Название | Dal primo piano alla soffitta |
---|---|
Автор произведения | Enrico Castelnuovo |
Жанр | Языкознание |
Серия | |
Издательство | Языкознание |
Год выпуска | 0 |
isbn | 4064066071950 |
—Fate voi.... Purchè non si tratti di vendere.... Vendere significa diminuire il patrimonio, e io voglio tramandarlo intatto a mio figlio.
Esposta questa savia massima amministrativa, il conte Zaccaria prese la eroica risoluzione di raccomandare alla sua illustrissima consorte una maggiore economia nelle spese di casa, e citò a sostegno della sua tesi gli avvertimenti del defunto genitore e quelli dell’agente generale.
La signora Chiaretta, donna ordinariamente molto fredda ed apatica, fu punta sul vivo dalle considerazioni del marito, e gli rispose per le rime. Ella disse prima di tutto che si maravigliava molto che si venissero a raccontare a lei queste storie; che se da più secoli gli uomini della famiglia non avevano avuto giudizio, ella non sapeva che farci, e se Sua Eccellenza Almorò, quand’era ambasciatore a Parigi, spendeva 120 mila franchi all’anno, e Sua Eccellenza Zaccaria per festeggiare la sua nomina a Procuratore aveva gettato 20 mila ducati bisognava prendersela con Sua Eccellenza Almorò e con Sua Eccellenza Zaccaria, e non con lei. Del resto, quand’ella, l’ultima degli Orseolo, era entrata in casa Bollati aveva creduto di entrare in una casa di gran signori, e non era disposta affatto a vivere di pane e di noci. A ogni modo ella sarebbe stata curiosa di sapere quali risparmi si potevano fare.—Perchè—ella continuava rispondendo da sè alla propria domanda—non pretenderete mica che si stia senza gondola.
—Sfido io.... Nemmen per sogno.
—O che si licenzi il cuoco?
—Ma chi dice questo?
—O che io mandi a spasso la cameriera?
—Ma no, ma no.
—O che rinunzi al palco alla Fenice?
—Nemmen per idea.
—O che mi vesta come una serva?
—Via, Chiaretta, nessuno pretende una roba simile.
—Che cosa si pretende adunque? Che si dia il benservito al precettore di Leonardo, e che si mandi il ragazzo alla scuola pubblica?
—Ci mancherebbe altro! Un Bollati alla scuola pubblica?... In mezzo alla marmaglia?
—Lo vedete voi stesso, è chiaro come la luce del sole che meno di quel che si spende non si può spendere.... almeno per parte mia. Se voi sprecate il danaro senza discernimento....
—Io!—interruppe scandalizzato il conte Leonardo. E allora toccò a lui di provare come due e due fan quattro che sulle sue spese particolari non c’era da risecare un centesimo, mentre non si poteva certo pretendere che un Bollati non appartenesse al Casino dei nobili, e non avesse un posto nel palcone di società in tutti i teatri, e non frequentasse il caffè, e si tirasse indietro dal giuocare una partita a tre sette per paura di perdere qualche zecchino.
La contessa Chiaretta avrebbe voluto dire che tutte le spese del marito non finivano lì, ma tacque per ispirito di conciliazione.
Dopo questo colloquio pareva che le cose dovessero restar al punto in cui erano prima; nondimeno i due coniugi, ritornando sull’argomento, ebbero uno slancio sublime, e mostrarono di quanta abnegazione fosse capace l’animo loro. Sua Eccellenza Chiaretta, che prendeva sei tazze di cioccolata al giorno, deliberò di sacrificarne una, e il conte Zaccaria, sempre fermo nell’idea di lasciare intatto il patrimonio al figliuolo, immolò sull’altare della famiglia un bicchierino di curaçao, ch’egli soleva centellare dopo colazione.
IV.
Chi, nei giorni immediatamente successivi alla morte del N. H. Leonardo, fosse penetrato in qualche caffè di Venezia avrebbe sentito un dialogo simile a questo:
—Dunque si sa precisamente quel che abbia lasciato Bollati?
