Voglio Morderti Il.... Gemma Cates

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Название Voglio Morderti Il...
Автор произведения Gemma Cates
Жанр Современная зарубежная литература
Серия
Издательство Современная зарубежная литература
Год выпуска 0
isbn 9788835428084



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la sua parte malefica. Questa volta la stronza ubriaca aveva resistito soltanto un paio di minuti, e visto il modo in cui le marche temporali funzionano, suppongo che in realtà fosse passato un minuto e mezzo.

       Io: Dovresti decisamente riprovare.

       Figo peloso: Dovrei? Magari il mio ego è fragile. Magari, distruggendomi come hai fatto, hai mandato in frantumi quel po’ di fiducia in me che avevo.

       Io: Balle. Dovresti decisamente ritentare.

       Figo peloso: Che ne dici di sistemare la cosa con una sfida?

      E bam, quell’uomo mi aveva fatta sua. Mi piace una buona sfida. A chi non piace?

       Io: Ci sto.

      E a parlare era stata decisamente la Megan ubriaca che più ubriaca non si può. Mi potrà anche piacere una buona sfida, ma tutti sanno che non accetti senza stabilire i parametri, i paletti e le regole.

      La me ubriaca aveva appena fatto una mossa da principiante.

       Figo peloso: Eccellente. Yoga all’alba tutti i giorni per tutto il mese di novembre.

      Forse la me ubriaca aveva avuto un barlume dell’idiozia delle sue azioni. Sicuro come la morte che doveva averlo avuto. Avrei voluto prendere a schiaffi la me ubriaca, ma sarebbe stato controproducente vedendo quanta me ubriaca fosse ancora me. Dannazione.

      E sarebbe stata questa me che avrebbe fatto cose che sembravano un po’ una tortura. Alzarsi all’alba. Piegare il mio corpo in modi in cui non era predisposto a piegarsi.

       Figo peloso: Ci sei?

       Io: Sì. Parametri?

       Figo peloso: La seduta da venti minuti di yoga comincia all’alba. Il primo che salta una seduta perde. D’accordo?

       Io: Maledizione, sì.

       Figo peloso: Ti manderò un link. Devi collegarti ogni mattina all’alba. C’è un’app.

      Tutto questo sembrava assai sospetto alla luce del giorno. Oliver, così per caso, conosceva un’app per sfide di yoga all’alba? Il tipo era chiaramente uno yogi o come volete chiamare le persone che eccellono nel piegarsi in varie pose allenandosi ossessivamente.

      Oh, giusto, quelle persone vengono definite pazze.

      Specialmente quando si alzano al sorgere del sole per fare quelle stronzate di piegamenti.

       Io: Regole?

       Figo peloso: Fatti vedere in orario, resta per l’intera seduta e fai un tentativo onesto per ogni posa, modificandola appropriatamente.

       Io: D’accordo. E i paletti?

       Figo peloso: Chi perde paga un forfait a scelta del vincitore.

      E questo è il motivo per cui soltanto un’idiota avrebbe accettato una sfida prima che parametri, regole e paletti venissero stabiliti chiaramente. Sapevo che era meglio farlo prima di buttarsi alla cieca in una sfida. Peccato non poter dire lo stesso della Megan ubriaca.

       Io: Va bene.

       Figo peloso: A proposito, domani l’alba è alle 6:46.

      La mia risposta era stata una varietà di emoji e comprendeva il mio dito preferito.

      La sua risposta era stata la faccina che ride così tanto da piangere.

      E poiché anche la Megan ubriaca odiava perdere una sfida, avevo messo cinque sveglie. Ecco perché ora ero sveglia alle…

      Una rapida occhiata al telefono aveva rivelato che era un’ora impossibile: le 6:44.

      Cazzo!

      Avevo due minuti. Non avevo intenzione di perdere quel patetico pezzo di merda di sfida proprio il primo giorno. Avevo cercato il link e mi ero rapidamente registrata, riuscendo appena in tempo a presentarmi alla prima seduta in programma.

      Sul display c’era un timer che visualizzava un conto alla rovescia; erano rimasti ventisette secondi. Mentre quei secondi scorrevano all’indietro, il mio Io stanco, con i postumi della sbornia, ma non ubriaco, aveva considerato che da quella stupida sfida Oliver non avrebbe guadagnato assolutamente niente.

      Quell’uomo doveva sapere che ero stata sul punto di accettare di uscire con lui. Se si fosse solamente preso la briga di chiederlo di nuovo, avrei detto sì.

      E a cosa sarebbe servito, a entrambi, un mese di fottuto yoga?

      Quando la prima seduta era cominciata, mi ero resa conto di come esattamente mi avrebbero fatta sentire i successivi trenta giorni di yoga mattutino.

      Arrapata.

      E frustrata.

      Probabilmente anche con tendenze omicide, se l’immagine sullo schermo era un assaggio dei successivi trenta giorni.

      Oliver era l’istruttore.

      E no, Oliver non aveva la pancia da queso. Non aveva nemmeno un pacco da sei.1

      No, aveva un pacco da otto, di cui riuscivo a vedere ogni cresta e ombra – persino sul minuscolo schermo del mio telefono – perché l’essere divino precedentemente conosciuto come Oliver, detto Figo Peloso, era a torso nudo.

      E che cazzo indossava come pantaloni?

      Mi era venuto bisogno di farmi aria.

      Pantaloni, un corno. Non erano nemmeno pantaloncini. Sembravano più degli slip.

      Beh, non coprivano solo le natiche. Saranno stati a mezza coscia, ma mentre lui si muoveva, gli short, che aderivano ai suoi glutei muscolosi, mostravano flash dei suoi quadricipiti gonfi.

      Avevo inspirato profondamente, come da sue istruzioni, poi avevo cominciato a seguire il divino Oliver e la sua voce flautata mentre mi guidava in una routine yoga di venti minuti.

      Come avrei fatto a gestire una cosa del genere per trenta giorni?

      3

      Avevo finito la routine yoga, ma non mi sentivo Zen né rilassata, né come cazzo ci si dovrebbe sentire dopo aver fatto yoga all’alba.

      Mi sentivo arrabbiata.

      Frustrata. Dal punto di vista sessuale, naturalmente. Chi non lo sarebbe stato dopo aver guardato Oliver Watson e il suo perfetto, potente corpo muoversi fluidamente su un grande schermo per venti minuti? (Sì, ovviamente avevo trasferito il suo corpo sensuale sul mio televisore a grande schermo. Quell’uomo era un’opera d’arte.)

      Sciocca. Mi sentivo decisamente sciocca. L’ubriachezza non era una scusa sufficiente per impegnarmi trenta giorni in quello.

      E testarda, perché anche se potevo porre fine al mio tormento – o guardarlo su uno schermo più piccolo – non volevo. Avevo intenzione di vincere questa sfida, anche se avessi dovuto vivere in uno stato di arrabbiata frustrazione sessuale per il mese successivo.

      Dopo avere provato, senza riuscirci, a ritornare a letto – apparentemente lo yoga arrabbiato mi aveva dato energia – avevo preso una tazza di caffè. Poi un’altra.

      E proprio mentre stavo per chiamare Becca – perché chi, meglio della mia migliore amica, poteva capire il mio irrazionale bisogno di continuare questa sfida nonostante la follia che era il corpo mezzo nudo di Oliver Watson? – mi chiama lei.

      Con