Название | Novelle |
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Автор произведения | Edmondo De Amicis |
Жанр | Языкознание |
Серия | |
Издательство | Языкознание |
Год выпуска | 0 |
isbn | 4064066068882 |
E chi sa, quanti dei miei compagni si troveranno un giorno, un'ora della loro vita, in quel cimento! Chi sa che molti non abbiano a illustrare il loro nome qualche grande servigio reso alla patria, che alcuni di questi nomi non abbiano a diventar cari al popolo, che io stesso non abbia una volta a veder passare per una strada di qualche città italiana un mio antico vicino di studio, o di tavola, o di letto, in grande uniforme di generale, sopra un bianco cavallo coperto di fiori, in mezzo a due ale di popolo festante! E chi sa pure se un giorno io non andrò a picchiare alla porta di alcuno di loro, per gettargli le braccia al collo appena mi apparirà dinanzi, — pallido, triste, invecchiato di dieci anni nel giro di pochi mesi; — se non andrò da lui per confortarlo, per dirgli che la sentenza del paese è stata ingiusta, che grande è ancora il numero di coloro che non rovesciano sul suo capo tutta la colpa del disastro, che verrà tempo in cui si calmeranno le passioni e si ritorneranno in onore le vittime delle condanne avventate, che il suo nome è ancora rispettato e caro, che non s'accasci, che ripigli animo e speri?
Ah! quando io penso alle fiere prove che molti di essi avranno a durare nella vita, al bene che potranno fare al loro paese, all'inestimabile prezzo cui dovranno pagare la loro gloria; quando penso a queste cose io che lasciai l'esercito, sento che per non restare addietro ai miei compagni nel pagare il mio debito di gratitudine alla patria, dovrei faticare senza riposo, vegliare le notti sui libri, conservare con rigorosa temperanza di costumi il mio vigore giovanile per rivolgerlo fresco ed intero ai lavori della mente; menare una vita illibata per acquistare il diritto di predicar la virtù, e mantenere viva e pura questa fiamma d'affetto, di cui riesco qualche volta a trasfondere una scintilla nel petto degli altri; studiare il popolo, i fanciulli, i poveri, e scriver per loro; non lasciarmi sfuggir mai dalla penna una parola ignobile, sacrificare tutte le mie fantasie al bene comune, non disanimarmi mai per contrarietà, non ambir mai lodi, non desiderare, non aspettare mai nulla, fuorchè il giorno in cui potessi dire a me stesso: — Ho fatto quello che potevo, non sono stato inutile nella vita, questo mi basta. —
X.
Che idea mi passa pel capo, ora che sto per finire! Vorrei aver qui un giovinotto di diciasette anni, d'indole bona e di costumi gentili, ma poco esperto, come a quell'età siam tutti, del cuore umano; e mettendogli una mano sulla spalla, dirgli amichevolmente: — Vuoi tu procurarti fin d'ora un argomento di pace e di serenità per l'avvenire? Tratta i tuoi amici cogli stessi riguardi che useresti a una donna, perchè, credi, non v'è offesa o parola amara o atto sgarbato fatto ad alcuno di loro (sia pure scusabile e venga pure per lungo tempo dimenticato) che un giorno non ritorni alla memoria, e non rincresca, e non turbi. Dopo molti anni, ricordando i miei amici lontani, mi rammento d'uno screzio che ci fu tra me e un di loro, di qualche motto pungente che ricambiai con un altro, del proposito fatto e mantenuto per molti mesi di non rivolgere la parola ad un terzo; — fanciullaggini; — eppure, quanto sarei contento di non avere alcuna di queste fanciullaggini da rimproverarmi! E benchè io sia sicuro che non hanno lasciato traccia negli altri più che in me, quanto desidero sempre che si presenti un'occasione di poter assicurarmene meglio, dissipando quell'ultima ombra leggerissima che, per caso, vi fosse rimasta! Quando s'arriva a quell'età in cui comincia ad apparir vicino il termine della gioventù, e si pensa agli anni passati così presto, e agli altri che passeranno più presto ancora, e al pochissimo bene che s'è fatto, e al pochissimo che ci resterà ancor tempo di fare, quel sentimento d'orgoglio, che ci rese qualche volta duri e incresciosi agli amici, ci sembra una così meschina, risibile e spregevole cosa, che, se si potesse, si tornerebbe indietro per riprendere daccapo tutte le discussioni col tono più soave della nostra voce, per porgere tante volte la mano in atto di chieder pace, quante sono le scrollate di spalle che si diedero pel passato; per cercare gli amici offesi, guardarli negli occhi, e dir loro:
— Non c'è più nulla, non è vero?... —
XI.
