Название | La Corona Bronzea |
---|---|
Автор произведения | Stefano Vignaroli |
Жанр | Историческая литература |
Серия | |
Издательство | Историческая литература |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9788835403401 |
Fu risvegliata da un insistente bussare alla porta della sua camera, che ancora non si era fatto neanche giorno. A fatica, si sollevò dal letto, si diede una sistemata alla bell’e meglio e aprì la porta di uno spiraglio, per vedere chi fosse che la disturbava a quell’ora insolita. Un giovane ragazzo, ancora imberbe, ma vestito di tutto punto in farsetto, calze braghe e con in testa un cappello dalla lunga piuma, fece una riverenza e cercò di scusarsi per l’orario, quasi balbettando.
«Scusatemi tanto, Madonna, ma quello che devo riferirvi è della massima urgenza. Mi manda il boia, dalla Piazza della Morte.»
A Lucia salì un groppo alla gola e la sua mente, da assonnata qual era, ritornò lucida all’improvviso, ricordandosi che quello era l’orario deciso per l’esecuzione capitale di Mira. Che stava succedendo? Perché mai il boia aveva mandato questo giovane a scomodarla?
«Attendi qualche istante, ragazzo. Mi rendo presentabile e sono subito da te. Accomodati in una delle seggiole lungo il corridoio. Faccio prima che posso.»
Si acconciò i capelli, indossò un abito sobrio che le concedesse libertà di movimenti, e in breve raggiunse il giovane nel corridoio.
«Allora? Cosa succede?»
«Il boia vi vuole in Piazza della Morte.»
«Perché mai?», rispose Lucia indignata. «Avevo detto chiaramente che giammai avrei voluto assistere all’esecuzione della mia ancella! Quindi, perché disturbarmi?»
«C’è un problema. L’ultimo desiderio di un condannato a morte è sacro e deve essere esaudito. Il boia non può procedere finché la vittima non sia stata soddisfatta. È una legge non scritta, ma per Gerardo, il nostro boia, è una questione d’onore.»
«E io cosa c’entro, di grazia? Quale sarebbe l’ultimo desiderio di Mira?»
«È questo il punto. La vostra ancella ha chiesto che voi le siate vicina in punto di morte. Dovete venire.»
«Non se ne parla nemmeno. Ho giurato a me stessa che non avrei mai più assistito a un’esecuzione capitale.»
«In questo caso sarò costretto ad andare a svegliare il giudice Uberti, che non ne sarà molto contento...»
Avendo capito l’antifona, e sapendo che in quei giorni era meglio non mettersi a piantare grane con le autorità della vecchia guardia, Lucia decise di seguire il giovane in Piazza della Morte. In fin dei conti, da lì a poche ore si sarebbe presentata a Palazzo del Governo e avrebbe per sempre dato il ben servito alle vecchie “cariatidi”, che ormai non avrebbero più continuato a ricoprire cariche pubbliche. Quindi era meglio non iniziare a inimicarsi giudice e quant’altri prima del tempo.
Camminando lungo via delle Botteghe nell’umidità dei primi albori, Lucia si strinse nel vestito percorsa da un brivido di freddo, nonostante si fosse già nel pieno della stagione estiva. Attraversò Porta della Rocca continuando a seguire il ragazzo che le faceva strada, ma quando intravide la sua giovane ancella, il cuore le fece un balzo, lo sentì pulsare in gola e non riuscì a trattenere le lacrime che cercavano di sgorgare dai suoi occhi. Mira aveva la testa già appoggiata sul ceppo. Il boia era lì a fianco a lei, col cappuccio in testa e la scure affilatissima poggiata in terra. Non aveva dovuto prendersi neanche la briga di raccoglierle i capelli della condannata in una coda o in una crocchia, in quanto il giorno precedente ci avevano pensato i torturatori di Padre Ignazio Amici a farglieli tagliare quasi a zero. La nobildonna si sentì addosso lo sguardo supplichevole della sua ancella e non poté fare a meno di avvicinarsi, carezzandole la nuca e avvicinando le sue labbra alla guancia della ragazza.
«Mira…»
L’ancella abbassò lo sguardo e si rivolse alla sua vecchia padrona con un filo di voce.
