La Corona Bronzea. Stefano Vignaroli

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Название La Corona Bronzea
Автор произведения Stefano Vignaroli
Жанр Историческая литература
Серия
Издательство Историческая литература
Год выпуска 0
isbn 9788835403401



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fazzoletto di seta, copriva anche bocca e naso prima di avvicinarsi al malato, al fine di evitare di respirare gli umori cattivi da questi emessi. La prima cosa da fare era far spogliare il paziente per osservare quante pustole avesse addosso e quale fosse il loro aspetto. Se erano dure e scure, esse andavano spalmate con un unguento a base di olio canforato e ittiolo, al fine di farle ammorbidire e maturare. Le pustole dovevano infatti esplodere e far fuoriuscire il loro cattivo contenuto, chiamato dai medici con il termine di “pus”. La febbre andava invece combattuta con infusi a base di corteccia di salice e con l’applicazione di pezze bagnate sulla fronte del malato. Tutta la casa doveva essere purificata con fumigazioni ottenute dalla combustione di olio di canfora, in cui erano stati messi a macerare per alcuni giorni rametti di cipresso, buccia di melograno e cannella. Lucia sapeva bene che se l’ammalato presentava difficoltà a respirare era condannato a morte sicura. Tanto valeva chiamare un sacerdote per fargli impartire l’estrema unzione. Ma nessun religioso, primo fra tutti Padre Ignazio Amici, si prestava a portare i conforti di rito agli appestati. Avevano tutti troppo paura di rimanere contagiati a loro volta. Se invece le pustole, nel giro di alcuni giorni, di solito una settimana, si ammorbidivano e lasciavano fuoriuscire i cattivi umori, dando origine poi a cicatrici, il paziente poteva considerarsi fuori pericolo e si sarebbe avviato alla guarigione. Quando un malato di peste moriva, tutte le suppellettili, mobili, letto, coperte e tutto ciò che era venuto a contatto, direttamente o indirettamente, con la persona infetta, dovevano essere ammassati davanti alla sua dimora e dati alle fiamme. I cadaveri non potevano trovare sepoltura all’interno delle chiese, ma venivano portati in aperta campagna e seppelliti in profondità, sotto un ampio strato di terra, meglio se argillosa.

      Lucia aveva così portato aiuto a centinaia di ammalati, sia in città, che nei borghi e nelle campagne e, grazie alle precauzioni da lei prese non si era mai contagiata. Si sentiva soddisfatta, ma stanca. Percorrendo a ritroso la Via di Terravecchia, dopo essere stata a visitare un ammalato dalle parti della chiesa di San Nicolò, era dovuta passare al largo da diverse abitazioni, davanti alle quali ardevano i falò purificatori. L’aria della giornata estiva, già di per sé carica di umidità, era resa ancor più pesante dal fumo che aleggiava sulla città e in parte oscurava i raggi del sole. Giunta in Piazza della Morte, non poté evitare di pensare che, a giorni, un patibolo sarebbe stato di certo riservato alla sua ancella Mira, accusata di aver ucciso il Cardinale Artemio Baldeschi. Scacciò quel truce pensiero e si infilò dentro Porta della Rocca, guadagnando Via delle Botteghe, zona molto più gradevole e sana rispetto alle strade percorse fino a poc’anzi. Sembrava quasi che le antiche mura romane, rafforzate e ricostruite qualche decennio prima grazie all’ingegno dell’architetto Baccio Pontelli, avessero fatto da baluardo naturale all’epidemia di peste, che aveva colpito solo pochi abitanti del nucleo storico della città. Non appena guadagnato quell’ambiente confortevole, Lucia abbassò il fazzoletto attraverso cui aveva fin lì filtrato l’aria da respirare. Sciolse i capelli, lasciandoli liberi di scendere sulle sue spalle e lungo la schiene, poi con le mani diede una rassettata alla veste stropicciata. Certo, non aveva l’aspetto elegante che avrebbe imposto il suo rango, ma si sentiva più presentabile. In pochi passi raggiunse la Domus Verroni, si infilò sotto l’arco e cercò con lo sguardo Bernardino. Lo vide indaffarato a restaurare la sua bottega ma, quasi percependo il suo arrivo, fu lui il primo a chiamarla.

      «Mia Signora! Che gioia vedervi qui. Come potete rendervi conto, lavoro ce n’è tanto da fare, ma ce la sto mettendo tutta. Credo che fra non più di un mese la stamperia potrà ricominciare a lavorare a pieno regime. E tutto grazie a voi. Devo esservi davvero riconoscente per tutto quello che avete fatto per me, e la prima opera che andrò a pubblicare sarà di certo il vostro trattato sui “ Principi di medicina naturale e guarigione con le erbe”. »

      Lucia sorrise compiaciuta, ma Bernardino avvertì la forzatura di quel sorriso, che cercava di sovrastare la stanchezza che la attanagliava.

