Gli ultimi flibustieri. Emilio Salgari

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Название Gli ultimi flibustieri
Автор произведения Emilio Salgari
Жанр Зарубежная классика
Серия
Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
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e la ronda è venuta a chiedermi che cosa ne ho fatto.

      – Bisogna farlo sparire, – disse Mendoza.

      – Cacciarlo dentro la botte di Xeres?

      – Almeno là non andranno a cercarlo.

      – Io ho trovato di meglio, – rispose il guascone.

      – Di’ su.

      – Voglio farvi fare la parte dei fantasmi.

      – Sei pazzo, don Barrejo?

      – Vi dico che se non riusciamo a spaventare quei tre poliziotti, le nostre faccende finiranno male, poiché intendono di fare una visita minuziosa alla mia casa ed alla cantina, per cercare quel maledetto Pfiffero.

      – Che cosa vuoi che facciamo? – chiese Mendoza, a cui sorrideva l’idea di far la parte dello spauracchio.

      – Vi ho portato qui delle tovaglie che indosserete quando l’ufficiale e gli alabardieri scenderanno. All’estremità della cantina poi vi sono dei ferrivecchi e vi troverete anche delle catene.

      “Fingetevi spettri o diavoli e vedrete che corsa prenderà la ronda!”

      – Risali? – chiese Mendoza.

      – Devo portare sopra un paio di bottiglie ancora, che faranno girare completamente la testa a quei brav’uomini.

      “Fra un quarto d’ora cominciate a rumoreggiare. Io rispondo di tutto.”

      – E se quei tre poliziotti non credessero affatto ai fantasmi? – chiese Buttafuoco.

      – Tonnerre!… Allora impegneremo risolutamente la lotta e nessuno di loro uscirà vivo dalla cantina, – rispose il guascone. – Vi lascio il lume che vi raccomando di spegnere dopo che avrete ben nascosto dietro le botti quel Pfiffero ubbriacone.

      Il bravo taverniere passò in rivista la sua biblioteca, formata di bottiglie di prima marca, almeno cosí assicurava lui, ne prese due che sembravano molto venerande e risalí la scala, impugnando la draghinassa.

      L’ufficiale stava in quel momento accarezzando il mento della bella castigliana. Don Barrejo finse di non vedere nulla e si precipitò verso il tavolo, sbuffando come una foca.

      – Pepito mio! – gridò Panchita, fingendosi spaventata. – Che cos’hai?

      – Io non so, – rispose il guascone, deponendo sul tavolo le due bottiglie, – ma dopo la comparsa di quell’uomo vestito di nero e dai capelli biondi e la sua scomparsa misteriosa, succedono qui certe cose che mi impressionano profondamente, moglie mia.

      I tre soldati erano diventati un po’ pallidi, cosa d’altronde non sorprendente in quei tempi, in cui tutti credevano alle apparizioni dei diavoli, dei folletti, delle streghe e degli spettri.

      – Che cosa avete veduto? – chiese l’ufficiale.

      – Posso essermi ingannato, eppure giurerei di aver scorto, all’estremità della cantina, una figura bianca che danzava intorno alla mie botti.

      – Volete spaventarci, taverniere?

      – Niente affatto, signor ufficiale. Non vi pare che io sia pallidissimo?

      – Veramente lo eravate anche prima.

      – No, perché la mia pelle è sempre abbronzata, è vero, Panchita?

      – Verissimo, – rispose la castigliana, la quale si studiava di secondare il marito, senza sapere che cosa stava per succedere.

      – Mi viene un sospetto, signor ufficiale, – riprese il guascone, il quale stava sturando le due bottiglie.

      – Quale?

      – Che quell’uomo vestito di nero non fosse affatto un buon cristiano e che invece di uscire dalla porta si sia tramutato in uno spirito per succhiarmi tutto il vino della mia cantina.

      – Che storie ci narrate, taverniere? – chiese l’ufficiale. – Io ho conosciuto quel signore e vi posso garantire che è un buon cattolico, poiché il marchese di Montelimar non prende ai suoi servigi degli eretici.

