed ognuno gridava libertà ed independenza, con tali grida accennando non più ai Tedeschi, che ai Francesi. Parve, che fosse arrivato il tempo per Francia di aggravar la mano e di porre il freno, perchè per la pace fatta con l'imperatore d'Austria essendo passata la stagione di fomentar le rivoluzioni in Lombardia, pensava, che alla sicurezza sua in Italia, così in pace come in guerra, si appartenesse di farsene un appoggio, introducendovi un vivere più quieto, e che più piacesse ai più ricchi, e notabili cittadini. Per la qual cosa Trouvé, usando così i cattivi, come i buoni, sì veramente che favorissero i suoi disegni, fece in sua casa un'adunanza segreta, in cui si esaminarono i cambiamenti da farsi nella costituzione Cisalpina. Ajutavano questo moto principalmente Sopransi, antico ministro di polizia, per vendicarsi del direttorio che l'aveva licenziato, Adelasio quinqueviro, e Luosi, ministro della giustizia. A loro si accostavano Aldini di Bologna, Beccalozzi di Brescia, Villa di Milano, Martinelli, ed Alborghetti di Bergamo, uomini meno odiati dall'Austria, che amati dai Francesi. Era il progetto di ridurre la constituzione a forma più aristocratica con diminuire il numero dei membri dei consigli, e così ancora quello dei dipartimenti, e dei membri dei magistrati distrettuali. Si voleva altresì accrescer forza al direttorio, perchè si era non senza ragione osservato, ch'egli si trovava nella constituzione molto impari ai due consigli, e quasi schiavo loro. Con questo si voleva frenare la libertà della stampa, e serrare i ritrovi politici, per la quale e pei quali i pensieri buoni si facevano cattivi per la esagerazione, i cattivi peggiori per l'impeto.

      Certamente questa riforma era da lodarsi, e sarebbe piaciuta ai buoni, se al tempo medesimo si fosse data la independenza alla Cisalpina; ma con la servitù ogni legge è cattiva, e le peggiori sono le buone, perchè portano con se la menzogna, e fan credere che vi sia ciò che non v'è. Ebbero i democrati ardenti avviso del disegno da un Montaldi rappresentante, che chiamato alle congreghe segrete, nè appruovandole, aveva svelato ogni cosa al consiglio dei giovani. Il romore fu grande; le parole nei ritrovi non ancora chiusi, gli scritti nelle gazzette non ancora frenate, furono in gran numero. Grande impressione massimamente fece nel pubblico una orazione che sotto il nome supposto di Marco Ferri, fu composta, data secretamente alle stampe, e sparsa copiosissimamente in ogni parte della Cisalpina da un giovane Piacentino, che aveva già stampato in Milano molte cose con non poca lode. Grave, e forte orazione era questa: «E donde in te, uomo da nulla (sclamava rivoltosi al giovane Trouvé il giovane Piacentino) donde in te, piccolo straniero, barbaro per l'Italia, la podestà di tante e sì gravi cose a dispetto nostro operare nella nostra repubblica? Dal tuo direttorio? Ma come mai il direttorio Francese munito ti avrebbe di così tirannica autorità, di una autorità, che in nessun tempo, in nessun caso mai non fu delegata ad ambasciadore presso popolo amico? Come potrebb'ei contraddire