      «Ma voi, Madonna, siete davvero stanca. Non vorrei rimproverarvi niente, ma penso che sia ora che ve la facciate finita di visitare tutti questi appestati. Prima o poi vi ammalerete anche voi. Non pensate alla vostra figlia Laura? E ad Anna, che per voi è un’altra figlia? Come potrebbero fare senza di voi? Siete l’ultima Baldeschi rimasta in vita, assumetevi le vostre responsabilità, una volta per tutte! E non solo nei confronti delle bambine, ma della città intera.»

      «Oh, Bernardino, non ricominciate con le storie che devo riappropriarmi del governo della città. Ve l’ho detto: sono una donna, non me la sento di occupare un posto che è stato sempre spettante di diritto a un uomo.»

      «Non c’è un uomo di questa città che valga la metà di quanto valete voi. Ne è dimostrazione ciò che avete fatto e state facendo per gli ammalati. Ma non basta. Non potete lasciare la città in mano a dei nobili incompetenti, che lasciano che il vicario del Cardinal Cesarini faccia i suoi porci comodi, terrorizzando città e contado, e pretendendo tasse e balzelli da uomini martoriati dalla miseria e dalla pestilenza. È ora di cacciare Cardinale e vicario, e solo voi siete in grado di farlo, prendendo in mano lo scettro che vi spetta di diritto. E poi c’è Mira! Vi siete dimenticata di lei? Avevate promesso di proteggerla, e invece il processo è andato avanti. E ora, per di più, c’è l’accusa di stregoneria per lei!»

      «Cosa? Che state dicendo? Il processo nei confronti di Mira è portato avanti dal giudice civile, dal nobile Uberti, e…»

      «Padre Ignazio Amici ha raccolto le testimonianze. Sembra che, mentre il Cardinale precipitava dal balcone, qualcuno l’abbia sentito gridare “volo, sto volando”, addirittura col sorriso sulle labbra. E quindi non c’è altra spiegazione se non quella che Mira abbia stregato il Cardinale. Credo proprio che, in queste ore, la giovane sia sotto le grinfie dei torturatori della Santa Inquisizione. Magari tra qualche giorno vedremo sorgere una catasta di legna in Piazza della Morte. Beh, per noi che conosciamo la verità, non sarebbe bello assistere alla morte di un’innocente, per di più in una maniera così atroce.»

      Senza neanche ribattere, Lucia si rigirò indignata e si diresse a passo veloce verso il Torrione di Mezzogiorno. «Sia mai!», la sentì gridare Bernardino mentre si allontanava, più rivolta a se stessa che a lui. «Ho promesso che in questa città mai più nessuna donna finirà su una catasta ardente. E manterrò la mia promessa.»

      CAPITOLO 3

      

      

      

      

      

       Preparate orsù le pinze e tenaglie roventi, dopo accenderemo il rogo.

      ( Tomás de Torquemada)

      Le guardie, riconoscendo Lucia e consce della sua autorità, non ebbero il coraggio di sbarrarle il passo. La contessina, paonazza in viso, entrò come una furia nel Torrione di Mezzogiorno. Si ritrovò in un androne deserto. Ogni tanto delle grida femminili, soffocate e attutite dalle spesse mura, giungevano alle sue orecchie. Di certo già stavano torturando Mira. Non sapendo dove fosse la sala delle torture, e non riuscendo a capire da dove provenissero le urla della ragazza, spalancò la prima porta che trovò. Il giudice Uberti era seduto dietro una scrivania, assorto a esaminare scartoffie. Sopra il tavolo spiccava un libro dall’elegante copertina e dal titolo scritto in caratteri cubitali “Malleus Maleficarum”.

      «Nobile Dagoberto Uberti! Cosa significa tutto ciò? Avevate promesso di giudicare voi la mia ancella, e di essere clemente con lei. Perché, or dunque, consegnarla agli inquisitori? Avete ascoltato a suo tempo la mia testimonianza. Mira si è difesa, mio zio la stava aggredendo, e forse l’avrebbe uccisa. Lei lo ha solo ferito, e in maniera non grave. Il fatto che sia precipitato dal balcone è stato un caso, una fatalità, indipendente dalla volontà della ragazza. Ve lo ho detto e ripetuto: Mira merita una punizione, ma non la morte!»

      Il Giudice Uberti, rispetto a qualche anno addietro, ai tempi del processo contro Andrea Franciolini, era visibilmente invecchiato. Profonde rughe solcavano il suo viso, la schiena si era incurvata e, per camminare, doveva aiutarsi