      – Il marchese di Montelimar! – esclamò don Barrejo. – Chi è?

      – Alto là, taverniere, – rispose l’ufficiale. – Voi non avete il diritto di conoscere i segreti della polizia di Panama.

      – Allora beviamo.

      Il guascone stava per empire i bicchieri, quando sotto terra si udirono dei rumori indistinti e tuttavia non meno impressionanti. Pareva che delle persone martellassero delle lastre di ferro, mentre altre si divertivano a trascinare catene o ferravecchi.

      L’ufficiale, i due alabardieri e Panchita erano balzati in piedi, mentre don Barrejo si lasciava cadere su una sedia, mandando un sospirone che avrebbe intenerito perfino i sassi.

      – Chi produce questo baccano? – chiese l’ufficiale, sfoderando la sua spada.

      – È l’anima dell’uomo che voi cercate, ve l’assicuro io, – disse don Barrejo. – L’ho scorto nella mia cantina.

      – Volete burlarvi di noi, taverniere?

      – Burlarvi!… Andiamo dunque a vedere!… Siamo in quattro e bene armati e anche mia moglie, se vuole, sa maneggiare benino il spiedo.

      Il guascone aveva pronunciate quelle parole con tanta gravità che le guardie della ronda erano rimaste non poco impressionate. Quella storia di diavoletti nella cantina e la scomparsa misteriosa, assolutamente inesplicabile per loro che ignoravano come fossero andate le cose, cominciava a seccarli moltissimo.

      L’ufficiale vuotò un bicchiere pieno di vecchia Malaga, che doveva fargli girare non poco la testa, poi, asciugandosi i baffi col dorso della mano, disse con voce grave, volgendosi verso i due alabardieri:

      – Noi dobbiamo compiere il nostro dovere, camerati, e riportare al signor marchese il corpo o l’anima di quel signore che è venuto qui a bere.

      “Vuotate anche voi un altro bicchiere per farvi animo e andiamo a vedere che cosa succede nella cantina di questa taverna.

      “Por Dios!… Siamo uomini d’armi!…”

      – Panchita!… – gridò don Barrejo. – Prendi lo spiedo tu e porta un altro lume.

      – Ne avevi già uno quando sei sceso nella cantina, – rispose la castigliana.

      – L’ho lasciato cadere quando mi è sembrato di vedere lo spettro dell’uomo biondo.

      – Tu finirai per diventare un don Fracassa, marito mio.

      – I miei malanni li pagano i meticci che vengono qui a bere il mezcal, tu già lo sai.

      “Siamo pronti? A me il lume e, corpo d’un cannone!… voglio battagliare cogli spettri se realmente si sono rifugiati nella mia cantina.

      “Signor ufficiale, vi prego di starmi molto vicino. Sapete… io non sono un uomo d’armi e non ho maneggiato fino ad oggi altro che bottiglie.”

      – Ci siamo noi, – rispose il capo della ronda, a cui pareva che la vecchia Malaga avesse dato un gran colpo alle gambe. – Siete pronti, alabardieri?

      – Sí, signore, – risposero i due soldati, i quali non si trovavano in migliori condizioni.

      – Partiamo e non diamo quartiere né ai diavoli, né ai folletti, né ai fantasmi. Caramba!… Metteremo a soqquadro la cantina della taverna d’El Moro.

      Ed i tre poliziotti, pieni di ardore pel troppo vino bevuto, si mossero, preceduti da don Barrejo il quale reggeva la lampada ed impugnava fieramente la sua fida draghinassa e seguiti dalla bella castigliana armata d’un formidabile spiedo.

      Capitolo III. LA CACCIA AI FANTASMI

      I quattro uomini, ben decisi a liberare la cantina della taverna d’El Moro dall’anima dell’uomo biondo e scialbo, poiché ormai anche nell’animo delle guardie era nato il convincimento che fosse qualche demonio, s’impegnarono