Название | Contatto Per La Felicità |
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Автор произведения | Serna Moisés De La Juan |
Жанр | Детская проза |
Серия | |
Издательство | Детская проза |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9788835403456 |
Poi la mia sensibilità aumentò e potevo già sapere senza che mi dicessero qualcosa, se avevano litigato con il marito o con il figlio, se avevano un nuovo amore o se erano state lasciate.
Tanto che tra le colleghe mi conoscevano come la piccola strega ed ero io che mi prendevo cura di alcune clienti, che, pur avendo dei bei capelli, volevano che mi occupassi di loro e quindi ne approfittavano per raccontarmi le loro storie.
Poi a poco a poco acquisii quell’abilità anche per strada, anche se non ho mai chiesto alla gente se quello che vedevo in loro fosse vero.
Nonostante ciò, mi fece molto piacere scoprire che funzionava ancora, perché ero riuscita a scoprire di questa ragazzina che avevo incontrato in ascensore e che poi mi ha confermato.
A dire la verità, all’inizio non potevo aspettarmi che potesse esserlo qualcuno così giovane, ma l’avevo visto così chiaramente, sono sinceramente felice per lei.
Con la gioia nel mio corpo continuai a camminare con il mio cane, concentrata sui miei pensieri, quando finì di correre un po’ e fare i suoi bisogni lo legai di nuovo e salimmo fino all’appartamento. Questo, nonostante fosse piccolo, era abbastanza grande, anche se a volte avevo voglia di trasferirmi e lasciare quel posto, pensavo fosse più per vigliaccheria che per necessità.
Sapevo che in qualsiasi altro posto sarei stata meglio di dove mi trovavo, ma sapevo anche che mi sarebbe mancato così tanto che non avrei voluto vivere lontano da lì.
Era la casa che avevamo quando ci sposammo, l’unica in cui abbiamo vissuto da quando lasciai la casa dei miei genitori, e desideravo sempre viaggiare e conoscere il mondo prima di sposarmi, studiare e avere un buon lavoro erano i miei obiettivi nella vita, ma le circostanze dominavano ed erano molto diverse da come volevo che fossero.
Un giorno un brav’uomo mi si avvicinò all’uscita della messa, mi disse che mi stava osservando e che voleva incontrare i miei genitori. Che, sebbene sembrasse insolito, non mi preoccupava, quindi glielo presentai, dopo essersi presentato, disse che era interessato a me e chiese il permesso di parlarmi.
Fu una grande gioia per me, perché anche se avevo fantasticato molto e flirtato con un altro ragazzo, nessun uomo mi aveva mai considerata come una donna da sposare.
I miei genitori, inizialmente sospettosi di vederlo troppo giovane, gli chiesero dei suoi studi e della sua famiglia. Lui, come poté, uscì da quella bolgia e lo fece abbastanza bene, dato che gli fu dato il permesso di vedermi.
Per una relazione erano anni difficili, non come ora che per vedersi basta uscire, dovevamo essere accompagnati da un parente o amico, in modo da non rimanere da soli e comportarci bene.
Ma dopo esserci visti in due o tre occasioni, trovammo un modo per incontrarci da soli, fu quando lui portò un membro della sua famiglia e io un’amica come accompagnatori e subito andarono d’accordo, tanto che un giorno gli dicemmo,
«Se volete, vi diamo del tempo per stare da soli mentre noi andiamo.»
E fu così che riuscimmo ad avere i nostri primi momenti da soli, a proposito, la mia amica e suo marito sono felicemente sposati, anche se non li sento da molto tempo, perché si sono trasferiti in un’altra città, ma l’ultima volta che li abbiamo visti, avevano avuto due bellissimi bambini.
Andai in cucina per cenare, la verità è che non avevo quasi mai fame, nonostante ciò ogni giorno dovevo sforzarmi, perché in più di un’occasione ero stata ricoverata a causa dell’anemia.
Cenai guardando la TV, poi accesi un po’ la radio, che, anche se non l’ascoltavo molto, perché non ero interessata a quello che diceva, mi faceva solo compagnia.
Anche se non potevo parlare e rispondere al presentatore radiofonico come se fosse presente, era bello sentire una voce umana in quella casa.