Cari amici! Non foss'altro che perchè vidi con voi, per la prima volta, tutta la mia patria, come potrebbe il mio pensiero non correre sempre a voi, e il mio cuore non desiderarvi? Quando dal bastimento vidi biancheggiare lontano la immensa curva del golfo di Napoli, e giunsi impetuosamente le mani, e risi, e pensai a mia madre, ed esclamai: — È un sogno! — ; quando di sulla cima del colle del Noviziato abbracciai, per la prima volta, con uno sguardo solo, la città di Messina, lo stretto, gli Appennini, il Capo Spartivento, e dissi tra me, con un sentimento quasi di tristezza: — Qui finisce l'Italia! —, quando sulla vetta di Monte Croce vidi per la prima volta, di là dalla vasta campagna brulicante di reggimenti tedeschi, le torri di Verona, e tesi le braccia con uno slancio di gioia, gridando come se temessi che ci fuggissero: — Aspettate; — quando vidi per la prima volta, di sull'argine di Fusina, lontana, azzurra, fantastica, la città di Venezia, esclamai colle lagrime agli occhi: — Divina! — quando scorsi per la prima volta, dall'altura di Monterotondo, Roma, circondata dal fumo delle nostre batterie, ed esclamai con un fremito: — È nostra! — sempre ebbi accanto qualcuno di voi, che, preso dalla stessa commozione, mi afferrò per un braccio, mi scosse, e mi disse: — Com'è bella l'Italia! — ; sempre qualcuno di voi che alternò con me le risa, le lagrime, i versi! Non v'è punto d'Italia, nè caso lieto, nè commozione profonda, di cui io mi ricordi, senza che mi paia di sentire il suono d'una sciabola, che dice: — Son qui! — senza che mi paia di stringere la mano d'uno di voi, senza che io mi domandi dove quest'uno si trovi, e che cosa faccia, e che cosa pensi, e se rammenti egli pure i bei giorni passati insieme. Oh! potrò incontrare nella vita un gran numero di altri amici intimi, fedeli, generosi, di cui mi si presentino in folla, ogni momento, le immagini sorridenti; ma di là da questa folla, di sopra a tutte quelle teste, lontano, vedrò sempre ondeggiare i vostri pennacchi e luccicare i numeri dei vostri berretti; e mi slancerò sempre verso di voi per dirvi: — Parliamo del nostro collegio, dei nostri viaggi, di guerra, di soldati, d'Italia. —
XII.
Certo una gran parte di noi, antichi compagni di collegio, arriveremo a vedere il secolo XX. Strana idea! Capisco bene che si passerà dal mille novecento al novecento uno, come si sarà passati dal novantanove al cento, e come si passa da quest'anno al venturo. Eppure, mi sembra che allo spuntare del primo giorno del nuovo secolo si dovrà provar la sensazione di colui che, giunto sulla vetta di un'alta montagna, vede dinanzi a sè nuove terre e nuovi orizzonti. Mi pare che quella mattina ci si dovrà rivelare qualcosa d'impreveduto e di meraviglioso; che ci prenderà un senso quasi di spavento del trovarci tanto innanzi; che ci parrà d'essere stati lanciati da una forza arcana da un orlo all'altro d'un abisso smisurato. Fantasie! Io presento bene quello che saremo noi in quegli anni; e non solo lo presento, lo vedo. Vedo una sala con un camminetto in un canto, o meglio molte sale con molti camminetti, e molti vecchi davanti al fuoco, seduti sur una poltrona, col mento sul petto; e poco più in là un