Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo II. Botta Carlo

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Название Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo II
Автор произведения Botta Carlo
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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mare terre non ancora percosse dalla furia della guerra.

      Entrarono il dì primo giugno i Francesi in Verona. Quivi Buonaparte lodava l'aspetto nobile della città, i magnifici palazzi, le spaziose piazze, i tempj, le pitture, insomma ogni cosa, e più di tutto, per indurre opinione ch'egli elevasse l'animo alla grandezza Romana, l'Arena, opera veramente mirabile dei Romani antichi. Si rendevano anche padroni di Legnago e della Chiusa. A Verona non solo occuparono i ponti, ma ancora le porte e le fortificazioni. Così si verificava, secondo il solito, la promessa di Buonaparte del voler solo occupare i ponti. Al medesimo modo, pure secondo il solito, mantenne le promissioni da lui fatte nel manifesto di Brescia del voler pagare in contanti tutto ch'ei richiedesse in servigio dei soldati; imperciocchè essendosi sparsi nelle campagne testè felici del Bergamasco, del Bresciano, del Cremasco e del Veronese, vi facevano tolte incredibili, che, non che si pagassero, non si registravano; seguivano mali tratti e scherni ancor peggiori; nè le cose rapite bastavano od erano d'alcun frutto, perchè si dissipavano con quella prestezza medesima, con cui si rapivano. Quindi era desolato il paese, nè abbondante l'esercito, nè mai si fece un dissipare di quanto alla umana generazione è necessario, così grave e così stolto, come in questa terribil guerra si fece. I popoli intanto vessati in molte forme, e cadendo da una lunga agiatezza in improvvisa miseria, entravano in grandissimo sdegno, e si preparavano le occasioni a futuri mali ancor più gravi.

      A questo tempo si udirono le novelle della dedizione del castello di Milano; il comandante austriaco Lamy, perduta per le vittorie di Buonaparte ogni speranza di soccorso, si arrese a patti il dì ventinove giugno, salve le robe, e le persone, eccettuati solo i fuorusciti Francesi, che dovevano essere consegnati ai repubblicani. Trovarono dentro la fortezza cencinquanta cannoni grossi, sei mila fucili, polvere e palle in proporzione, con molto bestiame vivo. Fu questo acquisto di grande importanza ai Francesi, perchè era il castello come un freno ai Milanesi, e molto assicurava le spalle dei repubblicani. Per solennizzare questa vittoria, si fecero molte feste, balli e conviti, dai repubblicani Francesi meritamente, dai repubblicani Italiani per imitazione.

      La ruina sotto dolci parole si propagava in altre parti d'Italia; perchè trovandosi Buonaparte, per le vittorie di Lodi e di Borghetto, e così per la ritirata di Beaulieu alle fauci del Tirolo, sicuro alle spalle e sul sinistro fianco, voltò l'animo ad allargarsi sul destro; quivi ricche e fertili terre l'allettavano. Restavano oltre a ciò a domarsi il papa, ed il re di Napoli, e ad espilare il porto di Livorno. Per la qual cosa, spingendo avanti le sue genti, dopo l'occupazione di Modena, s'incamminava alla volta di Bologna, città, forse più di ogni altra d'Italia, piena d'uomini forti e generosi, e che conoscendo bene la libertà, non la misurava nè dalla licenza nè dal servaggio forestiero.

      Aveva il senato di Bologna anticonosciuto, che per la vittoria di Lodi diveniva il generale Francese signore di tutta la Lombardìa, quanto ella si distende dall'Alpi agli Apennini. Però desiderando di preservare il Bolognese, e massimamente la capitale, dalle calamità che accompagnano la guerra, aveva a molta fretta, dopo di aver creato un'arrota d'uomini eletti con autorità straordinaria, mandato a Milano i senatori Caprara e Malvasia coll'avvocato Pistorini, acciò veduto il generalissimo, il pregassero di aver per raccomandata la patria loro. Al tempo medesimo il sommo pontefice, spaventato dall'aspetto delle cose, siccome quegli, che nell'approssimarsi dei repubblicani vedeva non solo la ruina del suo stato temporale, ma ancora novità perniciose alla religione, specialmente se come nemici allo stato pontificio si accostassero, aveva commesso al cavaliere Azara, ministro di Spagna a Roma, che già era intervenuto alla composizione con Parma, andasse a Milano, e procacciasse di trovar modo d'accordo con quel capitano terribile della repubblica di Francia. Era Azara molto benignamente trattato da Buonaparte, e perciò personaggio atto a far quello che dal pontefice gli era stato raccomandato. Furono dal generale umanamente uditi i senatori di Bologna: parlaronsi nei colloquj secreti di molti gravi discorsi, il fine dei quali tendeva a slegare i Bolognesi dalla superiorità pontificia, a restituire quel popolo alla sua libertà statuita già fin dai tempi della lega Lombarda, e ad impetrare che i soldati repubblicani, passando pel Bolognese, vi si comportassero modestamente. Questi erano suoni molto graditi ai popoli di quel territorio: Buonaparte che sel sapeva, promise ogni cosa, e più di quanto i deputati avevano domandato: partironsi molto bene edificati di lui, e se ne tornarono a Bologna. Intanto le sue genti marciavano. Comparivano il diciotto giugno in bella mostra, e con aria molto militare poco distante da Bologna dalla parte di Crevalcuore. Nel giorno medesimo una banda di cavalli condotta da Verdier entrava, come antiguardo, in Bologna, e schieratasi avanti al palazzo pubblico faceva sembiante d'uomini amici e liberali. Il cardinal Vincenti legato, non prevedendo che fosse giunta al fine in quella legazione l'autorità di Roma, avvisava il pubblico dell'arrivo dei Francesi, e della buona volontà mostrata dai capi. Esortava che attendessero quietamente ai negozj; comandava che rispettassero i soldati; minacciava pene gravi, anche la morte, secondo i casi, a chi o con parole o con fatti gli offendesse. Entrava poi il seguente giorno la retroguardia: arrivavano la notte Saliceti, e Buonaparte.