«Adesso posso morire felice. Ho voi qui accanto. So che mi avete risparmiato un più atroce supplizio e volevo ringraziarvi personalmente prima di morire. Pregate per me, e raccomandate la mia anima al Signore.»
Lucia prese la mano di Mira, le si avvicinò di più e le sussurrò delle parole all’orecchio, in modo che né il boia, né il ragazzo che l’aveva accompagnata potessero udire.
«Potrei risparmiarti anche questo di supplizio. Ho delle monete d’oro con me. Potrei pagare il silenzio di questi due. Posso mandare il ragazzo dal falegname a chiedergli di fare una cassa, dicendo che questo era il tuo ultimo desiderio: essere seppellita all’interno di un sarcofago. Il boia non ti ucciderà ma racconterà a tutti di averlo fatto. Gli farò riempire la cassa con delle pietre, in modo che pesi come se contenesse il tuo corpo, e la farò sistemare nei sotterranei della Chiesa della Morte. Nessuno andrà a guardarci dentro. Tu scapperai giù per la discesa e raggiungerai il convento delle Clarisse della Valle. Vestita da suora non ti riconoscerà nessuno. Lascia passare del tempo e poi allontanati da Jesi. Potrai rifarti una vita da qualche altra parte…»
«No, mia Signora. La morte non mi fa più paura. La mia vita finisce qui, oggi, su questa Piazza, su questo ceppo. Provvedete solo a che il mio corpo abbia una degna sepoltura.»
Mira rivolse lo sguardo verso Gerardo, annuendo con la testa. Il boia capì al volo. Il desiderio della condannata era stato esaudito, si poteva procedere. Lucia fece un passo indietro, lasciò la mano di Mira, mentre la scure si sollevava. Guardò gli occhi del boia attraverso i fori praticati nel cappuccio e le sembrò di scorgerli lucidi. Ma non fece in tempo a verificare la veridicità della sua sensazione, perché con un colpo secco lo strumento si abbatté sul collo della vittima. La testa rotolò sul selciato, mentre il resto del corpo fu scosso da convulsioni per alcuni brevi istanti, fino a che si irrigidì e cadde di lato. Gli schizzi di sangue provenienti dal collo sfiorarono Lucia, ma non una goccia andò a imbrattare le sue vesti.
Dopo un attimo di silenzio assoluto, si sentì in lontananza il canto di un gallo. Si stava facendo giorno, quando la Piazza della Morte fu attraversata da un grido prolungato, un grido proveniente dalla viscere di Lucia Baldeschi.
«Noooooooo…!»
CAPITOLO 7
Le cavalcature erano veloci e non temevano le salite, le discese e i sentieri in mezzo alla boscaglia. Così, per evitare il centro di Ancona, Andrea e Gesualdo avevano attraversato la stretta vallata tra le colline, erano risaliti per il Taglio di Candia e, lasciando sulla loro sinistra la Rocca di Montesicuro, erano discesi verso Paterno. Da lì, avevano raggiunto in breve il castello delle Torrette, possedimento dei pacifici Conti Bonarelli. Le porte del castello, come al solito, erano aperte, e pertanto Gesualdo fece cenno al suo giovane amico di attraversare il cortile interno senza fermarsi a dare tante spiegazioni.
«Ehi, voi! Rallentate e scendete da cavallo. Non conoscete le buone maniere, zotici villani?», li apostrofò una guardia, che già aveva preso una freccia dalla faretra e stava armando la sua balestra, mentre i due cavalieri sollevavano la polvere del piazzale facendo schizzare via impaurito chiunque si trovasse sul loro percorso.
Gesualdo sollevò il gonfalone con le insegne del Duca di Montacuto, invitando Andrea a fare altrettanto, a far capire con chi aveva a che fare chi si intrometteva sul loro cammino. La guardia li scrutò in cagnesco, sputò in terra, ma abbassò l’arma. In pochi istanti, i due sbucarono dalla porta settentrionale del castello e si ritrovarono sull’ampia sterrata che correva lungo la costa fino alla foce dell’Esino.
Ormai il sole era alto, quando Gesualdo rivolse per la prima volta la parola ad Andrea. Il mare, sulla loro destra, era attraversato dagli splendidi riflessi donati dai raggi solari. Era tale il bagliore che si rischiava di accecarsi rivolgendo lo sguardo alla distesa