Божественная комедия / Divina commedia. Данте Алигьери

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Название Божественная комедия / Divina commedia
Автор произведения Данте Алигьери
Жанр Зарубежная драматургия
Серия Легко читаем по-итальянски
Издательство Зарубежная драматургия
Год выпуска 2015
isbn 978-5-17-088902-0



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убивать

      vagliare – просеивать

      valle f — долина

      veltro m — борзая

      verace – правдивый

      vista – зрение, вид

      volto – лицо, лик

      Canto III

      ‘Per me si va ne la città dolente,

      per me si va ne l’etterno dolore,

      per me si va tra la perduta gente.

      Giustizia mosse il mio alto fattore;

      fecemi la divina podestate[24],

      la somma sapïenza e ‘l primo amore.

      Dinanzi a me non fuor cose create

      se non etterne[25], e io etterno duro.

      Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.

      Queste parole di colore oscuro

      vid’ ïo scritte al sommo d’una porta;

      per ch’io: “Maestro, il senso lor m’è duro”.

      Ed elli a me, come persona accorta:

      “Qui si convien lasciare ogne sospetto;

      ogne viltà convien che qui sia morta.

      Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto

      che tu vedrai le genti dolorose

      c’hanno perduto il ben de l’intelletto[26]”.

      E poi che la sua mano a la mia puose[27]

      con lieto volto, ond’ io mi confortai,

      mi mise dentro a le segrete cose.

      Quivi sospiri, pianti e alti guai[28]

      risonavan[29] per l’aere sanza stelle,

      per ch’io al cominciar ne lagrimai.

      Diverse lingue, orribili favelle,

      parole di dolore, accenti d’ira,

      voci alte e fioche, e suon di man con elle

      facevano un tumulto, il qual s’aggira

      sempre in quell’ aura sanza tempo tinta,

      come la rena quando turbo[30] spira.

      E io ch’avea d’error la testa cinta,

      dissi: “Maestro, che è quel ch’i’ odo?

      e che gent’ è che par nel duol sì vinta?”.

      Ed elli a me: “Questo misero modo

      tegnon l’anime triste di coloro

      che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo.

      Mischiate sono a quel cattivo coro

      de li angeli che non furon ribelli

      né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro[31].

      Caccianli i ciel per non esser men belli,

      né lo profondo inferno li riceve,

      ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli[32]”.

      E io: “Maestro, che è tanto greve

      a lor che lamentar li fa sì forte?”.

      Rispuose: “Dicerolti[33] molto breve.

      Questi non hanno speranza di morte,

      e la lor cieca vita è tanto bassa,

      che ‘nvidïosi son d’ogne[34] altra sorte.

      Fama di loro il mondo esser non lassa[35];

      misericordia e giustizia li sdegna:

      non ragioniam[36] di lor, ma guarda e passa”.

      E io, che riguardai, vidi una ‘nsegna

      che girando correva tanto ratta,

      che d’ogne posa mi parea indegna[37];

      e dietro le venìa sì lunga tratta

      di gente, ch’i’ non averei creduto

      che morte tanta n’avesse disfatta.

      Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,

      vidi e conobbi l’ombra di colui

      che fece per viltade[38] il gran rifiuto.

      Incontanente intesi e certo fui

      che questa era la setta d’i cattivi,

      a Dio spiacenti e a’ nemici sui.

      Questi sciaurati[39], che mai non fur vivi,

      erano ignudi e stimolati molto

      da mosconi e da vespe ch’eran ivi.

      Elle rigavan[40] lor di sangue il volto,

      che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi

      da fastidiosi vermi era ricolto[41].

      E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,

      vidi genti a la riva[42] d’un gran fiume;

      per ch’io dissi: “Maestro, or mi concedi

      ch’i’ sappia quali sono, e qual costume

      le fa di trapassar parer sì pronte,

      com’ i’ discerno per lo fioco lume”.

      Ed elli a me: “Le cose ti fier conte

      quando noi fermerem li nostri passi

      su la trista riviera d’Acheronte”.

      Allor con li occhi vergognosi e bassi,

      temendo no ‘l mio dir li fosse grave,

      infino al fiume del parlar mi trassi.

      Ed ecco verso noi venir per nave

      un vecchio[43], bianco per antico pelo,

      gridando: “Guai a voi, anime prave!

      Non isperate[44] mai veder lo cielo:

      i’ vegno per menarvi a l’altra riva

      ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo.

      E tu che se’ costì, anima viva,

      pàrtiti



<p>24</p>

podestate = podestà

<p>25</p>

se non etterne – Prima dell’Inferno furono create soltanto cose eterne: angeli, cieli, materia pura ed elementare.

<p>26</p>

il ben de l’intelletto – il bene di vedere Dio; che é il sommo per l’umano intelletto.

<p>27</p>

puosare = posare

<p>28</p>

guai – guaiti, urla bestiali

<p>29</p>

risonare

<p>30</p>

turbo = torbido

<p>31</p>

fuoro = furono

<p>32</p>

elli = egli

<p>33</p>

dicerolti = te lo dirò

<p>34</p>

ogne = ogni

<p>35</p>

non lassa – non lascia, non permette che duri

<p>36</p>

ragionare

<p>37</p>

indegna – incapace d’ogni riposo

<p>38</p>

viltade = viltà

<p>39</p>

sciaurato = sciagurato

<p>40</p>

rigare

<p>41</p>

ricolto = raccolto

<p>42</p>

a la riva – è l’Acheronte, Il primo dei fiumi infernali, descritto da Virgilio nel suo poema.

<p>43</p>

un vecchio – è Caronte, pilota della navicella infernale.

<p>44</p>

isperare = sperare