Alla finestra. Enrico Castelnuovo

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Название Alla finestra
Автор произведения Enrico Castelnuovo
Жанр Языкознание
Серия
Издательство Языкознание
Год выпуска 0
isbn 4064066069612



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che consegnava a un uomo maturo il vaso d'erbarosa.

      Ella ebbe appena la forza di chiedere: — O non viene oggi il signor Carletto?

      La donna, sgarbata secondo il suo costume, scrollò le spalle senza rispondere, ma l'incognito prese egli la parola. — No sicuro, non viene oggi e non sa quando verrà.... Per questo ha mandato a prendere il vaso d'erbarosa.

      — Ma che cos'ha?

      — Febbre e tosse.... Un affar lungo.

      — Ma non mica serio?

      — E chi può dir nulla? È attaccato al petto.

      E, salutata la Gegia, si allontanò.

      Ella, sopraffatta dal dolore, colse appena un frammento di dialogo tra la fantesca e il messaggero di Carletto.

      — Chi è quella ragazza?

      — Oh un bel feudo!... Ha perdute le gambe.

      La Gegia non aveva tempo di sentirsi mortificata da queste parole; il suo pensiero era corso alla camera ove languiva il solo uomo che per un istante aveva mostrato di provar per lei qualche cosa di più che un sentimento di sterile compassione... Oh così avesse potuto volare ella stessa a soccorrerlo, a vegliarlo! Così avesse potuto morire in vece sua, morire sotto i suoi occhi, ridonandogli la vita e la sanità! Che faceva ella nel mondo? A chi era necessaria? Non al padre, non alla zia; egli invece aveva una vecchia genitrice di cui era il solo conforto, egli poteva ancora trovare qualcheduno che lo amasse!

      La tormentava inoltre l'idea delle strettezze in cui Carletto si trovava sicuramente. Poveretto! Se la sua malattia era lunga, come ne avrebbe sopportato le spese? Ed ella ripensò alla moneta donatale dalla Lotte; a che opera buona l'avrebbe destinata se non a questa di soccorrere Carletto e la sua mamma?

      Il sabato, quando il vecchio Menico venne da lei come il solito, ella lo supplicò di ascoltarla con pazienza e di prepararsi a darle una prova del suo affetto per essa. Gli raccontò la storia del napoleone d'oro, il voto ch'ella aveva fatto d'impiegarlo un dì o l'altro in tal cosa che le facesse perdonare a sè medesima il modo in cui lo aveva ricevuto; gli parlò di Carletto, della sua malattia, dei suoi imbarazzi economici e del bisogno ch'ella sentiva di essergli utile. Finchè era sano, ella non aveva avuto il coraggio di offrirgli nulla, ma adesso ch'era infermo, ogni esitanza le sarebbe parsa colpevole, ed era certa che Carletto non avrebbe rifiutato un aiuto da lei. Perciò, s'era vero ch'egli le voleva bene, egli stesso, il signor Menico, doveva assumersi quest'ufficio delicato, doveva andare da Carletto, informarsi della sua salute, vederlo e fargli accettare quel po' di denaro. No, s'egli stava in forse di compiacerla, ella non avrebbe più creduto nemmeno a lui, avrebbe detto, povera disgraziata, che nessuno, nessuno aveva pietà di lei sulla terra, Menico, ch'era di cuor tenero, finì col cedere e adempiette così bene all'incarico che la Gegia gli sarebbe saltata al collo se il saltare fosse stato cosa da lei. Quand'egli le disse che a parer suo Carletto non istava poi tanto male come si voleva far credere, quando le soggiunse che il suo napoleone era stato accolto con lagrime di riconoscenza e aveva risparmiato alla madre del giovine la necessità d'impegnare un filo d'oro ereditato da suo marito, la Gegia si sentì quasi felice. È pur vero che noi non possiamo sbarazzarci affatto dell'amor di noi stessi nemmeno negli slanci più generosi dell'animo, e la soddisfazione di lenire un dolore altrui ci fa sovente dimenticare che sarebbe assai meglio che questo non ci fosse.

      Di lì ad alcune settimane il signor Menico tornò a visitare l'infermo. Aveva ancora la tosse e un filo di febbre, ma era pieno di speranze. La finestra della sua cameretta era spalancata, e il sole veniva a lambire il suo letticciolo, e le dolci aure di primavera accarezzavano la sua fronte.

