L'Ultima Opportunità. Maria Acosta

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Название L'Ultima Opportunità
Автор произведения Maria Acosta
Жанр Детская проза
Серия
Издательство Детская проза
Год выпуска 0
isbn 9788873049616



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ammazzare persone che si erano prese cura di loro quando erano malati, che avevano voluto che facessero parte della famiglia, che si erano preoccupati della loro salute, dei loro desideri? Andava fatta giustizia, non c’era dubbio, ma non potevano capire questa vendetta cieca.

      Quindi tra gli animali c’erano quelli che erano stati sfruttati dagli uomini in maniera crudele (maiali ammazzati in maniera dolorosa, galline che erano state costrette a vivere in spazi minimi e a produrre uova come se fossero macchine, e tanti altri atti atroci) e quelli che avevano avuto una vita più libera (maiali che avevano goduto liberi in campagna, galline che avevano mangiato cose più naturali di quello schifo di cibo industrializzato, mucche che avevano un nome e che vivevano con un po’ di libertà); esisteva un altro gruppo di animali che dovevano agli uomini la loro esistenza: gli animali selvaggi che vivevano liberi con l’aiuto degli uomini che rischiavano la loro vita nella lotta contro i bracconieri, o in una riserva naturale con altri animali; o ancora quelli che erano stati riscattati dai padroni crudeli, come gli elefanti che lavoravano in India, gli orsi con l’anello al naso, i leoni e altri grandi felini, drogati in modo tale che i turisti potessero posare per le foto. Come agire con queste persone buone che avevano fatto tutto il possibile per toglierli da questa vita? Insomma, l’idea venne espressa da Manlio alla sua famiglia, e man mano si estese fino ad arrivare a tutti gli animali che erano stati riscattati, un gruppetto clandestino all’interno di un gruppo enorme che cercava soltanto vendetta e distruzione. Senza esitazioni si misero in moto.

      Nel frattempo, fuori da qualsiasi controllo, alcuni animali facevano giustizia sommaria: in America, da Nord a Sud, i cani che erano stati costretti a lottare tra di loro, decisero di combattere tutti insieme contro gli uomini che avevano scommesso sulla loro vita. Anche i galli ebbero la stessa idea e smisero di combattere tra loro per attaccare gli umani. È chiaro che molti di essi non riuscirono a sopravvivere ma quelli che ce la fecero si sparsero ovunque e raccontarono a chi voleva ascoltarli quello che avevano fatto. Naturalmente gli uomini cercarono di difendersi da quegli attacchi e alcuni morirono per le ferite prodotte dai cani o per le infezioni che, come una piaga, producevano gli speroni dei galli, sporchi di sudiciume. Sebbene tutto fosse cominciato in America, questi fatti si propagarono per tutto il pianeta, come se gli animali avessero avuto il potere di inviare un messaggio tramite i loro cervelli ai loro congeneri. Queste scene si ripeterono in Asia e in Europa: gli uomini cercavano un nascondiglio o si difendevano come potevano dagli attacchi. Ci furono morti tra gli uomini e tra gli animali. Alcuni galli morirono mentre perseguitavano i loro torturatori attraverso fiumi o laghi e alcuni uomini morirono a causa della cancrena che invase i loro muscoli, o a causa dell’idrofobia contagiata dai cani malati.

      La notizia di queste stragi si sparse fino ad arrivare ai comandanti in capo degli eserciti che, a stento, riuscirono a mettere un po’ d’ ordine in quel caos.