Molti furono gli anni che condividemmo lì dentro e anche la sofferenza, alcuni amiche mi dicevano che era come un mausoleo, poiché lo tenevo come quando mio marito era in vita, ma quello che non loro non sapevano è che io in qualche modo lo aspettavo ancora.
Dopo l’incidente stradale e la successiva riabilitazione, mio marito fu colpito da una commozione cerebrale, di tanto in tanto aveva dei vuoti di memoria, come dicono i medici, e non ricordava il passato, ma la cosa più grave fu quando i vuoti iniziarono nel presente, dimenticando dove si trovava o con chi era.
Fu molto difficile, perché era una lotta quotidiana perché si ricordasse di me, rinnovare il nostro amore, con qualcuno che a malapena mi riconosceva.
Soffrii molto in silenzio, ringraziando Dio per la fortuna di averlo al mio fianco nonostante la sua malattia, ma un giorno non tornò. Un fine settimana quando stavamo per mangiare uscì dalla porta e io non seppi nulla di lui, poche ore dopo chiamai i suoi amici e nessuno seppe dove potesse essere e preoccupata chiamai la polizia, gli ospedali e tutti i che mi vennero in mente ma nessuno aveva sue notizie.
Un giorno senza di lui, poi una settimana, un mese, un anno e da allora la mia vita è stata così, aspettando che tornasse, sperando che dicesse «tesoro, sono a casa.»
Con il tempo mi abituai a stare da sola, fino a quando un’amica mi regalò un cucciolo, era così piccolo e tanto carino che non potei rifiutare e così mi presi cura di lui come il bambino che non avevamo mai avuto desiderando che mio marito lo vedesse se mai fosse tornato.
La verità è che non mi sentivo triste, quella fase della mia vita era già passata, ora ero abbastanza calma, piena di vitalità, non so perché quella ragazza mi aveva riempito di amore, penso che fosse quello, quello che lei stessa provava per suo figlio era ciò che mi aveva trasmesso.
Spensi la radio e andai a riposare con un gran sorriso sul viso, la verità è che era la migliore fine della giornata che avessi avuto da molti anni e con quel sorriso mi addormentai.
CAPITOLO 2. IL SECONDO GIORNO
Sapevo che mi restavano solo due giorni prima di lasciare la città e che ieri avevo fatto ben poco, solo salire su un autobus e percorrere le strade per conoscere il luogo.
Ora mi rimaneva la parte più difficile, toccare il maggior numero di persone possibili, prima di andarmene, in modo che gli effetti sulle persone si diffondessero come se fosse un virus, ma questa volta si trattava di un virus positivo, un virus della felicità.
Sapevo che la mia missione era importante, e che il tempo giocava a mio sfavore, così lasciai il motel e andai alla fermata dell’autobus, dopo aver aspettato a lungo seduto, passò un operaio che camminava con un pneumatico e mi disse,
«State aspettando invano, non avete sentito parlare della manifestazione? L’intero centro è stato chiuso, nessun veicolo passerà di qui oggi, è meglio rimanere a casa.»
Mi sembrava incredibile, non so perché ogni volta che andavo in una città, per una ragione o per l’altra, sembrava che le circostanze si alleassero per rendere difficile il mio lavoro.
Ricordo ancora quando in una città ci fu la simulazione di uno tsunami, era una città costiera molto tranquilla dove c’era poca o nessuna possibilità che una tale situazione si verificasse, ma per la prima volta nella storia della città, scelsero il giorno che ero lì per la simulazione.
Come quando ci fu un incendio nella parte vecchia della città e buona parte dell’arteria principale venne chiusa al traffico, per paura che le fiamme si diffondessero tra gli edifici in legno circostanti.
C’era quasi sempre una ragione comprensibile, ma inaspettata, come se a qualcuno non piacesse il lavoro che facevo, o come quella volta che arrivò un gruppo di motociclisti, come se fosse un pellegrinaggio, e distrussero l’intera città.
Personalmente, non mi importava se c’erano molte persone, perché rendeva il mio compito più facile, in quanto ampliava gli effetti prima, ma purtroppo non potevo toccare nessuno di loro perché in sella alle motociclette.
Allora non posso iniziare il mio compito, che come