—Ma no, nulla di preciso... L’azienda diretta da quel famosissimo sior Bortolo è in una confusione da non credersi.
—Oh c’è da scommettere che anche quelli lì finiscono coll’andare in rovina....
—Via, prima della rovina ci vorrà qualche annetto.
—Non tanto, non tanto; quando si comincia, si va giù a precipizio.
—Che pessimisti! Il vecchio conte, se badiamo alle sue disposizioni testamentarie, non aveva di queste paure.
—Oh se le aveva!... Le disposizioni testamentarie non significano nulla.... È positivo che prima di morire egli fece una predica al figliuolo e gli pronosticò una catastrofe se non restringeva le spese.
—Bellissima! E poi lasciò tutti quei legati?
—Boria postuma.
—Contraddizioni umane.
—È vero—chiedeva qualcheduno—che i Geisenburg sono partiti su tutte le furie il giorno dopo i funerali?
—Verissimo. È innegabile che il conte Leonardo li trattò un po’ male. Non nominò nemmeno nel suo testamento il marchese Ernesto, e alla nipote lasciò un anello di nessun valore.
—Il conte Leonardo aveva sempre veduto di mal occhio questo matrimonio.
—E aveva ragione. O che non c’erano meglio partiti a Venezia?
—Quel marchese con la sua prosopopea è insoffribile.
—È poi così ricco come si vanta di essere?
—Nemmen per sogno.... Molto fumo e poco arrosto. Già quando c’è il vizio del gioco non c’è fortuna che basti.
—Il gioco, il vino e i cavalli—soggiungeva un altro.—Tre cose che costano un occhio.
—E lei, la marchesa, sciupa una moneta in toilettes.
—Sì, con quel frutto.... Pare la bambola di Francia.
E si seguitava di questo tuono, tagliando i panni addosso al marchese Ernesto e alla marchesa Maddalena, che, per vero dire, erano antipatici a tutti. Noi, che non dobbiamo occuparci dei fatti loro, li lasceremo in balìa dei loro detrattori e vedremo che cosa pensino del testamento del conte Leonardo quei parenti dei Bollati, a cui già accennammo più volte, i Rialdi.
Anche i Rialdi erano stati delusi nella loro aspettazione. Si ripromettevano una bella sommetta e avevano avuto invece un legatino piccolo piccolo. Il conte Luca soffiava in silenzio (era il suo modo d’esprimere il malcontento), ma la contessa Zanze, quando non c’era presente la figliuola, non resisteva alla tentazione di darsi uno sfogo.
—Avete visto?—ella diceva al pacifico marito.—Valeva la pena di aver fatto la vita che s’è fatta in questi ultimi giorni, valeva la pena ch’io aiutassi il flebotomo a metter, con riverenza parlando, le sanguisughe a quell’empiastro del conte Leonardo, per esser poi trattati come parenti lontani che vanno a palazzo a ogni morte di papa o come estranei che non hanno altro merito che quello di recitar quattro versi nelle feste di famiglia?... Quattromila lire venete una volta tanto.... Una miseria!... E invece le migliaia di ducati all’Ospitale, alla Casa di Ricovero, agli Orfanotrofi, agli Asili d’infanzia, ai Catecumeni, o che so io... tutto per aver gli articoli della Gazzetta e le lapidi nei vari istituti.... Come se il morto leggesse quegli articoli e le iscrizioni di quelle lapidi!... Ma il dispetto maggiore me lo fanno quelle pensioni ad agenti e a servitori... dopo che il conte Leonardo ha detto lui stesso che tutti rubano in casa sua.... Se rubano!... Quel sior Bortolo peggio degli altri.... Sempre così mellifluo, sempre così cerimonioso... lustrissimo, lustrissima, e inchini, e baciamano, e proteste di devozione, e intanto s’empie le tasche di ben di Dio.... E i fattori di campagna?... Che cere da Patriarchi!... Bianchi e rossi da fare allegria.... Rendono