Alla conquista di un impero. Emilio Salgari

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Название Alla conquista di un impero
Автор произведения Emilio Salgari
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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dunque, Eccellenza. L’istoria che voglio narrarvi non sarà lunga, però vi interesserà molto. —

      Sandokan, sempre sdraiato sul divano, fumava silenziosamente, conservando una immobilità quasi assoluta.

      3. Nell’antro delle tigri di Mompracem

      – Regnava allora sull’Assam, – cominciò Yanez, – il fratello dell’attuale rajah, un principe perverso, dedito a tutti i vizi, che era odiato da tutta la popolazione e soprattutto dai suoi parenti, i quali non si sentivano mai sicuri di riveder l’alba del domani. Quel principe aveva uno zio che era capo di una tribù di kotteri, ossia di guerrieri, uomo valorosissimo che più volte aveva difese le frontiere assamesi contro scorrerie dei birmani e che perciò godeva una grande popolarità in tutto il paese.

      Sapendosi mal visto dal nipote, il quale si era fisso in capo, senza motivi però, che congiurasse contro di lui per carpirgli il trono e derubarlo delle sue immense ricchezze, si era ritirato fra le sue montagne, in mezzo ai fedeli suoi guerrieri.

      Quel valoroso si chiamava Mahur; ne avete mai udito a parlare, Eccellenza?

      – Sì, – rispose asciuttamente Kaksa Pharaum.

      – Un brutto giorno la carestia piombava sull’Assam. Quell’anno nemmeno una goccia d’acqua era caduta ed il sole aveva arsi i raccolti.

      I bramini ed i gurus indussero allora il rajah a dare in Goalpara una grandiosa cerimonia religiosa, onde placare la collera delle divinità.

      Il principe vi annuì di buon grado e volle che vi assistessero tutti i parenti che vivevano disseminati nel suo stato, non escluso suo zio, il capo dei kotteri, il quale, di nulla sospettando, aveva condotto con sé oltre la moglie, i suoi figli, due maschi ed una bambina che chiamavasi Surama.

      Tutti i parenti furono ricevuti cogli onori spettanti ai loro gradi e con grande cordialità da parte del principe regnante ed alloggiati nel palazzo.

      Compiuta la cerimonia religiosa, il rajah offrì a tutti i suoi parenti un banchetto grandioso, durante il quale il tiranno, come già gli accadeva sempre, bevette una grande quantità di liquori.

      Quel miserabile cercava di eccitarsi, prima di compiere una orrenda strage, già forse meditata da lungo tempo.

      Era quasi il tramonto ed il banchetto, allestito nel gran cortile interno del palazzo che era tutto cintato da alte muraglie, stava per finire, quando il rajah, non so con quale scusa si ritirò coi suoi ministri.

      Ad un tratto, quando l’allegria degli ospiti aveva raggiunto il massimo grado, un colpo di carabina echeggiò improvvisamente, ed uno dei parenti cadde col cranio fracassato da una palla di carabina.

      Lo stupore, causato da quell’assassinio in piena orgia non era ancora cessato, quando un secondo colpo rintronava ed un altro convitato stramazzava, bruttando col suo sangue la tovaglia.

      Era il rajah che aveva fatto quel doppio colpo. Il miserabile era comparso su un terrazzino prospiciente sul cortile e faceva fuoco sui suoi parenti. Aveva gli occhi schizzanti dalle orbite, i lineamenti sconvolti: pareva un vero pazzo.

      Intorno aveva i suoi ministri che gli porgevano ora tazze colme di liquori ed ora delle carabine cariche.

      Uomini, donne e fanciulli si erano messi a correre all’impazzata pel cortile, cercando invano un’uscita, mentre il rajah, urlando come una belva feroce, continuava a sparare facendo nuove vittime. Mahur, che era il più odiato di tutti, fu uno dei primi a cadere. Una palla gli aveva fracassata la spina dorsale.

      Poi caddero successivamente sua moglie ed i suoi due figli.

      La strage durò una mezz’ora. Trentasette erano i parenti del principe e trentacinque erano caduti sotto i colpi del feroce monarca.

