Название | Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I |
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Автор произведения | Botta Carlo |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
Miravano tutte queste pratiche ad introdurre in Italia le medesime deliberazioni, ch'erano state prese in Germania dall'Austria e dalla Prussia dopo la morte di Giuseppe, e l'assunzione di Leopoldo. Erasi Leopoldo collegato con Federico Guglielmo di Prussia a sicurezza comune contro gli appetiti immoderati di Caterina di Russia, e contro le vertigini della Francia. Ma questa congiunzione tendeva a difendersi, non ad offendere; i trattati di Pavia e di Pilnitz, in cui si suppose essere stata stipulata la guerra, e lo smembramento della Francia, furono trovati e menzogne politiche per apporre a Leopoldo risoluzioni guerriere ed ostili, che non fece, e per stimolare a maggior empito i Francesi, che già con tanto empito correvano.
Ma morto Leopoldo, ed assunto al trono il suo figliuolo Francesco, principe giovane, ed ancora inesperto delle faccende, i negozj pubblici si piegarono a diverso, anzi a contrario fine. Caterina di Russia, la quale, visto il procedere temperato di Leopoldo e di Federigo Guglielmo, si era constituita pubblicamente, volendo pur muovere qualche cosa in Europa, la protettrice dell'antico governo di Francia, dimostrava con molte protestazioni volerlo rinstaurare. Non doversi, spargeva, un re virtuoso lasciar in preda a gente barbara; diminuita la potestà regia in Francia, diminuirsi ancora per riverbero in tutti gli altri regni; avere gli antichi per rispetto di un solo proscritto, preso le armi contro stati potenti: perchè si resterebbero i principi d'Europa dal correre in ajuto di un re, e di tutta una famiglia regia prigione, di tanti principi esuli, di tutto il fior d'un regno perseguitato e ramingo? l'anarchìa esser il pessimo dei mali, e più quando veste le sembianze della libertà, perpetuo inganno dei popoli; tornare l'Europa nella barbarie, se presto non si rimediasse; quanto a lei, essere parata ad opporsi con tutte le forze sue alla moderna barbarie, come Pietro il Grande, glorioso suo antecessore, aveva combattuto e superato un nemico ostinato, e sempre pronto ad infestar con l'armi i popoli vicini. Ora esser tempo d'insorgere, ora di unirsi, ora di pigliar l'armi per frenar quegli scapestrati di Francia: ciò richiedere la pietà, ciò domandar la religione, ciò volere l'umanità, ed ogni più santo, ogni più utile interesse d'Europa.
Queste, ed altre simili cose diceva continuamente Caterina, ed insinuava destramente nell'animo dei principi, massimamente di Francesco e di Federigo Guglielmo. Nè mancarono a se medesimi in tale auguroso frangente i fuorusciti francesi, e più i più famosi ed i più eloquenti, i quali erano indefessi nell'andar di corte in corte, di ministro in ministro per raccomandar la causa del re, la causa stessa, come affermavano, dell'umanità e della religione. A queste instigazioni l'imperatore Francesco, che giovane d'età aveva già assaggiato la guerra all'assedio di Belgrado, deposti del tutto i pensieri pacifici di Leopoldo, e non dando ascolto ai ministri, nei quali suo padre aveva avuto più fede, accostossi ai consigli di coloro, che dipendendo dalla Russia, lo esortavano ad assumere l'impresa, ed a cominciar la guerra. Dal canto suo Federigo Guglielmo, principe di poca mente, ma d'indole generosa, impietositosi alle disgrazie della casa reale di Francia, e ricordandosi della gloria acquistata da Federigo secondo, si lasciò svolgere, e postosi in arbitrio della fortuna corse anch'egli all'armi contro la Francia.
Noi non descriveremo nè la lega, che seguì tra la Russia, l'Austria, e la Prussia, nè il congresso di Magonza, nè la guerra felicemente cominciata, e più felicemente terminata nelle pianure della Sciampagna. Quest'incidenza troppo ci allontanerebbe dalle cose d'Italia. Incredibile era l'aspettazione degli uomini in questa provincia, e ciascuno formava in se varj pensieri secondo la varietà dei desiderj e delle opinioni. Il re di Sardegna, spinto sempre dalla brama di far chiaro il suo nome per le imprese d'armi, stimolato continuamente dai fuorusciti francesi, che in grandissimo numero s'erano ricoverati ne' suoi stati, e lasciandosi tirare alle loro speranze, certo molto più che a uomo prudente si appartenesse, aveva meglio bisogno di freno che di sprone. Intanto non cessava di avviar soldati, armi e munizioni verso la Savoja, e nella contea di Nizza, parti del suo reame solite a sentir le prime percosse dell'armi francesi, e donde, se la guerra dal canto suo fosse amministrata con prospero successo, poteva penetrar facilmente nelle viscere delle province più popolose, e più opime della Francia. Nè contento alle dimostrazioni, ardeva di desiderio di venirne prestamente alle mani, persuadendosi che le soldatesche francesi, come nuove ed indisciplinate, non avrebbero osato, non che altro, mostrar il viso a' suoi prediletti soldati. Ma o che l'Austria e la Prussia abbiano creduto di terminar da se la bisogna, marciando sollecitamente contro Parigi, o che credessero pericoloso pel re di Sardegna lo scoprirsi troppo presto, lo avevano persuaso a temporeggiare fino a tanto che si fosse veduto a che termine inclinasse la guerra sulle sponde della Matrona, e della Senna. Così mutate le cose per la morte di Leopoldo, e pei nuovi consigli di Francesco, il re di Sardegna, prima talmente rispettivo, che altro non pretendeva che una lega fra i principi Italici a difesa comune, ora datosi in preda allo