      Manlio e la sua famiglia, assieme agli altri animali che erano riconoscenti della benevolenza con cui erano stati trattati da alcuni umani, ce la fecero a salvare i loro benefattori. Soltanto quelli che erano già molto malati morirono, mentre il resto, guidati dagli animali, arrivarono a destinazione: un antro, una valle, la cima di una montagna. Manlio trovò una tana enorme nei dintorni della Pedriza, perfetta grazie all’entrata nascosta da alcuni cespugli. Il posto era perfetto anche per la sua famiglia, con alberi ovunque e cibo sufficiente per i cuccioli di gorilla. Poco a poco gli umani risparmiati dalle stragi arrivarono guidati da alcuni parenti di Manlio; erano frastornati, stanchi, sporchi e al limite delle forze, e nei loro sguardi si poteva leggere la paura. Manlio guardava l’arrivo dei gruppi, pensando al fatto che quelle persone non avevano fatto niente, non avevano mai ucciso un animale in maniera crudele, erano persone normali che vivevano la loro vita cercando di andare avanti, tirare su i loro figli. Che gli umani mangiassero animali non era di per sé una brutta cosa; era la natura degli animali: sopravvivere a qualsiasi costo. Tutti i carnivori lo facevano. Era un modo per mantenere l’equilibrio ecologico. Mangiare carne per sopravvivere non era un crimine: era la legge della Natura. Manlio cercava di dare un po’ di conforto a quelli che si trovavano vicini alla morte o alla pazzia. Avevano sofferto tanto in queste settimane! Erano moltissimi ma l’antro era grande e poteva essere usato come dimora, o come nascondiglio. Quando le acque della ribellione si fossero calmate forse quella sarebbe potuta diventare un’autentica casa per loro. I giorni diventarono settimane e Manlio con la sua famiglia e gli umani che vivevano con loro non erano stati disturbati. Non c’era modo di sapere cosa stava succedendo nel resto del pianeta. Lì non c’erano telefonini, né TV o computer per conoscere le ultime notizie riguardanti la ribellione. E anche se fosse stato possibile mettersi in contatto con altre comunità sarebbe stato un pericolo per la sopravvivenza di tutti. A Manlio sarebbe piaciuto sapere cosa succedeva in luoghi così lontani come il Polo Nord. Sarebbero giunte le notizie agli orsi polari e agli altri animali che vivevano così isolati dal resto del mondo? E le balene? Manlio, ogni giorno, mentre era seduto su una pietra, da dove poteva sorvegliare il percorso che portava alla pianura davanti la tana, rifletteva sull’argomento.

      Effettivamente, le notizie della Grande Ribellione erano arrivate anche al Polo Nord ma umani e animali credevano che non li riguardassero. Quella era una terra dura, difficile, quasi deserta; l’equilibrio naturale era stato sempre importante e, tranne qualche stolto che cercava di far fortuna con le pelli dei cuccioli di foca, fuggiti a gambe levate inseguiti da una mandria di orsi stufi di quei briganti, il rapporto tra umani e animali era sempre stato stabile.

      Renato e Renata, due gemelli di orso polare (una vera meraviglia a dire il vero) erano giovani e curiosi, giocavano spesso sulla neve rincorrendosi facendo finta di essere arrabbiati. In realtà i due fratelli si volevano bene e godevano di questi momenti insieme. Era fantastico vedere due giganti di 250 chili scivolare sulla neve. Quel giorno Renato e Renata decisero di andare al mare. Di solito giocavano in prossimità della riva ma oggi volevano salire su un iceberg e cercare di fare quello che avevano visto fare ai loro amici umani: remare.

      All’inizio tutto era andato liscio. Era così piacevole vedere i loro parenti sulla terraferma mentre loro credevano di essere su una nave, del tutto simile a quelle che ogni tanto vedevano da lontano! Dal momento della loro nascita la loro mamma gli aveva nascosto questo genere di cose. Improvvisamente, quel grande pezzo di ghiaccio, che si era spostato così piacevolmente, cominciò a muoversi da destra a sinistra e a girare su sé stesso. Scorreva veloce sull’acqua come fosse una balena furibonda. Cosa stava succedendo? A volte il pezzo di ghiaccio si immergeva verso sinistra, a volte verso destra. Renato e Renata non capivano niente. Cercarono di non cadere in acqua dal momento che si erano resi conto che la terraferma era molto lontana. Certo che sapevano nuotare ma non erano convinti che sarebbero riusciti ad arrivare a riva. La terraferma era sparita dalla loro vista. Non sapevano come agire. Era chiaro che stavano andando verso sud ma non avevano la più pallida idea di dove sarebbero arrivati. Finalmente l’iceberg si stabilizzò e tornò a muoversi con calma. Renato e Renata si guardarono intorno: acqua, acqua e ancora acqua. Erano rimasti da soli nel mezzo dell’oceano.

      -“La mamma ci ammazza” –disse Renata, che era stata la prima a riprendere a parlare.

      -“Se riusciamo a tornare” –rispose Renato.

      -“Cos’è quello?”

      -“Dove?” –chiese l’orso maschio seguendo la direzione che mostrava la zampa della sorella.

      -“Proprio lì”- insisté lei.

      Renato vide delle ombre molte lontane. Rimasero a guardare le ombre un bel po’ fino a che videro sgorgare dall’acqua due forti getti verso il cielo.

      -“Balene! Sono balene!” –urlò Renata.

      -“E questo ti fa felice?”

      -“Sei un cretino. Le balene viaggiano vicino alla costa. Se riusciamo ad arrivare fin lì vedremo la terraferma.”

      -“E poi?” –chiese Renato che non era per niente convinto che quella fosse una buona idea.

      -“Ci penso io.”

      Renato tacque. Sua sorella aveva sempre ragione. E così si sedettero sul bordo dell’iceberg e con l’aiuto delle loro zampe cominciarono a remare verso quel punto così lontano.

      Ci misero un sacco