      Due soli erano miracolosamente sfuggiti alla morte: Sindhia il giovane fratello del rajah e la figlia del capo dei kotteri, la piccola Surama, che si era nascosta dietro il cadavere di sua madre.

      Sindhia era stato segno a tre colpi di carabina e tutti erano andati a vuoto, perché il giovane principe, con dei salti da tigre, ben misurati, si era sempre sottratto alle palle.

      In preda ad un terribile spavento, non cessava di gridare al fratello:

      «Fammi grazia della vita ed io abbandonerò il tuo regno.

      Sono figlio di tuo padre. Tu non hai il diritto di uccidermi».

      Il rajah, completamente ubriaco, rimaneva sordo a quelle grida disperate e sparò ancora due colpi, senza riuscire a coglierlo, tanto era lesto suo fratello; poi, preso forse da un improvviso pentimento, abbassò la carabina che un ufficiale gli aveva data, gridando al fuggiasco:

      «Se è vero che tu abbandonerai per sempre il mio stato ti fo grazia della vita, ad una condizione».

      «Sono pronto ad accettare tutto quello che vorrai», rispose il disgraziato.

      «Io getterò in aria una rupia; se tu la coglierai con una palla della carabina, ti lascerò partire pel Bengala senza farti alcun male.»

      «Accetto», rispose allora il giovane principe.

      Il rajah gli gettò l’arma che Sindhia prese al volo.

      «Ti avverto», urlò il pazzo, «che se manchi la moneta subirai la medesima sorte degli altri.»

      «Gettala!»

      Il rajah fece volare in aria il pezzo d’argento. Si udì subito uno sparo e non fu la moneta bucata, bensì il petto del tiranno.

      Sindhia, invece di far fuoco sulla moneta, aveva voltata rapidamente l’arma contro suo fratello e l’aveva fulminato, spaccandogli il cuore.

      I ministri e gli ufficiali si prosternarono dinanzi al giovane principe, che aveva liberato il regno da quel mostro e senz’altro lo accettarono come rajah dell’Assam.

      – Voi, mylord, mi avete narrata una storia che qualunque assamese conosce a fondo, – disse il ministro.

      – Non il seguito però, – rispose Yanez, versandosi un altro bicchiere ed accendendo una seconda sigaretta. – Sapreste dirmi che cosa è avvenuto della piccola Surama, figlia del capo dei kotteri? —

      Kaksa Pharaum alzò le spalle, dicendo poi:

      – Chi può essersi occupato d’una bambina?

      – Eppure quella bambina era nata ben vicina al trono dell’Assam.

      – Continuate, mylord.

      – Quando Sindhia seppe che Surama era sfuggita alla morte, invece di accoglierla alla corte o almeno di farla ricondurre fra le tribù devote a suo padre, la fece segretamente vendere a dei thugs che percorrevano allora il paese per procurarsi delle bajadere.

      – Ah! – fece il ministro.

      – Credete Eccellenza che abbia agito bene il rajah vostro signore? – chiese Yanez, diventato improvvisamente serio.

      – Non so. È morta poi?

      – No, Eccellenza, Surama è diventata una bellissima fanciulla ora e non ha che un solo desiderio: quello di strappare a suo cugino la corona dell’Assam. —

      Kaksa Pharaum aveva fatto un soprassalto.

      – Dite, mylord? – chiese spaventato.

      – Che riuscirà nel suo intento, – rispose freddamente Yanez.

      – E chi l’aiuterà? —

      Il portoghese s’alzò e puntando l’indice verso la Tigre della Malesia che non aveva cessato di fumare, gli rispose:

      – Quell’uomo là innanzi a tutto, che ha rovesciato troni e che ha vinto la terribile Tigre dell’India, Suyodhana, il famoso capo dei thugs indiani, e poi io.

      L’orgogliosa e la grande Inghilterra, dominatrice di mezzo mondo, ha piegato talvolta il capo dinanzi a noi, tigri di Mompracem. —

      Il ministro si era a sua volta alzato, guardando con profonda ansietà ora Yanez ed ora Sandokan.

      – Chi