      Era costume di Buonaparte, per fare che i popoli si muovessero più facilmente contro i governi loro, e sentissero meno acerbamente il suo dominio, di dare loro speranza di liberargli, e spesso anche gli liberava da quanto essi governi avevano o di più odioso o di più gravoso; perchè in tutti i reggimenti sono sempre di questi tasti, che fanno mal suono ai popoli. Aveva Bologna perduto la sua libertà, od almeno quello che stimava libertà, dappoichè la somma delle faccende dello stato era venuta in mano della chiesa; la qual cosa i Bolognesi sopportavano molto di mala voglia. Oltre a questo era Bologna stata spogliata dai pontefici del dominio di Castel Bolognese, terra grossa situata oltre Imola, e fondata anticamente dai Bolognesi desiderosissimi di ricuperare quell'antica colonia. Nè ripugnavano a questa ricongiunzione i castellani medesimi, ricordevoli tuttavìa del dolce freno col quale erano stati retti. Buonaparte, informato dai deputati di questi umori, come prima arrivava a Bologna, restituiva il possesso di Castel Bolognese, ed aboliva ogni autorità del papa, reintegrando i Bolognesi nei loro antichi diritti di popolo libero ed independente. Nè mettendo tempo in mezzo, comandava al cardinal Vincenti legato, se ne partisse immantinente da Bologna. Indi chiamato a se il senato, a cui era devoluta l'autorità sovrana, gli significava che essendo informato delle antiche prerogative e privilegi della città e della provincia, quando vennero in potere dei pontefici, e come erano stati violati e lesi, voleva che Bologna fosse reintegrata della sostanza del suo antico governo. Ordinava pertanto che l'autorità sovrana al senato intiera e piena ritornasse: darebbe poi a Bologna, dopo più matura deliberazione, quella forma di reggimento che più al popolo piacesse, e più all'antica si assomigliasse: prestasse intanto il senato in cospetto di lui giuramento di fedeltà alla repubblica di Francia, ed in nome e sotto la dipendenza di lei la sua autorità esercesse: i deputati dei comuni e dei corpi civili il medesimo giuramento in cospetto del senato giurassero.

      Preparata adunque con grande sontuosità la sala Farnese, e salito sur un particolare seggio riceveva Buonaparte il giuramento dei senatori in questa forma: «A laude dell'onnipotente Iddio, della Beata Vergine, e di tutti i Santi, ad onore eziandìo, e riverenza della invitta repubblica di Francia, noi gonfaloniere e senatori del comune e popolo di Bologna giuriamo al signor generale Buonaparte, comandante generalissimo dell'esercito Francese in Italia, che non faremo mai cosa contraria agl'interessi della stessa invitta repubblica, ed eserciremo l'ufficio nostro, come buoni cittadini, rimosso ogni qualunque odio o favore, e tanto giuriamo nella forma patria, toccando gli Evangeli».

      Prestatosi dal senato il giuramento, si accostarono a prestarlo, presente sempre il generale di Francia, i magistrati sì civili che ecclesiastici; il che fece in tutta Bologna una gran festa, grata al popolo, perchè nuova, e con qualche speranza grata al senato, perchè da servo si persuadeva di esser divenuto padrone, non badando che se era grave la servitù verso il papa, sarebbe stata gravissima verso i nuovi signori.

      Diessi principio al nuovo stato, secondo il solito, a suon di denaro. Pose Buonaparte gravissime contribuzioni di guerra. Si querelavano i popoli, parendo loro che le contribuzioni fossero opera piuttosto da nemico, che da alleato; conciossiachè con questo nome aveva il generalissimo chiamato la repubblica di Bologna. Pure se ne acquetavano, perchè sapevano che bisogna bene, che i soldati vivano del paese che hanno. Solo si sdegnavano dello scialacquo, perchè conformandosi quietamente al fornire le cose necessarie, non potevano tollerare di dar materia ai depredatori, che i soldati, e gl'Italiani ugualmente rubavano. Poco stante successe, come