      — Che cosa le mandi a dire alla Gegia? — chiese a Carletto la vecchia madre che gli sedeva vicino e lo guardava teneramente.

      — Che sto meglio, e che mi alzerò domani e uscirò presto di casa giacchè ormai siamo in aprile e non ho più paura.

      — Oh sì — soggiungeva la madre. — La primavera è un gran balsamo per te.

      — Chi sa, domenica forse — ripigliò il malato appoggiandosi su un gomito — potrò andare a messa... E chi sa che non mi spinga fino dalla Gegia...

      — Bada — interruppe la vecchia — non troppe cose in una volta. Ci andrai lunedì dalla Gegia... E bisogna che tu vada anche dall'avvocato...

      — Sicuro; perchè egli mi passa sempre lo stipendio e mi conserva l'impiego... Insomma, o domenica o lunedì, se dura questo bel tempo la signora Gegia mi vedrà senza fallo.

      Il buon Menico, nel riferire questi discorsi alla ragazza, tentennava un po' la testa, come a significare ch'egli non credeva a questa rapida guarigione; ma la Gegia gli diceva che egli era sempre stato un pessimista ed ella aspettava senza fallo Carletto per lunedì. Non isperava nulla per sè, non s'illudeva più nel bel sogno d'essere amata: le bastava rivederlo.

       Indice

      Senonchè, fino dalla mattina di quel lunedì atteso con tanta impazienza ella s'accorse che per quel giorno almeno le era forza rinunziare alla visita del convalescente. La temperatura s'era abbassata da un punto all'altro; pareva tornato l'inverno. Veniva giù un'acqua fitta, spirava un vento freddo che soffiando di tratto in tratto più forte faceva sbatter le imposte e moveva in giri capricciosi il fumo dei camini. Oppressa da una malinconia tetra, invincibile, la Gegia non trovava il verso di mettersi al lavoro. Ella stava immobile a sentir lo scroscio della pioggia, a guardar le goccioline che si formavano dietro i vetri della sua finestra chiusa e colavano a guisa di lagrime. E pensava a Carletto che aveva tanto bisogno del sole e a cui forse una giornata come questa ritardava di qualche settimana la guarigione... Forse egli era rimasto a letto, forse contemplava anch'egli mestamente il cielo color della cenere e si ravvolgeva entro le povere coltri per ripararsi dall'aria umida che penetrava nella sua camera attraverso le imposte sconnesse.

      Assorta nelle sue tristi fantasie, la ragazza non sentì bussare una prima volta alla porta. Quando si bussò di nuovo:

      — Chi è? — ella chiese in sussulto.

      — Amici. Non istà qui una signora Gegia?

      — Sì — ella rispose e tirò il cordone.

      Entrò un ometto di bassa statura con un pastrano che gocciolava da tutte le parti e sotto il quale pareva ch'egli nascondesse qualche cosa. La fisonomia non era nuova alla Gegia, ed ella che vedeva così poca gente, non tardò a riconoscerlo per la persona a cui la serva dell'avvocato Galeni aveva consegnato il vaso d'erbarosa. Egli veniva senza dubbio da parte di Carletto, ed è facile immaginarsi come battesse in quel momento il cuore della povera paralitica.

      — Ah! Ho avuto il piacere di vederla un'altra volta — soggiunse il nuovo arrivato, levandosi il berretto e scuotendolo in modo da spruzzar d'acqua i mattoni del pavimento. — Sant'Antonio Abate! Che brutto tempo... Basta; ho un incarico poco allegro per questa signora Gegia... È lei, non è vero?

      — Sono io!... Che c'è mai?

      — Un incarico di Carletto.

      — Di Carletto! — esclamò la ragazza impallidendo. — E come sta?

      — Eh, sta meglio di noi adesso.

      — Ma si spieghi... per carità... non mi faccia credere...

      — Cara la mia tosa, ci vuol pazienza... Il Signore lo ha chiamato a sè.

      — Morto? — gridò la Gegia. — Morto?

      — Pur troppo. Stamattina alle 9.

      — Oh Dio!

      — È morto come un santo...

      — Ma non istava meglio?

      — Era spedito dal medico da un pezzo, ma son di quei mali!... Ancora ieri s'è